Omelie 2015 di don Giorgio: PRIMA DI AVVENTO

15 novembre 2015: Prima di Avvento
Is 13,4-11; Ef 5,1-11a; Lc 21,5-28
Premetto subito che anche questa predica l’ho preparata una decina di giorni prima,  per cui non potevo certo prevedere ciò che è successo l’altro ieri sera, a Parigi. Ma, anche se lo avessi saputo, avrei probabilmente scritte le stesse cose, magari con una maggiore determinazione.
Che senso dare al catastrofismo biblico
Per noi di Rito ambrosiano, inizia oggi il periodo dell’Avvento, che durerà sei settimane. In questa prima domenica anche la Liturgia non sembra invitarci alla Sorpresa mistica, ma a qualcosa di spettacolare nel senso apocalittico, inteso come qualcosa di negativo: una quasi vendetta di Dio che usa perfino la natura per punire l’umanità ribelle. Già il significato etimologico del termine “apocalisse”, che significa “manifestazione”, dovrebbe indicarci un’altra strada: quella, appunto, di un Dio che “si rivela”, non come implacabile giudice che condanna, ma come colui che salva l’umanità migliore.
Dunque, attenzione! Sì, di attenzione ce ne vuole ogniqualvolta parliamo di Dio, di quel Dio che “si manifesta” nel profondo del nostro essere e del Creato, per cui restare in superficie, all’esterno dell’essere, e pretendere qui, fuori dall’essere, di cogliere qualcosa del Mistero divino è metterci nella peggiore situazione che ci allontana dal Mistero stesso.
Certo, anche nella Bibbia ci sono pagine e libri che, se li prendiamo alla lettera, non ci aiutano ad accostarci al Dio dell’Essere, ma al Dio ridotto a idolo, a immagine delle nostre povere conoscenze umane, e pensare che Dio, già nell’Antico Testamento, tramite i suoi profeti, aveva condannato duramente ogni forma di idolatria.
Ad esempio, il primo brano, che fa parte del Libro di Isaia, è una rilettura per lo meno “equivoca” della Sorpresa di Dio, intesa come “Giorno del Signore”, sempre pronto a esplodere, mediante minacce, fulmini e morte. Il “Giorno del Signore” è un’espressione profetica che è stata intesa, in modo limitativo, come Vendetta di Dio che punisce e distrugge gli imperi umani. Una Vendetta che non risparmia neppure gli innocenti: se andate a leggere i versetti successivi al brano di oggi, troverete scritto: «Quanti saranno trovati, saranno trafitti, quanti saranno presi, periranno di spada. I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi, saranno saccheggiate le loro case, violentate le loro mogli… Con i loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà del frutto del ventre, i loro occhi non avranno pietà dei bambini» (Is 13,15-16.18).
Si può immaginare un Dio che vuole queste cose? Eppure, questa idea di Dio che giudica e punisce, condanna e tortura, è entrata perfino nella Chiesa cattolica, ed è rimasta ancora in alcune religioni, nelle loro forme più fondamentaliste e violente.
La Storia di Dio e la storia umana
È vero: il giudizio di Dio è già presente nella Storia, ma come Legge inesorabile per cui chi agisce male, prima o poi, sarà travolto da quella Sorgente di energie vitali, presenti nell’Universo, che non si lasceranno mai sorprendere del tutto, ma che prima o poi si faranno valere. Solitamente diciamo che la storia è fatta dagli uomini, e dagli uomini peggiori: è vero fino a un certo punto.
L’uomo che agisce bene contribuisce a sviluppare le migliori energie presenti nel Cosmo, mentre l’uomo che agisce male solo apparentemente sembra un vincitore, in realtà, sarà travolto dal suo stesso male. Prima o poi la Storia capovolgerà tutto.
Da ultimo. Gli ebrei avevano una concezione della storia a modo loro. Dio è sempre pronto a punire i nemici d’Israele, travolgendo gli oppressori: prima gli Egiziani, poi gli Assiri, poi i Babilonesi, poi di nuovo gli Assiri. Ma forse dimenticavano che, finché ci sarà questo mondo, ci sarà sempre un oppressore. Non credo che Dio si diverta a buttar giù dal trono i potenti, sapendo che quel trono sarà ben presto occupato da un altro potente. Dio ha un’altra visuale della Storia: i deboli sono i veri vincenti, e per debole s’intende non tanto colui che è impotente, fragile, povero, oppresso, ma colui che pone la propria fiducia in qualcosa che non fa parte della forza, del denaro, del potere, dell’avere: una storia, questa, che è fatta anche dal popolo che, quando è oppresso, sogna la libertà, e quando l’ha raggiunta, rientra nel sistema della forza, del denaro, del potere, dell’avere.
Il regno della luce che è bontà, giustizia e verità
San Paolo, nella lettera ai cristiani di Efeso, ricorre al contrasto tra tenebre e luce, e la luce richiama il giorno. Altro che il “giorno del Signore”, inteso come vendetta di Dio!
Nelle lingue di origine latina come l’italiano, il francese e lo spagnolo, il termine Dio, Dieu o Dios deriva dal latino “deus” (a sua volta collegato ai termini, sempre latini, di “divus”, “splendente”, e “dies”, “giorno”). Il termine “Dio”, dunque, ha il valore di “luminoso, splendente, brillante, accecante”. Quando pensiamo a Dio dovremmo pensare a un cielo che si apre, sempre più terso, e non a un cielo che si copre di nubi minacciose. Ecco l’invito di San Paolo: «Comportatevi come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità».
Qui sta anche il progresso dell’Umanità. Ho detto “progresso”, da intendere come cammino. Si cammina per andare avanti. Sempre San Paolo: «Camminate nella carità». La carità non è da intendere solo nel fare qualche opera buona. La Carità consiste nel camminare verso quell’unità profonda, dove ci si sente uniti, perciò solidali, e ciò avviene nel nostro essere più interiore, condotti dallo Spirito di Dio. Lo Spirito di Dio non agisce in superficie, non ci aiuta a costruire castelli sulla sabbia, ma ad entrare nel cuore dell’Umanità, là dove ogni distinzione si scioglie.
Dove sta la novità del Cristo radicale?
Anche il brano del Vangelo va letto in profondità, al di là delle descrizioni apocalittiche. C’è una storia che è legata al tempo che passa, e che travolge ogni cosa: l’uomo ne è l’artefice e ne è contemporaneamente vittima. Più egli fa, più disfa. Più l’uomo agisce in superficie, più distrugge e si auto-distrugge, in un vortice di cui nessuno conosce bene la portata delle conseguenze, ma… c’è un ma.
Il mondo sarebbe già finito da secoli, se non ci fosse quell’altro mondo di energie interiori, che, men che te lo aspetti, salva l’Umanità da ogni catastrofe.
Qui si inseriscono i due inviti di Cristo. Il primo: «Badate di non lasciarvi ingannare!». L’inganno, la menzogna, il profetismo di sventure sono sempre stati i veri nemici dell’Umanità. Un’opera diabolica che si realizza ogni giorno nelle istituzioni statali e nelle istituzioni religiose. Il diavolo per definizione è colui che divide, con l’inganno.
Tutto è inganno: viviamo tra inganni d’ogni tipo. I nostri occhi non sono sufficienti a scoprire le menzogne. La nostra mente resta all’esterno della realtà. Il cuore rimane turbato, ma non va oltre.
Ed ecco il secondo invito: «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina». Finché rimarremo chini su noi stessi, ricurvi sulle cose che passano ingannandoci, stretti tra le menzogne di missionari di professione, non potremo vedere la nostra liberazione, che l’autore dell’Apocalisse esprimerà con le parole: “nuovi cieli, nuova terra”.
Il vero dramma di questo mondo sta nel divario tra l’esterno che passa, travolto dagli eventi, e l’interno dell’essere umano che viene lasciato indietro, incapace perciò di dare novità di vita al mondo stesso. Risollevarci e alzare il capo significa, perciò, fermarci per qualche tempo, toglierci l’ingombro delle cose ingannevoli, riprendere quel respiro profondo dell’Umanità, che si chiama spirito vitale.

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