Quando gli operai hanno torto marcio

di don Giorgio De Capitani

Almeno qui al Nord, le uniche preoccupazioni che sembrano allertare i nostri comuni sono le polveri sottili, prodotte dalla combustione nel settore del trasporto, del riscaldamento civile  e di quello industriale. Quando le polveri sottili superano una certa soglia (stabilita con quale criterio non si sa bene), allora si chiudono le città e i paesi al traffico. Sul riscaldamento si chiude un occhio, e sulle fabbriche si chiudono tutte e due. E la cosa direi grottesca è questa: nelle domeniche di chiusura al traffico, si invitano i cittadini di fuori a visitare i musei, a fare compere, a piedi o in bicicletta. E noi coglioni abbocchiamo, facendo da spugna che assorbe l’inquinamento. Ma oltre l’inquinamento dovuto alle polvere sottili, non si va. I veri problemi riguardanti la salute sono disattesi. Ci si limita a dei palliativi tanto per salvare la faccia. Anche nel piccolo dei nostri paesi, quanti si chiedono quali sono le vere cause di tumori o di malattie? Forse si ha paura a dover affrontare resistenze politiche o sindacali o ad andar contro interessi di parte. Eppure la missione di un medico dovrebbe consistere non solo nel combattere una malattia, ma soprattutto nel prevenirla. E ai politici che cosa interessa? Costruire e costruire, togliendo il respiro alle piante, concedere facili permessi alle ditte senza sapere prima che cosa produrranno? Che cosa poi pretendiamo? Di dire la nostra quando a doverci preoccupare dovrebbe essere non solo la salute di piccoli paesi ma di un’intera città? Allora le cose si complicano. Allora ci si sente impotenti. Allora di fronte a interessi colossali, guardiamo al mercato che non può fermarsi, nemmeno se a pagare caramente sono innocenti che chiedono solo di vivere senza rantolare. No. Non vogliamo assolutamente capire, non vogliamo assolutamente mettere in discussione il nostro posto di lavoro, solo perché è un nostro diritto costituzionale, senza chiederci che cosa produciamo. Quale assurdo! Produciamo veleno, e  diciamo che questo è un nostro diritto. Importante è che si lavori e si porti a casa il mensile, sul resto avremo tempo di discutere, quando un tumore inizierà a consumarci anima e corpo. E allora malediremo il giorno in cui abbiamo messo il primo piede in fabbrica! Coglioni o maledetti? Non vale la pena di trovare la risposta: vale la pena invece di sostenere quanti a Taranto vogliono giustizia, ovvero che la salute sia garantita a tutti, operai e cittadini, e la salute è vita. Non si lavora per morire. E tanto meno si vive per lavorare.

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4 Commenti

  1. Verrà un giorno ha detto:

    Purtroppo al sud per ignoranza si preferisce vivere a 1000 euro inquinando riempiendo le tasche strapiene di soldi dei Riva, i quali pensano di passarla liscia grazie ai loro degni compari protettori.Qui se la scamperanno forse per altri 50 anni, chissà, ma non sanno cosa gli aspetta per l’eternità. Parlando con un ricercatore chimico mi spiegava che questo impianto tecnicamente e praticamete non potrà mai essere ecocompatibile a causa del pm 10 dovuto alla combustione del carbone, la diossina fa solo un baffo. I maledetti sono quei politici già morti e spero all’inferno, per aver all’epoca accettato la costruzione dell’impianto pur di accaparrarsi la clientela elettorale…..adesso poichè per la politica è importante l’ordine pubblico, l’azienda resterà in vita e tutto sarà messo a posto con i soldi dei contribuenti…Mi domando: da dove sono usciti i soldi?????.Un applauso

  2. Gianni ha detto:

    In realtà, i vari limiti imposti verso i cosiddetti agenti inquinanti sono solo convenzioni epidemiologiche e statistiche.
    Si è notato che sotto certi limiti, certe patologie non si sviluppano oltre un certo limite, il che non significa affatto che non si sviluppino per nulla.
    Detto ancora più chiaramente (almeno spero) si è fatto una sorta di compromesso tra esigenze socioeconomiche e sviluppo di malattie da inquinamento o deterioramento ambientale.
    Ma ci saranno sempre le vittime di queste sostanze.
    Se vogliamo identificare il problema alla radice lo possiamo individuare nello sviluppo sociale ed indutriale, conseguente alla cosiddetta rivoluzione industriale.
    Sono state sopratutto le conseguenze di questa fase storica a portare inquiqnamento e malattie.
    Se, quindi, volesimo risolvere il problema alla radice, dovremmo domandarci: sono disponibile a rinunciare ad un certo tipo di società?
    Cosa significa?
    Presto detto: rinunciare ai veicoli a combustione, cioè con motore a scoppio, ma a anche a trazione elettrica, perchè la fabbricazione delle batterie è inquinante, rinunciare a tutto quello che va ad elettricità, per lo stesso moivo, praticamente sostituendo i mezzi di trasporto con cavalli, biciclette, ed il resto pedibus calcantibus.
    Sostituire l’lluminazione elettrica con candele, neppure con lumi a petrolio.
    Rinunciare anche alla ferrovia, sia eletrica che a carbone.
    Rinunciare alle attuali fonti di riscaldamento compreso quello a carbone, da sostituire con caldaie e legna.
    Rinnunciare ai prodotti industriali, per dedicarsi a coltivazione ed allevamento, ma sostituendo gli attuali metodi con quelli antichi, ad esempio concime naturale di origine animale, e non concime chimico..
    Insomma, torere ad un’economia pre rivoluzione industriale.
    Ma, diciamocle, quanti sarebbero disponibili?

    Per quanti controlli e sistemi antiinquinanti vogliamo applicare, la nostra è un’economia inquinante.
    Quanti sono i morti dovuti ogni giorno alle emissioni del tubo catodico del televisore o alle emssioni dei motori a scoppio o del riscaldamento, anche senza necessità di pensare all’Ilva?

  3. pierluigi ha detto:

    Questo tema potrebbe essere la vera rivoluzione “mondiale” del mondo del lavoro, mondiale visto che da babbei ci siamo fatti infinocchiare con il termine “globale”. Un pianeta “umano” deve necessariamente avere il problema igienico-sanitario al primo posto in ogni attività lavorativa. E’ auspicabile politici e sindacalisti permettendo che ogni impresa o datore di lavoro prima di avere le autorizzazioni a produrre, dichiari all’autorità igienico-sanitaria del luogo cosa produce, come produce, le materie prime necessarie, le emanazioni e le misure di sicurezza adottate contro di esse sul luogo di lavoro, le emanazioni che fuoriescono dal luogo di lavoro, gli eventuali reflui dove e come vengono stoccati, gli scarti di produzione dove finiscono e come devono essere trattati. Quasi certamente si potrebbero aggiungere altre cose che apparentemente superficiali, restano ad occhi e menti esperte notizie importanti per riportare la persona, lavoratore o dimorante che sia, al centro della vita come necessità per continuare ad essere una frazione, con pari dignità, dell’umanità.

  4. franco ha detto:

    da ragazzo , negli anni 70, lavoravo in un’azienda dove si credeva che tutto fosse normale, ma però vedevo gente che moriva o ammalarsi di tumori strani, un mio amico ammalarsi di lecemia fulminante (dicevano a segutio di un piccolo intervento chirugico) e morire dopo due anni di un lungo patire,solo dopo si è saputo che in alcuni reparti gli scarti di una lavorazione producevani del pcb , possibile che nessuno,, prima di queste morti, sapesse con cosa avevea a che fare?si il lavoro ci dava una sicurezza economica che ci permise di fare scelte importanti,ma credo che quel ragazzo se lo sapeva forse avrebbe fatto a meno di scelte importanti e sarebbea andato a lavorarare in un’altra azienda o avrebbe voluto una maggior sicurezza. cosi come dovrebbero fare gli operai dell’ilva, possibile che casi come qelli dell’eternint non suggewriscano niente? poi una cosa vorrei sapere da monti &c. perchè lo stato deve acollarsi 300 mln di euro per bonificare l’area dell’ilva e questi soldi non li tira fuori il riva che si è fatto paccate di miliardi con l’ìilva senza fare una beata mazza per taranto? perchè questi soldi spuntano in un attimo e per gli esodati non ci sono? no caro monti non ci siamo.

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