Omelie 2019 di don Giorgio: Domenica che precede il Martirio di S. Giovanni il Precursore

25 agosto 2019: Domenica che precede il Martirio di S. Giovanni il Precursore
2Mac 6,1-2.18-28; 2Cor 4,17-5,10; Mt 18,1-10 
Il primo brano della Messa non è di facile interpretazione. Il problema posto non è quello del divieto per un ebreo di mangiare carne di suino. Qualcuno ancora oggi potrebbe porre la domanda: come si può rinunciare alla vita per un pezzo di carne? La vita, cioè, non vale di più?
La Bibbia e le prescrizioni alimentari
Nella Bibbia le prescrizioni alimentari erano un segno di distinzione del pio israelita rispetto ai pagani. L’Antico Testamento indica, infatti, tutta una serie di norme che vietano la consumazione di determinati cibi, considerati impuri, e i metodi di macellazione di quelli invece leciti. Per questo le prescrizioni alimentari contraddistinguono ancora la religione ebraica e quella islamica ma non, come alcuni credono, il Cristianesimo.
Cristo, portando a compimento la Legge, ha dato una superiore definizione della categoria puro-impuro. Non è il cibo a rendere immondo l’uomo ma il peccato (Mt 15,10-20); ancora più esplicitamente l’evangelista Marco conclude: “Così dicendo, dichiarava puri tutti i cibi” (Mc 7,19), senza nessuna eccezione. Sulla stessa linea, san Paolo invita a considerare buono tutto ciò che fa parte del creato (1Tm 4,1-4), per cui non c’è più posto per condanne “in fatto di cibi o di bevande” (Col 2,16). Così Pietro, nella visione (Atti 11, 5-10), è invitato a mangiare cibi “immondi” con l’invito a non considerare impuro “quello che Dio ha purificato”.
I simboli
Una cosa vorrei dire a proposito di alcuni simboli che rappresentano valori sacri e intoccabili, sia per un cittadino (pensate alla bandiera nazionale) che per un cristiano (pensate alla croce).
Certo, anche i simboli sono relativi e possono mutare di contenuto lungo i secoli, ma credo che un periodo storico privo di simbologie sia triste e vuoto di speranze.
Attenzione: non è tanto un pezzo di stoffa o un pezzo di legno che è sacro e intoccabile, ma ciò che essi rappresentano (la patria o la fede).
Se togliamo tutti i simboli, priviamo la nostra esistenza di qualcosa per cui valga la pena di viverla.
Esempio di un anziano
C’è un alto aspetto molto importante presente nelle parole dell’anziano Eleàzaro, invitato dagli amici a salvare la vita fingendo di mangiare carne suina.
Don Angelo Casati così commenta: «Vi dirò che… mi ha colpito una delle motivazioni che Eleàzaro adduce a chi lo invita a fingere, per avere salva la vita. Egli risponde: “… non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia” . Mi colpivano, commenta Don Angelo, le parole di Eleàzaro perché mi spingevano a chiedermi se ci appartenga, o invece no, questa attenzione alle generazioni future, se ci sentiamo nei loro confronti in debito di una testimonianza e, ancora, se oggi dal mondo adulto o della vecchiaia essi possano attingere forza di credere, coraggio di sperare, voglia di impegnarsi o se, al contrario, messi davanti ai nostri intrighi, alle nostre diplomazie, ai nostri compromessi, non ricevano invece impulso a lasciar perdere. Con la conseguente crescita del disimpegno e della indifferenza».
Società liquida
Qui sta un insegnamento che chiamerei esistenziale, tale cioè da toccare un aspetto che oggi sembrerebbe venir meno. Mancano punti di riferimento che possiamo chiamare solidi esempi, modelli, testimonianze, a cui soprattutto i giovani guardano.
I giovani sono oggi disorientati, in balìa del vuoto, sballottati da una liquidità follemente instabile. È la cosiddetta “società liquida” di cui parlava Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo e accademico polacco. Liquidità: non si poteva trovare un termine migliore, per fare capire l’instabile situazione sociale e soprattutto culturale del mondo d’oggi.
I giovani non sanno neppure da dove vengono e dove vanno. E tanto meno sanno come trovare qualche punto di appoggio. Basta una corrente diversa e ogni cosa viene trascinata altrove, ma i venti non sono quelli dello Spirito che indirizzano verso un porto sicuro, ma gli umori, i capricci, i condizionamenti vari di poteri dominati da altri poteri: alla fine è difficile individuare il vero movente.
«Chi è dunque più grande nel regno dei cieli?»
Il brano di Matteo ha come contesto la domanda dei discepoli a Gesù: «Chi è dunque più grande nel regno dei cieli?». «Allora chiamò a sé un bambino», così traduce la nostra versione liturgica. Commenta don Angelo Casati: «Ma il termine in greco non si riferisce al bambino. Il termine, più correttamente, significa ragazzo, servo, garzone. “In questione, scrive il biblista don Gianantonio Borgonovo, “non è la figura del bambino, ma quella del garzone o del servo che non aveva alcuna specifica mansione, se non quella di aiutare. Questo è il modello per i discepoli. Infatti la parola del Maestro è chiara: “Se non cambierete modo e non diventerete come questi garzoni/ragazzi non entrerete nel regno dei cieli. Chi si fa piccolo come questo ragazzo, come questo garzone, entra…”». Continua don Angelo Casati: «Siamo lontani da possibili fraintendimenti, come se in queste parole di Gesù potessimo odorare quasi un invito a una sorta di infantilismo. L’invito è a diventare, passate la parola, “garzoni” nella comunità, contrastando ogni atteggiamento o manifestazione che sa di dominio. Non è forse vero che, proseguendo nella lettura del Vangelo, ascolteremo Gesù dire: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole diventare il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in  riscatto per molti”» (Mt 20,25-28).
Una sola brevissima riflessione pratica. Come sono le nostre comunità cristiane? Sono scomparsi i garzoni, nel senso di gente sempre disponibile a qualsiasi servizio, anche il più umile. No! Ognuno si tiene in parrocchia il proprio incarico, possibilmente una buona posizione di dominio, e guai a smuoverlo invitandolo a fare qualche umile servizio. Questa mania di comandare, di tenersi autonomamente le proprie responsabilità di comando, quanto male sta facendo a una comunità che vuole maturare nella fede.

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