Omelie 2012 di don Giorgio: Prima Domenica dopo la Dedicazione

28 ottobre 2012: Prima dopo la Dedicazione

At 8,26-39; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
 
Vorrei fare alcune riflessioni, prendendo in considerazione ciascuno dei tre brani della Messa. Parto dall’episodio che si trova nel libro degli Atti degli apostoli. In sintesi: Filippo evangelizza un etiope e lo battezza. Anzitutto, chi era questo Filippo? Non era l’omonimo apostolo, uno dei Dodici, ma uno dei sette “diaconi”, incaricati di organizzare “il servizio delle mense”. I diaconi avevano anche la facoltà di predicare la Buona Novella. Allora, nei primi tempi della Chiesa, non erano ancora nate le specializzazioni. È vero che il diaconato è stato istituito perché gli apostoli fossero più liberi di annunciare il Vangelo, ma non per questo gli apostoli avevano separato la carità dalla parola di Dio. E non per questo i diaconi si sentivano come esclusi dal predicare la Buona Novella. Come si fa a separare la carità dalla parola di Dio?
Dunque Filippo, che si trovava a Gerusalemme, dietro l’ispirazione del Signore a rimettersi in viaggio verso Gaza, incontra per strada un etiope, funzionario al servizio della regina d’Etiopia. Anch’egli si era recato a Gerusalemme in pellegrinaggio. Pur essendo un etiope, era legato al giudaismo: se non un proselito, perlomeno era un “timorato di Dio”. Seduto sul suo carro da viaggio, leggeva a voce alta, secondo l’usanza degli antichi, un passo del profeta Isaia, precisamente il celebre capitolo 53. Leggeva, ma non riusciva a capirne il senso. Filippo gli si accosta e gli chiede se comprende ciò che sta leggendo. L’etiope allora gli chiede di aiutarlo. Filippo, partendo proprio dai profeti, coglie l’occasione per parlare di Gesù e del suo Vangelo. Poi, fermatosi in un posto dove c’è dell’acqua, lo battezza.
È un episodio avvolto nel Mistero o, meglio, rievoca nei suoi tratti meravigliosi l’azione tipica di Dio al tempo degli antichi profeti: l’angelo, lo Spirito di Dio, il trasporto istantaneo di Filippo ad Azoto. Non lasciamoci prendere dalla smania di soddisfare le nostre curiosità correndo ad inseguire qualche particolare accattivante del racconto. Anzitutto, raccogliamo questo insegnamento: Dio agisce in tutta libertà, tuttavia non si diverte a fare il prestigiatore. La Bibbia va letta senza soffermarsi agli aspetti più coloriti, che fanno parte del racconto, secondo lo stile dell’autore sacro e secondo anche certe credenze popolari. Non è questo il punto. Lo so che la gente ama i santi estrosi, i santi fuori del normale, gli interventi mirabolanti di Dio. E, anche se un santo non ha compiuto cose straordinarie, si va a ingigantire anche le cose più normali. Ripeto, Dio è libero di far volare anche i grattacieli, ma, siccome è serio, solitamente non lo fa. È nella normalità che Dio si rivela. Dio è proprio il “Mysterium absconditum”, il Mistero nascosto. Presente, realmente presente, ma nascosto. Perciò da scoprire. È così presente che si rivela nelle cose più ordinarie. Ma siccome a noi piace il sensazionale, pretendiamo che Dio si riveli in modo del tutto eccezionale. Talora ci vuole tutta la nostra fantasia per scoprire i segni della sua presenza. Eppure basterebbe poco per vederla.
Ciò che mi ha particolarmente colpito in quell’etiope che stava leggendo un brano di Isaia era la sua sete di conoscere. Avessimo anche noi questa sete di verità, quelle profonde! Le occasioni non mancherebbero. Non è necessario che Dio ci metta vicino qualche persona istruita. Basta la voglia.
Perché non sentiamo più questo desiderio d’Infinito? E pensare che, come ha detto San Agostino, il nostro cuore è inquieto finché non riposi in Dio. Sì, siamo inquieti. Soprattutto oggi. Più soddisfiamo il cuore con le cose, più il cuore è insoddisfatto. Dio è dentro di noi, Dio è dentro la natura, Dio è dentro anche nelle cose più semplici. Dire che è dentro vuol dire cambiare tutto il nostro modo di agire, di vedere questo mondo. Tutto è importante, anche il mondo nella sua materialità, ma è lo spirito che dà vita alla materia. Nelle più piccole cose Dio si fa grande. Nelle cose grandi Dio si fa piccolo.
Il secondo brano è tolto dalla prima lettera di san Paolo a Timoteo. È una delle tre lettere cosiddette “pastorali”, perché indirizzate a responsabili dì comunità cristiane (Timoteo e Tito) e perché richiamano i doveri del ministero pastorale. Timoteo era discepolo e collaboratore di Paolo fin dal secondo viaggio missionario. L’apostolo gli indirizza due lettere: la prima riguarda l’organizzazione della Chiesa di Efeso, di cui Timoteo era stato costituito “episcopo” (il termine greco significa “sorvegliante”, di qui il nostro “vescovo”). Timoteo dovrà difendere le verità del Vangelo di fronte ai falsi maestri, in quanto pastore educherà i cristiani alla preghiera e alle buone opere e sceglierà con prudenza i capi delle chiese. Inizialmente non c’era distinzione tra “episcopi” e “presbiteri” (oggi diremmo, i preti comuni). Avevano gli stessi compiti e la stessa responsabilità. Nel Nuovo Testamento il termine “episcopo” non ha ancora quel significato di capo unico di una chiesa locale, che invece avrà all’inizio del II secolo.
Tra i compiti del vescovo e anche del ministro di Cristo in genere c’era quello di pregare, ovvero “che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti” anche per i responsabili nella vita civile, “per i re e tutti quelli che stanno al potere”: Con quale scopo? “Perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.
I primi cristiani, anche perché erano sotto continua minaccia, perseguitati dal potere politico, pregavano frequentemente per i loro governanti. La preghiera era l’unica arma che avevano a disposizione. Se necessario, erano pronti al martirio. Ci hanno sempre detto che i cristiani erano pronti a sacrificare la vita per difendere la loro fede. Che significa ”difendere la fede”? La fede in che cosa? Avevano un grande messaggio da vivere e da comunicare, e non un insieme di dogmi che per fortuna non si erano ancora formulati. Tutto, anche la morale, dipendeva dal Vangelo. Il Messaggio evangelico non scendeva a compromessi, non chiedeva favori speciali. Si pregava per i governanti perché la società vivesse in pace, e non tanto perché la Chiesa vivesse nella quiete. Non era forse una una contraddizione chiedere ai governanti la quiete, quando il messaggio che la Chiesa proponeva era sconvolgente, una Novità che di per sé non permetteva di stare in pace? Pregare per i potenti non significa chiedere loro dei favori per ottenere dei privilegi. Cristo – lui l’aveva detto esplicitamente – era venuto per dividere l’ingiustizia dalla giustizia, il falso ordine dall’ordine dell’amore, per rimettere al posto giusto i valori, per riequilibrare l’essere umano, così sbilanciato tra il bisogno dell’infinito e i bisogni puramente terreni. Subito la Chiesa, appena si organizzerà in strutture sempre più rigide, avrà bisogno di conquistarsi i favori del potere. E scenderà a compromessi: a umilianti compromessi. Fino ad oggi. Certo che dobbiamo pregare per i nostri governanti: perché siano saggi, amanti del bene comune, mettano in primo piano gli interessi del popolo, ma prima la Chiesa deve dare il buon esempio: non farsi prendere essa stessa dalla tentazione del potere.
Il brano del Vangelo, a prima vista, potrebbe confonderci le idee, come se la prima preoccupazione della Chiesa, nei suoi rappresentanti, fosse quella di andare alla conquista del mondo. In realtà, così è successo. Non sono passati tanti anni dalla Pasqua, e ci si preoccupò di battezzare più che di annunciare la Buona Novella. Battezzare, ovvero conquistare le anime alla causa della religione cattolica. Cristo non la pensava così. Il suo Messaggio andava oltre una religione. Non poteva essere racchiuso in una struttura religiosa. Era venuto per aprire i cieli sull’Umanità. Come poteva pensare di ricostruire una nuova religione? Cristo ha distrutto ogni religione, per rifare invece l’Umanità, distrutta anche dalle varie religioni. Se dobbiamo parlare di religione, allora diciamo che la nuova religione è l’Umanità redenta, ovvero liberata, da Cristo. Liberata dai legami di una religione che, alleandosi di volta in volta col potere più forte, vincola l’uomo nel suo respiro profondo, che è quello del suo essere umano.
“Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”. Che significa “proclamare il Vangelo”? Qui sta il punto. Oggi si parla di evangelizzazione. Una parola che complica la fede semplice dei credenti. Ma sulle parole complesse la Chiesa ha sempre giocato molto bene, facendo intendere e non intendere, così da far passare un messaggio apparentemente radicale. Cristo parlava di liberazione, così intendeva la salvezza. Liberare l’uomo e il mondo da che cosa? Certo dal peccato, parola che significa venir meno. Venir meno a che cosa? Al proprio essere umano. La Chiesa invece ha subito inteso per peccato una mancanza di tipo legale, ovvero un venir meno alle leggi. E le leggi se mancano un punto di riferimento, ovvero se diventano fini a se stesse, sono dannose alla causa, che è la liberazione dell’uomo. Ogni legge deve tendere alla libertà. Se la legge è una schiavitù, ovvero una imposizione, allora diventa un peso inutile e dannoso. La vera condanna non proviene tanto da un giudizio che viene dall’esterno: se non faccio questa cosa, Dio mi condanna. Non vanno intese così le parole di Cristo: “Chi non crederà sarà condannato”. La condanna sta nel venir meno al mio essere umano. Ogniqualvolta tradisco me stesso, la mia dignità umana, mi auto-condanno. Non devo comportarmi bene perché altrimenti andrò all’inferno. Mi devo comportare bene perché ciò è richiesto dal mio essere umano.
La religione che cosa fa? S’intromette tra me e Dio, e fissa norme e regole, stabilendo anche il premio e il castigo. La religione mi fa perdere il contatto con me stesso. Se è vero che ognuno di noi, come dice la Bibbia, è fatto a immagine e somiglianza con Dio, nessuno si deve permettere di stabilire chi sono io, di offuscare tale immagine e somiglianza.
Cristo, dunque, è venuto per restituire all’essere umano la sua autentica dignità. Tutta qui la salvezza. E qui sta la mia condanna, quando io stesso ignoro o distruggo me stesso. Il discorso naturalmente si allarga all’umanità intera. Noi siamo esseri sociali. Forse per questo, proprio per questo la religione avrà sempre il suo peso. Agisce sul singolo e nel singolo, e agisce sulla massa e nella massa.     

 

1 Commento

  1. Luciano ha detto:

    Grazie don Giorgio. Condivido pienamente e faccio mio il suo pensiero. Davvero la religione usa delle regole capestro per svilire l’umanità e l’autenticità dell ‘uomo Creatura diDio, fatta a Sua Immagine e Somiglianza.C risto è venuto davvero per restituire all’essere umano la sua autenticità. Davvero la condanna, avviene ogni volta che rinuncio alla mia umanità che è immagine e somiglianza del <creatore. Grazie ancora don Giorgio per avermi aiutato anche oggi a Celebrare con lei e con tutti quelli che si riconoscono in questo modo di essere Chiesa, a Celebrare la Parola di Dio Viva e Incarnata. Buona Festa.

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