Omelie 2017 di don Giorgio: QUINTA DI AVVENTO

10 dicembre 2017: QUINTA DI AVVENTO
Is 11,1-10; Eb 7,14-17.22.25; Gv 1,19-27a.15c.27b-28
Una delle pagine più celebri
Il primo brano è una delle pagine più celebri di Isaia, anzi di tutto l’Antico Testamento. Va però letta e interpretata al di là di una visuale puramente politica.
Secondo gli studiosi, si tratterebbe del canto di intronizzazione del nuovo re Ezechia, un sovrano giusto in cui il profeta riporrà le sue speranze.
Ma, nei secoli successivi, questo carme è stato riletto in vista di un altro sovrano, quello ideale, ovvero del Messia. Anche i cristiani lo leggeranno, ancora oggi, per esaltare la figura di Gesù Cristo.  Ecco perché la Liturgia ce lo presenta in questa domenica di Avvento.
Immagini da spiegare
Ci sono delle immagini che vanno spiegate. Anzitutto, c’è un tronco, quello di Jesse, il padre di Davide; e c’è un germoglio, che spunta dal tronco o, è la medesima immagine, un virgulto che germoglia dalle sue radici.
Ed ecco il significato: dal tronco inaridito dalle infedeltà della dinastia davidica spunta un germoglio, segno gratuito e inatteso di vita e rappresentazione di un re, dono del Signore.
Il germoglio diventa così l’immagine o il simbolo a indicare il Messia. Addirittura negli scritti del profeta Zaccaria “germoglio” diventa uno dei nomi del Messia. Questo ci aiuta a fare una prima riflessione.
Germoglio
Se il Messia è il Germoglio, allora anche oggi, e lo sarà sempre, lo dobbiamo considerare come un segno permanente di gratuità e di sorpresa, soprattutto se la società, sia civile che religiosa, si presenta come un tronco inaridito.
In altre parole, Cristo non potrà mai identificarsi con una struttura, ovvero non cresce e si sviluppa col crescere e lo svilupparsi della pianta, magari ricca di rami rigogliosi, che si chiami chiesa o si chiami società civile.
Cristo è il Germoglio, e tale resterà sempre. Dobbiamo perciò tenere gli occhi bene aperti, per cogliere i segni del Germoglio, ovvero di ogni risveglio del Divino
Ma è in noi, e non nelle strutture nelle loro più svariate ramificazioni, che avviene il Risveglio, perché è nel nostro essere più profondo che il Divino affonda le sue radici.
Questa osservazione ci porta a capire ciò che dice l’autore sacro, parlando dello spirito che si poserà sul Germoglio.
Vento o spirito nelle sue manifestazioni
Isaia infatti scrive: «Su di lui (cioè sul germoglio) si poserà lo spirito del Signore». Fermiamoci. Il termine ebraico “ruah” indica sia il “vento” che lo “spirito”. Non dimentichiamo le prime parole della Genesi: «lo spirito (letteralmente il soffio) di Dio aleggiava sulle acque». E non dimentichiamo le parole di Gesù a Nicodemo: «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Isaia ripete per quattro volte la parola “spirito”, a indicare sia i quattro venti dei punti cardinali, sia soprattutto, essendo il quattro un numero perfetto, una totalità di effusione della grazia divina sull’eletto.
E qui entrano in scena i cosiddetti doni dello Spirito. In realtà, lo spirito di Dio si articola in tre coppie di doni: sapienza e intelligenza (o discernimento), consiglio e fortezza, conoscenza e timore del Signore. Nella traduzione latina la prima parte del versetto 3 (“Si compiacerà del timore del Signore”) viene legata al versetto 2 (con la descrizione appena vista dei sei doni), e per evitare di ripetere la parola “timore” si è introdotta la parola “pietà”. Da qui deriva il tradizionale elenco dei sette doni dello Spirito santo, fatto proprio anche dalla Chiesa cattolica.
Nell’intendimento di Isaia, dei sei doni dello Spirito quattro riguardano le funzioni di un giusto sovrano: sapienza e intelletto (o discernimento) sono essenziali per il governo, mentre il consiglio e la fortezza riguardano la capacità di decidere e progettare per il benessere del popolo. Conoscenza e timore del Signore si riferiscono all’atteggiamento di fede in Dio. Non dimentichiamo che la monarchia ebraica era teocrazia: capo supremo era il Signore.
Ecco, con questi doni dello spirito il re o monarca che viene intronizzato, cioè mentre assume ufficialmente il proprio potere, potrà amministrare in pienezza e vigore la giustizia.
Possiamo allora dire che la giustizia è la somma dei doni dello Spirito santo. Diciamo meglio: la giustizia proviene dalla sapienza e dal discernimento, dal consiglio e dalla fortezza, dalla conoscenza e dal timore del Signore.
Ecco il sovrano “giusto”.
Gesù Cristo, il Giusto che ristabilirà il Bene o Pace
Dicevo, all’inizio, che le parole di Isaia non vanno intese solo in una visuale diciamo politica. Certamente, come dicono gli studiosi, il profeta pensava al suo sovrano Ezechia. Ma il profeta, pur non sapendolo, aveva tratteggiato le caratteristiche del sovrano ideale, ovvero il futuro Messia. Lo spirito divino si poserà in pienezza su Gesù Cristo, il Giusto.
A parte il fatto che Gesù è stato concepito nel grembo di Maria per opera dello Spirito santo, lo Spirito santo all’inizio della vita pubblica scenderà ancora su di lui (ricordiamo la scena mistica, dopo il battesimo presso il fiume Giordano), proprio per marcare in senso spirituale tutto l’agire del Messia.
E l’opera di Cristo non sarà rivolta a compiere miracoli, o a conquistare le folle, ma ad annunciare una parola di conversione, che non avviene senza l’azione dello Spirito.
Il Messia, dunque, agisce in nome dello Spirito, attraverso i doni dello Spirito, e prepara l’effusione dello Spirito.
Solo nello Spirito di Cristo si realizza il regno del bene o della pace. Isaia, sempre nel primo brano, delinea l’orizzonte paradisiaco del regno giusto, ricorrendo a immagini animali e ispirandosi al racconto dell’Eden, e lo fa mettendo in scena le coppie antitetiche degli animali ostili tra loro, i selvatici e i domestici.
Non possiamo non vedere quella ricomposizione delle antitesi, bene e male, che solo lo Spirito divino potrà compiere. Forse la strada è ancora lunga. Ma non è impossibile.

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