Omelie 2016 di don Giorgio: DOMENICA DELLE PALME

20 marzo 2016: DOMENCA DELLE PALME
Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Settimana autentica
La Settimana Santa, quella che per i cristiani era chiamata anticamente “autentica”, nel senso che era l’eccellenza, ma soprattutto perché era il modello di tutte le altre settimane – non dimentichiamo che la domenica (da dies domini) è il giorno in cui Cristo è risorto – viene introdotta con la festa detta dell’ulivo o delle palme.
Già qui potrei fare tutta un serie di riflessioni. Parlando di cristiani, distinguerei i cristiani autentici dai cristiani della Messa di mezzanotte e dai cristiani dell’ulivo. Le chiese si riempiono alla mezzanotte di Natale anche di gente che di solito non va mai a Messa: è una tradizione come mangiare il panettone a Natale. Così la domenica delle Palme tantissimi, anche poco credenti e per nulla praticanti, vanno in chiesa a prendere un ramoscello di ulivo, senza magari partecipare poi alla Messa.
Quando ero a Sesto San Giovanni (dal ’74 al ’83), davanti la Chiesa c’era anche chi vendeva l’ulivo per conto proprio: c’era un grande via vai tra chi si limitava a prendere l’ulivo per poi tornare a casa (anche gente di passaggio) e chi entrava in chiesa.
Era pura superstizione? Credo proprio di sì.
Perché l’ulivo?
Perché l’ulivo? I cristiani autentici risponderebbero: per ricordare il gesto degli abitanti di Gerusalemme che, come dicono i Vangeli, avevano accolto trionfalmente Gesù mentre entrava nella Città santa, pochi giorni prima che venisse condannato e messo su una croce.
In realtà, gli evangelisti non parlano di rami di ulivo, ma di rami tagliati dagli alberi o di fronde tagliate nei campi. Solo il quarto evangelista parla di rami di palme.
Il diluvio: rametto di ulivo e arcobaleno
Certo, gli ebrei non potevano dimenticare il mito del diluvio, quando Noè, dopo quaranta giorni di piogge ininterrotte, per sapere se la terra fosse vicina, aveva lasciato uscire dall’arca prima un corvo, senza ottenere alcun risultato, e poi una colomba, la quale, poco dopo, era tornata con “una tenera foglia di ulivo” nel becco. E gli ebrei ricordavano anche le parole del Signore, quando benedisse Noè e i suoi figli, scampati dal diluvio: «… ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri discendenti dopo di voi… Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi, e ogni essere vivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il segno dell’alleanza tra me e la terra… L’arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra».
L’arco è l’arcobaleno, a cui verrà sempre annessa la pace non tanto come ideale generico di fratellanza, ma come simbolo di una nuova umanità. In questo senso il Signore parla di alleanza, alludendo a quella che verrà inaugurata da Gesù Cristo.
Anche l’ulivo è simbolo di una nuova umanità. Ma forse a noi moderni non interessano molto i simboli. Ci è rimasto ben poco del mondo dei segni. Viviamo di talismani, di amuleti, di magie, di superstizioni.
Siamo pragmatici: ci aggrappiamo a tutto pur di ottenere qualcosa di concreto, di immediato, di efficace. A che ci serve un  mondo di utopie o il mondo interiore? Non ci si campa. Noi moderni siamo realisti. Ma che significa realtà?
L’ulivo e i bambini
Un evangelista, precisamente Matteo, parla anche della presenza dei piccoli, durante l’ingresso di Gesù. Gridano così tanto, con tale entusiasmo, che i caporioni tentano di farli zittire. Ma Gesù risponde che la loro voce è la migliore lode a Dio.
Quando ero prete di parrocchia, mi commuoveva vedere i bambini tenere in mano con tanta gioia un ramoscello di ulivo, mentre dall’oratorio si procedeva verso la chiesa per la Messa. Sceglievano il ramoscello più grande, talora più grande della loro persona.
Una domanda: i piccoli del giorno d’oggi hanno forse perso la voce? Quanto mi arrabbio nel vederli strumentalizzati ai fini delle nostre lotte sociali o sindacali o altro! Mi sembrano che i ragazzi moderni manchino di spontaneità, di quel loro fascino d’essere che, quando esce allo scoperto, sa ancora incantare. Ma a noi adulti preme solo il nostro io, che da tempo ha distrutto quel “fanciullino” di pascoliana memoria che, comunque lo si voglia intendere, può ancora ricordarci qualcosa di quella semplicità, più volte richiamata dallo stesso Gesù Cristo. Nel campo mistico, la parola “semplicità” dice tutto un mondo che è l’esatto contrario della complessità o della frammentazione. Tutto è uno, nella semplicità più assoluta.
E gli adulti?
Se per un bambino ha ancora senso un ramoscello di ulivo, per gli adulti dovrebbe invece avere più senso un ramoscello di palma. Non sto qui a elencare tutta la simbologia presente nella palma. Dico solo che già presso i primi cristiani la palma era simbolo di vittoria, ma attenzione: nell’iconografia cristiana la palma era spesso associata ai martiri. Motivo? I martiri erano ritenuti i veri vincitori, e non tanto vittime delle persecuzioni del potere. Quanta confusione c’è nel campo del martirio! C’è un martirio subìto e un martirio come testimonianza cosciente. Uno può essere vittima per caso di un atto terroristico, ma non si può parlare di martirio o di atto eroico.
Palma e martirio, ovvero testimonianza, come dice l’etimologia della parola “martirio”. Altro che pace, come serenità o tranquillità o comodità, o pacifismo e via di seguito. Ogni giorno è un martirio, ovvero una testimonianza di Umanità. Ogni giorno ha la sua pena, ma la pena senza martirio non ha senso.
Anche i bambini imparano ben presto che l’ulivo è destinato a trasformarsi in una palma. Spetterà a noi adulti prepararli alla lotta, e non invece proteggerli, lasciandoli in un mondo di bambagia. Un passo per volta, ma bisognerà pur lasciarli volare. Ma con i piedi per terra. Su una terra che è l’anima del mondo.

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