Omelie 2012 di don Giorgio: Domenica che precede il Martirio di san Giovanni il Precursore

 26 agosto 2012: Domenica che precede il Martirio di S. Giovanni

I brani della Messa sono un po’ lunghi, la cui lettura ha richiesto più tempo del solito: cercherò perciò di sintetizzare le mie riflessioni.
Una parola accomuna i tre brani, ed è radicalità. Di fronte alla Parola di Dio non ci devono essere mezze misure. Non si tratta della fedeltà del servo che deve obbedire senza discutere al proprio padrone. La radicalità non sta nella scelta tra Dio e la nostra libertà, ma tra la nostra libertà e la schiavitù di un potere che fa di tutto per rubarci la nostra dignità umana. La parola di Dio è la migliore garanzia della nostra libertà. In questa prospettiva vanno letti i tre brani.
Il primo presenta il martirio dei sette fratelli e della loro madre che rifiutano di mangiare cibo proibito dalla legge ebraica. Più che una questione di cibo, in ballo c’era la stessa religione ebraica che il re pagano, Antioco IV Epifane, voleva a tutti i costi distruggere, usando ogni mezzo, anche imponendo di mangiare cibi proibiti dalla legge. In questo senso l’episodio acquista un valore fortemente educativo. Certo che la vita è superiore a un pezzetto di carne, ma in quel pezzetto di carne proibito dalla legge gli ebrei vedevano un valore spirituale da salvare.
Oggi, dicendo che tutto è relativo, che non vale la pena di sacrificarci per qualcosa di materiale, abbiamo perso anche ciò che la legge può rappresentare. Da una parte si è arrivati al punto di assolutizzare certe norme religiose, anche a costo di sacrificare la vita stessa che è il bene di per sé prioritario, e dall’altra ci si è svincolati dal peso di certe leggi tradizionali, cadendo magari in altre schiavitù ben peggiori. Pensate ai giovani, e dire giovani non è un caso, dal momento che il primo brano parla di uno dei fratelli, il più giovane, su cui il re voleva far presa per convincerlo a disobbedire. Ma il ragazzo non cede, sorretto in questo da una madre coraggiosa. Quante madri moderne avrebbero il coraggio di dire ai propri figli, a iniziare dai più giovani, di essere fedeli alla propria coscienza? Sì, perché in fondo di questo si tratta: di essere fedeli alla propria coscienza. Parola grossa! Quanti parlano oggi di Coscienza?
Un tempo si insisteva nel dire: Fate i bravi! Mi raccomando! E nello stesso tempo si educavano i figli a dei valori, anche con una coerente testimonianza di vita. I ragazzi crescevano in un contesto educativo che li proteggeva dai pericoli. Oggi forse si dice ancora ai figli: Fate i bravi, ma quali valori si insegnano loro? Con quale testimonianza di vita? Un tempo si proponevano, in casa e nella catechesi, modelli di santi fortemente educativi, oggi i modelli sono completamente diversi: idoli di cartapesta del mondo del sport o delle veline. Parlare oggi di Coscienza non solo è difficile, ma neppure si tenta di farlo. Si ha quasi vergogna, come se la Coscienza fosse qualcosa di bigotto. Un motivo c’è: abbiamo legato la Coscienza ad una questione religiosa, come se la Coscienza fosse una prerogativa dei credenti. Venendo meno la religione, ci si sente quasi liberi anche dalla Coscienza, vista come un legame. Oggi si pensa di essere liberi, svincolandoci dalla stessa Coscienza. Forse passerà ancora molto tempo prima di recuperare il senso della Coscienza come valore umano, insito cioè in noi come esseri umani.
È chiaro che per noi credenti la Coscienza ha un valore sacro, dal momento che è la stessa voce di Dio. Ma purtroppo la religione ha preteso di interpretare la voce divina in noi emanando leggi, norme, disposizioni che non hanno fatto altro che spegnere la stessa voce della Coscienza. Questo, purtroppo, è il rischio di ogni religione, ma è anche il rischio di ogni struttura civile: lo Stato interpreta a modo suo la Democrazia, la Libertà, la Giustizia. E così, nella religione e nelle istituzioni civili, la Coscienza viene coperta dalle norme, quasi per paura che il credente e il cittadino, appellandosi alla Coscienza, disobbediscano al potere religioso e civile.
Leggendo il primo brano, il martirio dei sette fratelli e della loro madre, dobbiamo stare attenti: nelle leggi della religione ebraica, quella di non mangiare carne proibita, dobbiamo cogliere il senso dell’Alleanza di Dio con il popolo eletto. Il re pagano sapeva che, colpendo gli ebrei nelle loro tradizioni, colpiva la stessa religione ebraica. E gli ebrei sapevano che, disobbedendo ai precetti dei loro padri, mettevano a rischio la stessa Alleanza con Dio.
È chiaro che la fede in Dio non si riduce nell’obbedire materialmente a delle norme. Anche noi cristiani siamo caduti in questo errore. Cristo stesso ci aveva avvertito, e aveva avvertito anzitutto i capi ebrei del suo tempo: il sabato è per l’uomo, e non l’uomo per il sabato. Si era arrivati al punto tale di ipocrisia – ecco la parola giusta usata da Gesù – da coprire il vero volto di Dio. Ogni legge religiosa deve esprimere il volere di Dio. Come ogni legge civile deve esprimere il senso dello Stato, che consiste nella democrazia.
Tuttavia le norme ci vogliono: siamo esseri umani, in anima e corpo. Ma le leggi, per esprimere la nostra dignità umana, non devono mortificare la Coscienza, che è l’anima del singolo e dell’universo. Quando siamo costretti a scegliere tra una norma e la Coscienza, allora possiamo vivere un dramma, come i martiri che hanno dato la vita per essere coerenti con la propria Coscienza.
Ma la vita non vale più di una norma? La vita non vale più della stessa Coscienza? Non è facile rispondere. Lo stesso Galileo ha abiurato per salvare la propria vita. Ha fatto bene o ha fatto male? È giusto che un giovane scienziato che ha un promettente futuro davanti, o un medico che potrebbe continuare a fare un mucchio di bene a questa società, rischi la propria vita esponendosi eccessivamente, anche nella migliore intenzione di portare avanti principi di giustizia o di fratellanza?
Quante volte mi sono chiesto se Maria Goretti, la ragazzina che per non sottoporsi alle voglie del suo violentatore è stata barbaramente uccisa, ha fatto bene o male a comportarsi in quel modo. La vita non vale più di un pezzetto di carne?
Comunque, una cosa mi pare importante dire: non è una contraddizione star qui a discutere sulla opportunità o meno di una scelta radicale di quei martiri che si sono sacrificati per essere fedeli ai valori e alle virtù della loro religione, quando oggi migliaia e milioni, di giovani soprattutto, sacrificano la vita in nome di un consumismo idiota, senza senso, privo di valori umani? La religione ha cambiato volto, ha cambiato Dio: oggi ci si rovina sacrificandosi a idoli materiali. E non c’è verso di farli ragionare.
Se c’è stato un momento in cui la Chiesa ha proposto in modo eccessivo la testimonianza di santi quali modelli di virtù eroiche, oggi forse sentiamo il bisogno di nuovi modelli di virtù umane, voci di quella Coscienza universale, che accomuna fedi religiose e fedi politiche.      

 

1 Commento

  1. Luciano ha detto:

    Grazie don Giorgio. Oggi essere figli e genitori, non è facile. Ognuno di noi è simile ad una spugna che assorbe ogni liquido, sia puro che impuro. Poi durante il cammino della vita, ognuno prende la propria strada che è stata sensibilizzata dagli incontri e daai raapporti che ciascuno ha vissuto. Io sono un genitore e ai nostri figli ho passsato sia il positivo cheil negativo. I valori in cui crediamo sono la serietà nei rapporti, la leaaltà, la disponibilità e non amiamo le dietrologie e gli opportunismi. Non amiamo apparire, vogliamo cercare di essere sempre noi stesssi. Purtroppo in questa società in cui viviamo e di cui abbiamo delle reesponsabilità, i nostri figli vivono in un mondo irreale, pieno di opportunismo, di arrivismo e di possesso fine a se stesso. In questo, devo sottolineare che alcuni preti, hanno delle responsabilità. La chiesa gerarchica, non mi pare che dia la Testimonianza Radicale nel Vivere il Vangelo. Si, è vero, questi alti prelati e, di conseguenza, scendendo, i vari presbiteri ossequiosi e certi laici serventi, hanno contribuito a formare un senso di nausea e di conseguente allontanamento dalla fede e dalle varie liturgie che lasciano sempre più il tempo che trovano. Ad eccezione dei battesimi, delle comunioni e dei matrimoni, quelli residui. Questi momenti, sono visssuti come scampoli di feste laiche con contorno religioso. Ma questo non è giusto imputarlo solo ai genitori. Diciamo che spesso le comunità dei credenti, alcuni preti in primis, tali non sono. Sembrano piuttosto come strutture settarie, slegate comunque nel proprio interno. In questo humus, certe persone, non si sentono accolte, per cui vivono comunque la loro vita distaccata dalla “pseudocomunità” e, decidendo di far festa, accettando di ricevere dei sacramenti, dando poi un senso prettaamente laico al tutto. In questa tiepidezza, diventa difficil portare avanti certi valori. Soprattutto quando ti aspetteereesti un sosteegno taangibile dalla comunità e dal “pastore” che invece, spesso si riduce ad una devastante indifferenza. Però nella Chiesa di Cristo, non ci sono solo inutili alti prelati e preti insulsi, nè caldi nè freddi (da vomitare,)ci sono anche pastori e laici che vogliono costruire la Comunità dei Credenti, ciaascuno con il proprio Carisma e nell’Umiltà che Gesù ci insegna. Grazie don Giorgio per questaa sua omelia che tanto bene mi fa e che mi aiutaa anche a scrivere le amarezze che provo daa troppo tempo, confortato da persone che come lei vanno controcorrente. Buona Festa.

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