Omelie 2023 di don Giorgio: TUTTI I SANTI

1 novembre 2023: TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a
Ancora oggi, il primo novembre la Chiesa cattolica celebra solennemente la festa di tutti i santi: una festa che come cristiana risale al IV secolo, ma che ha origini ancora più antiche che si fondono con la cultura delle popolazioni celtiche. D’altronde, sappiamo che la Chiesa, se per un verso ha cercato di sradicare tutto ciò che proveniva dal mondo pagano, anche dissennatamente quando in gioco era l’antico pensiero greco, per l’altro la sua è stata una ingenua pretesa, quella di cristianizzare le feste (pensate al giorno del Natale) o tradizioni pagane, ed è successo che, col tempo, lo vediamo oggi, il paganesimo, anche nelle sue forme peggiori, è riuscito a prendersi le sue rivincite. Un discorso interessante da fare.
Vorrei soffermarmi sul terzo brano, che riporta la pagina delle Beatitudini. Una pagina famosa, anche se la maggior parte anche dei fedeli non sa che è come la porta d’ingresso al cosiddetto Discorso della Montagna: un Discorso da tutti invidiato, anche dai non cristiani; lo stesso Gandhi ha riconosciuto: “È il Discorso della Montagna che mi ha riconciliato col cristianesimo».
A proposito delle Beatitudini, don Primo Mazzolari ha scritto: «Leggo, non predico. Le Beatitudini non si predicano: sono per me e per tutti: non sono per gli “altri”. Nessuno può darle a parole».
Da un opuscolo, che avevo scritto tanti anni fa, proprio a commento delle Beatitudini, traggo queste riflessioni, sempre attuali e stimolanti, almeno per me.
Partono da una domanda che include già la risposta: «Non basterebbe questa pagina a schiarirmi certe idee che ho di Dio, e il mio rapporto con Lui? Sì, perché in definitiva le Beatitudini non sono tanto una serie di atteggiamenti o situazioni maledette o benedette. Da demonizzare o enfatizzare. Sono piuttosto come misteriose note di un pentagramma musicale, sprigionanti voci sublimi, per una grande sinfonia. Da ascoltare, ogni volta, con emozioni diverse. Una sinfonia, che corre su di un unico tema: Dio Padre. E non è questo – il pensiero e il volere di Dio nei miei riguardi – che fonda il mio essere? La mia fede? La carità e la giustizia? I miei diritti, e corrispettivi doveri? Sono “beato”, cioè gradito, se io la penso come il Signore. Se vivo come Lui mi vuole. Una cosa è certa, ed è Parola eterna: Dio sta dalla parte di chi soffre. Con il giusto perseguitato. In difesa del demente emarginato. E il Signore vuole che anch’io lo sia: misericordioso, comprensivo, attento, sensibile verso tutto il soffrire umano. Ogni mia freddezza può arrestare il suo Regno, già presente. E sono giudicato, già ora. Gesù mi dice ancora di più: e cioè che tutte le ingiusti-
zie di questo mondo ci sono, perché l’uomo è egoista. Io sono egoista. La vera tragedia non è anzitutto la miseria, o la fame nel mondo, o la guerra. Ma il mio orgoglio, l’io-idolo. Il suo farsi potere omicida. Esiste un rimedio? Certo! Ed è che ciascuno si liberi, dal di dentro, di ogni supremazia. Il Regno di Dio chiede fede, e pazienza. I limiti umani sono tanti, e duri a morire. Occorre tempo. La libertà cammina, con il passo della speranza. Pretendere sconti immediati, bruciare tappe o accelerare i ritmi, vorrebbe dire anticipare il tramonto, non capire né Dio né l’uomo. Dio non fa sconti, perché mi vuole bene sul serio. Non mi chiede solo qualcosa, soprattutto non mi chiede cose. Mi vuole “povero” davanti a Lui: che io gli creda con tutta l’anima. Sul serio. Ed è qui, in questa “povertà di spirito” che ogni beatitudine divina trova posto, perché già qui, in questa “disponibilità totale”, vive e cresce il Regno di Cristo».
Straordinario è il commento al Discorso della Montagna di Carlo Maria Martini, che riflettendo sulla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito…”, scrive: «Il lettore ne resta scioccato: come è possibile che i poveri possano essere felici? Il povero nella Bibbia è colui che si svuota di sé e soprattutto rinuncia alla presunzione di costruire il suo presente e futuro in modo autonomo per lasciare, invece, più spazio e attenzione al progetto di Dio e alla sua Parola. Il povero, sempre in senso biblico, non è un uomo chiuso in se stesso, miserabile, rinunciatario, ma nutre apertura a Dio e agli altri. Dio rappresenta tutta la sua ricchezza. Potremmo dire con Santa Teresa d’Avila: felici sono coloro che fanno esperienza del “Dio solo basta!”, nel senso che sono ricchi di Dio».
Continua Martini: «Un grande autore spirituale del nostro tempo, Dino Barsotti, ha così descritto il senso vero di povertà: “Finché l’uomo non svuota il suo cuore, Dio non può riempirlo di sé. Non appena e nella misura che di tutto vuoti il tuo cuore, il Signore lo riempie. La povertà è il vuoto non solo per quanto riguarda il futuro, ma anche per quanto riguarda il passato. Nessun rimpianto o ricordo, nessuna ansia o desiderio. Dio non è nel passato, Dio non è nel futuro: Egli è la presenza! Lascia a Dio il tuo passato, lascia a Dio il tuo futuro. La tua povertà è vivere nell’atto che vivi, la Presenza pura di Dio che è l’Eternità”. È la prima beatitudine, non solo perché dà inizio alla serie, ma perché sembra condensarle nei suoi vari aspetti specifici».
Non potendo per questione di tempo soffermarmi su tutte le beatitudini, ne prendo solo un’altra: “Beati i puri di cuore”. Il testo originale in greco parla di una purezza legata allo spirito. “Beati i poveri in spirito” e “Beati i puri di cuore” sono tra loro correlate, in quanto entrambe riguardando l’integrità della persona. Troppo spesso la purezza del cuore si riduce ad altro. Questa purezza non è solo morale: Gesù parla di una purezza che va oltre, identifica il “cuore puro” con la vita intera della persona in ogni suo aspetto e dimensione. Non significa solo “la sfera sessuale”. È molto di più.
Anche la parola “cuore”, nell’originale “leb” in ebraico, significa ben altro: il “cuore” citato da Gesù è contemporaneamente il cuore come organo, il cuore come sede dei sentimenti, il cuore come luogo intimo delle proprie decisioni, della propria coscienza come giudizio morale, fulcro dell’essere, è il punto cardine di tutta la persona, che, non dimentichiamo mai, è tridimensionale, ovvero è corpo, anima o psiche e spirito.
La parola ebraica leb è intraducibile in italiano, però il Vangelo ci ricorda che è anche la sede dove noi mettiamo i nostri tesori, “là dove il tuo cuore è il tuo tesoro”, ed è anche la sede dove prendiamo le decisioni più importanti e che è “dal cuore che nascono” le cose buone o cattive, dal di dentro…
E allora il nostro spirito non è puro quando è contaminato dalle cose, che occupano la nostra realtà interiore, non permettendo l’unione intima con Dio, che è purissimo spirito.
“Beati i puri di cuore” significa essere interiormente liberi da ogni condizionamento di quell’ego che prende le cose esteriori e le mette a occupare il nostro mondo interiore.
È sempre questione di distacco, che è la parte nostra da fare, e che se ci costa è solo in vista di quel meglio che ci dà il vero ben-essere.

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