Se… comunque… perché…

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Se… comunque… perché…

Se ancora parlo di Salvini e dei leghisti, dicono che sono un fissato.
Se ancora parlo di Papa Francesco, di Scola o di Martini, dicono che sono un fissato.
Se ancora parlo dei marò, dicono che sono un fissato.
Se ancora parlo di amianto, dicono che sono un fissato.
Se ancora parlo di Renzi, dicono che sono un fissato.
Se ancora parlo di …
Beh, ditemi voi di che cosa dovrei parlare, visto che in qualsiasi caso sarei un fissato.
Alcuni mi invitano a parlare di mistica, argomento che ultimamente mi sta appassionando. L’ho fatto, ma… quanti mi hanno seguito? Beh, c’è anche soddisfazione nel parlare a pochi eletti che condividono, piuttosto che ad una massa di coglioni e di analfabeti, che fraintendono, contestano, insultano gratuitamente.
È vero: perché insistere nel parlare a gente ignorante, quando qualsiasi parola “intelligente” sarebbe come una perla buttata ai porci (parole di Gesù Cristo!)?
Eppure, è qualcosa più forte di me. Se mi danno fastidio gli insulti, gli elogi però non mi appagano. 
Comunque, mi sembra di cogliere nella massa dei barbari quel “qualcosa di reale” che mi tiene con i piedi per terra, e che mi invita tutti i giorni a fare un serio perturbante esame di coscienza: che cosa faccio per civilizzare un mondo di rozzi incalliti? “Questa” è la terra dove abito: al cielo penserò domani.
Se per un verso l’isolarmi per crearmi un regno anche di rassegnazione non rientra nel mio carattere, per l’altro verso non riesco ad adattarmi per quel tanto che basti a vivere un po’ in pace, senza dover tutti i giorni star male perché qualcosa non va.
Al mattino, quando mi sveglio, invece che ringraziare il Signore per una nuova giornata, penso a chi la maledice, o a quanti dovranno affrontare disagi e pericoli, oppure a quella perversione che farà di tutto per tentare di oscurare di nuovo il sole dell’esistenza umana.
Forse sono fatto male, senz’altro avrei desiderato qualcosa di meglio dalla vita, ma mi rassegno a quel poco di buono che mi è rimasto, anche per dire a coloro che sono felici: “Godetevi l’attimo fuggente!”, e per chiedere a coloro che vorrebbero che l’esistenza umana fosse una maledizione per tutti o una banalità continua: “Ma perché lo fate?”.
Forse la vera domanda la dovrei rivolgere a Colui che dicono abbia creato con amore l’Universo: “Perché l’hai fatto?”.  
5 settembre 2015
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

4 Commenti

  1. giovana ha detto:

    Non per adularla anzi… ma semplicemente mi unisco profondamente alla sua domanda ultima…non saprei aggiungere di più nè dire meglio….

  2. GIANNI ha detto:

    io mi domando anche un’altra cosa:
    di misteri è pieno il mondo, lo stesso universo lo è.
    Chissà se quando moriremo, in un al di là, capiremo qualcosa o magari tutto….capiremo certe cose che ci sono capitate in questa vita, anche strane, o il mistero dell’universo o di DIo, o forse resteremo comunque in una qualche forma di ignoranza, anche su un diverso piano dell’esistenza, quello metafisico???’

  3. Giuseppe ha detto:

    Insomma: come fai fai male.

  4. Giuseppe ha detto:

    Me lo chiedo spesso anch’io: «perché l’hai fatto?»
    Il catechismo pretende di poter dare una risposta a tutto, ma sappiamo bene che non è così. Certi dubbi, certe domande ci accompagneranno per tutta la vita. E se il più delle volte siamo fiduciosi che una risposta ci arriverà dal creatore alla fine dei nostri giorni, in certi casi invece, ci rimane una sensazione di vuoto e di inutilità, come se tutto questo affannarsi non servisse a niente, tanto poi una volta chiusi gli occhi per l’ultima volta di noi resterà solo il ricordo di coloro che ci hanno voluto bene o il senso di liberazione di chi non ci poteva sopportare o ce l’aveva con noi. In certe culture, che a quanto mi risulta la chiesa cattolica condanna, si ritiene che al mondo nulla si crei e nulla si distrugga, ma tutto venga trasformato, così che anche l’essere umano non morirebbe, ma sarebbe reincarnato in un’altra persona anche di sesso ed etnia totalmente differente, perdendo ogni cognizione delle vite precedenti, i cui ricordi affiorerebbero (a volte) solo come frammenti di dejà vu o fenomeni simili. In alcune religioni si arriva addirittura a credere che ci si possa reincarnare in specie di esseri viventi inferiori, come animali o piante: sarebbe una sorta di punizione o di premio per il nostro comportamento nella vita precedente. Il dubbio resta, anche perché fa parte della nostra natura. L’unica cosa che possiamo affermare con assoluta certezza è che l’aldilà ha poco a che fare con l’immaginario antropomorfo della mitologia o dei film di genere che fantasticano nel raffigurarlo.
    Quanto alle opinioni altrui, mi viene in mente la storiella dell’anziano, del giovane e del somarello che in qualunque modo si sistemavano lungo il cammino erano comunque oggetto di critiche.
    Una volta mio fratello mi regalò un poster su cui c’era scritta questa massima:
    «Se un uomo corre dietro al danaro è avido
    se lo mette via è capitalista
    se lo spende è gaudente
    se non lo guadagna è un buono a nulla
    se non cerca di guadagnarlo non è ambizioso
    se lo guadagna senza lavorare è un parassita
    se ne ha un po’ dopo un’esistenza di duro lavoro
    la gente lo considera uno stupido
    che non si è mai goduto la vita…»

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