Libertà di scelta, dall’inizio al fine vita

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Libertà di scelta, dall’inizio al fine vita

Non mi sono mai tirato indietro dall’espormi pubblicamente su problematiche politiche, sociali ed ecclesiali di un certo peso. L’ho fatto, lo sto facendo e lo farò, anche rischiando di essere deriso o emarginato. Nonostante la mia età sul viale del tramonto.
Ma non accetto quel rincorrere la notizia bomba che fa il giro del mondo, coinvolgente sia lo Stato che la Chiesa, facendosi prendere da quella specie di emotività istintiva che giudica senza approfondire il problema in questione, tanto più se attorno è nato un polverone tale da scatenare i pro e i contro, ma senza lucidità e competenza. Cito solo l’ultimo caso della gravidanza surrogata: a proposito, Michela Murgia, giustamente secondo me, invita a evitare di parlare di “maternità” surrogata.
Parlare a vanvera è la caratteristica degli opinionisti tuttologi, e di quella massa dal cervello fuso che, su facebook, tira fuori articoli d’ogni risma, comprese ridicole bufale, per confondere ancora di più la testa già rincitrullita della gente comune.
Ad esempio, il clamore attorno al figlio di Nichi Vendola alla fine non farà che danni alla discussione sulla gravidanza surrogata, che esigerebbe invece pacatezza e lucidità, lasciando aperta ogni possibilità, fino a quando non si arriverà ad una conclusione ragionata. Ma come si può essere pacati e lucidi, quando si urlano offese sullo stile di Vittorio Sgarbi? Il clima che si è creato in questi giorni, anche se presto svanirà come una bolla di sapone, è tremendamente deleterio, e ci fa di nuovo capire quanto a noi italiani piaccia in fondo gustare il polverone.
Solitamente, non parlo di cose che non so, e lascio parlare chi ritengo competente in materia. Posso anche sbagliare nelle mie scelte, ma non riesco a starmene fuori, giustificandomi di non essere competente. Tuttavia, quando si tratta di discussioni che riguardano in particolare la donna, e la gravidanza per altri è una di queste, scarto a priori che ancora una volta a metterci il becco sia il mondo maschilista. Certo, anche tra le donne non c’è accordo, ma lasciamole discutere tra loro, senza creare pressioni di qualsiasi genere, né di carattere politico e tanto meno di carattere religioso.
Detto questo, in attesa che la legge sulle Unioni civili venga corretta e allargata alle adozioni, vorrei riaprire il discorso su un altro tema scottante, ma che è ancora nel cassetto tra le priorità della politica: il Testamento biologico. Su questo tema, tutti abbiamo il diritto di esprimerci, donne e uomini, gay o eterosessuali, conviventi, divorziarti risposati, sposati solo civilmente o in chiesa, visto che tutti dovremo morire, e magari soffrendo oltre ogni limite di sopportabilità naturale. È quanto non vorrei accettare, neppure se mi promettessero il paradiso eterno. Ognuno di noi deve avere il diritto di scegliere: se morire dopo una lunga malattia portata all’estremo da una tecnica disumana, oppure secondo le elementari leggi della natura, senza perciò prolungare la morte oltre il dovuto.
Non capisco perché la Chiesa, che parla dell’esistenza terrena come di un passaggio, di un pellegrinaggio, di un camminare verso l’eternità, quando si è giunti al termine del viaggio, faccia di tutto per prolungare l’esilio, o la valle di lacrime. Ci sono stati santi, canonizzati dalla Chiesa, che rifiutavano quasi di vivere a lungo, sottoponendosi a mortificazioni estreme, con il desiderio di raggiungere al più presto il Signore della vita. E allora, come mai, appena la Chiesa sente parlare di testamento biologico, mette subito mano alle scomuniche o alle sospensioni “a divinis” se si tratta di preti che pubblicamente si dichiarano favorevoli?
Ha perfettamente ragione (l’ho già citato varie volte) il filosofo Umberto Galimberti, che, in una recente intervista, ha accusato la Chiesa di essere in contraddizione: da una parte proibisce l’uso della tecnologia sull’inizio vita, e poi la impone sul fine vita.
Ciò che ritengo inaccettabile è proprio l’imposizione, tipica di una rigida struttura religiosa che ruota attorno ad un idolo, in nome del quale, ovvero di se stessa (idolo significa immagine), condiziona tutto dell’essere umano, dall’inizio alla fine della sua esistenza terrena, non si sa esattamente per quale motivo: forse perché la Chiesa si crede in diritto e in dovere di essere l’unica proprietaria dell’essere umano. Ma in nome di quale dio?
Libertà di scelta. Non chiediamo altro. Perché ogni rapporto sessuale deve essere per forza generativo, vietando ogni pratica anticoncezionale? E perché devo essere costretto a prolungare la mia esistenza terrena mediante una macchina sofisticata?
Libertà di scelta: scegliere come e quando generare, e scegliere come e quando morire. Con quale diritto tu, Chiesa, o tu, Stato, reprimi la mia libertà di coscienza?
5 marzo 2016
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

5 Commenti

  1. Alberto ha detto:

    Giuseppe
    Ma di che libero arbitrio parli se non puoi neanche decidere il numero di scarpe che porti o il colore dei tuoi occhi ??
    Fammi capire meglio cosa intendi
    Idem per don giorgio
    Non sappiamo neanche se arriviamo a domani
    Quindi noi non ci facciamo da noi
    È una evidenza
    Spiega meglio don giorgio cosa intendi quando parli di libertà
    Quella vera però

  2. Giuseppe ha detto:

    Anche stavolta condivido in pieno. In particolare non accetto che la chiesa cattolica voglia impormi delle scelte che potrei non condividere su argomenti strettamenti personali e che, pur con qualche inevitabile risvolto sociale, riguardano solo l’essere umano in quanto tale. A volte ho l’impressione che la chiesa, anziché limitarsi a custodire e tramandare l’eredità del nostro Salvatore, cerchi soprattutto di perseguire (e gestire) un potere quasi assoluto sui fedeli e sulle loro coscienze, a costo di cadere in contraddizione, fregandosene altamente del libero arbitrio.

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