“Àlzati e cammina!”

L’EDITORIALE
di don Giorgio

“Àlzati e cammina!”

Nel libro “Atti degli apostoli” si legge:
«Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta “Bella” per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. Pietro gli disse: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!”. Lo prese per la mano destra e lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio, e furono ricolmi di meraviglia e stupore per quello che gli era accaduto” (At 3,1-10).
Vorrei soffermarmi su uno dei tanti aspetti che meriterebbero una particolare attenzione. Si tratta delle parole con cui Pietro si rivolge allo storpio che chiedeva elemosina: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!».
Non entriamo nella questione che riguarda il miracolo in sé, più o meno spettacolare, tuttavia il miracolo visto nel suo giusto contesto è il cuore del messaggio evangelico con cui Pietro e Giovanni annunciano il nuovo regno di Dio, che tocca il mistero del cuore dell’uomo, là dove l’essere umano si immerge nell’Essere divino, da cui scaturisce la libertà umana in tutta la sua realtà più interiore.
Quello storpio chiedeva qualcosa di materiale per sopravvivere – qualcosa di precario, soggetto al tempo che consuma esigendo altre cose sempre provvisorie –, e Pietro gli dà la possibilità di vivere in pienezza, al di là di qualche soldo destinato ad essere consumato per breve tempo, lasciando quel “poveraccio” di nuovo precario, dipendente dall’altrui “soggettiva” generosità.
In fondo, questi mendicanti lasciati tali ci fanno comodo: un modo per farci sentire “utili” alla società che nello stesso tempo emargina e pretende di includere i poveracci: sì, ci sentiamo “utili” prima a noi stessi, come se l’elemosina fosse qualcosa di “nostro” da offrire “genertosamente”: una specie di purificazione di una coscienza tradita da un bisogno mai soddisfatto di avere, al di là, o al di fuori di quella essenzialità che dovrebbe costituire la giustizia universale.
Ciò che diamo è qualcosa, anche di tempo, che è un di più, e che perciò non è “nostro”, essendo un diritto di chi sta peggio di noi, privato nel suo essenziale dal “nostro di più”, che se non lo diamo diventa un furto.
Pietro e Giovanni che cosa danno a quello storpio che viveva di elemosine quotidiane? Gli danno quella autonomia che è indispensabile per vivere da persona libera.
Vivere di elemosina è vivere da schiavi, anche se nell’antichità i monaci vivevano di elemosina, un obbligo per una regola che invitava all’umiliazione. Ma un conto è vivere di elemosina per scelta, magari in un convento con le più confortevoli comodità, e un conto è dipendere in tutto e per tutto dalla generosità degli altri, che, come già detto, usano un certo criterio nel valutare l’entità del bisogno, anche secondo gli umori del momento, o per scaramanzia o per sentirsi in coscienza a posto dopo aver commesso qualche “peccatuccio” non certo veniale.
E allora, siamo seri almeno noi preti: continuando a sostenere e a praticare un assistenzialismo senza sbocco, ovvero che si limiti al corpo e alle sue esigenze carnali, in modo tra l’altro momentaneo e frammentario, il bisognoso non uscirà dal suo stato bisogno, ma resterà schiavo della carità altrui, che della Buona Novella ha solo qualche vaga apparenza.
Certo, a chi ha fame occorre dare subito un pezzo di pane, ma sarebbe meglio trovargli un lavoro così da potersi comperare una casa o affittarla, ma non basta neppure renderlo autonomo nelle sue esigenze materiali, se poi, ed è qui il problema, resta vittima di quel falso ben-essere che è in realtà mal-essere.
E non succede forse che talora questi immigrati imparino a vivere di elemosina, perché trovano più comodo farsi mantenere, senza dover sudare per un lavoro anche estenuante?
Se do un pezzetto di pane, se offrirò un lavoro ecc. dovrò contemporaneamente parlar loro di quella esigenza di libertà interiore per cui si sentano protetti da ogni forma di schiavitù, senza prima dover chiedere elemosina, e poi, ottenuta una certa autonomia, senza cadere nell’inganno di un avere rendendo gli antichi schiavi ancor più schiavi di desideri sbagliati.
“Àlzati e cammina!”. Il verbo “alzarsi” richiama la risurrezione, e il verbo “camminare” richiama la Fede di chi pone la sua fiducia non nelle cose che frenano, ma in una Realtà che esige distacco dal di più e dai desideri del di più per vivere di essenzialità.
Quando almeno noi cristiani impareremo ad andare oltre un certo assistenzialismo materiale (anche ipocrita: arriva Avvento o arriva Quaresima, e “per forza” facciamo un’offerta per qualche missionario!), per rieducare già i poveracci o gli immigrati a quella nobiltà d’animo, che al solo contatto con un occidente consumista va in fumo, se vogliamo che questa società non sia solo un insieme di buone intenzioni o di buoni propositi, per soddisfare qualche esigenza interiore di riscatto donando ciò che in realtà non è nostro, perché è un di più, ma possa crescere in una fratellanza che esige sì una giustizia distributiva (i beni della terra sono di tutti!), ma nello stesso tempo senza spegnere i richiami del nostro spirito.
Quando dai un pezzetto di pane a un affamato o l’obolo a un bisognoso, hai davanti un essere umano, che, magari inconsciamente o indirettamente, ti chiede anche di aiutarlo a restare se stesso, nei suoi valori più puri, che, per forza di cose, sono in bilico tra quell’essere e quell’avere che noi occidentali abbiamo già risolto in una corsa sfrenata per un avere senza ritegno. Che senso ha aiutare un povero solo materialmente, senza dirgli: Sei veramente beato se non tradirai i valori eterni!
Cristo ha moltiplicato alcuni pezzi di pane, dicendo però “Io Sono il pane della vita!”.
20 aprile 2025
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