Omelie 2022 di don Giorgio: DOPO L’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE

2 gennaio 2022: DOPO L’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22
Nel primo brano della Messa la Sapienza fa l’elogio di se stessa; nel secondo brano l’apostolo Paolo parla di peccato, di carne e di spirito; nel terzo, Gesù inaugura l’era della Grazia.
Come potete notare, potremmo star qui delle ore a riflettere, tanto più che oggi siamo condizionati, chi più chi meno, direttamente o indirettamente, da una società dove sembra che tutto respiri odore di carnalità, e parlare di sapienza, di spirito e di grazia non solo sembra proibito, ma la stessa Chiesa abbia qualche serio problema, in quanto istituzione carnale che non permette allo Spirito di respirare ampiamente.
Ma il vero problema sta nel fatto che, mentre anticamente, e parlo delle origini del grande pensiero greco, era nota la tripartizione dell’essere umano come corpo (“soma”, in greco), anima (“psiche”, in greco), e spirito (“pneuma”, in greco) oggi si è totalmente persa, anche da parte della stessa religione, la cognizione della realtà spirituale. In altre parole, in breve, oggi si ha una concezione dell’essere umano, solo come anima e corpo. Lo spirito è scomparso.
Senza lo spirito siamo morti, e lo constatiamo tutti i giorni, anche nel nostro modo di pensare e di agire. Già dire “pensare” è un controsenso, dal momento che il pensare richiede l’Intelletto, ovvero lo Spirito. Sì, il nostro agire è monco dello spirito, e lo notiamo anche quando celebriamo le festività cristiane. Non ditemi che abbiamo celebrato ad esempio il Natale nello Spirito santo, che richiede la nostra partecipazione come spirito. E così tutto si riduce a psiche e a corpo.
Abbiamo celebrato un Natale con il corpo e con le sue emozioni psichiche, più o meno esaltate da un consumismo spietato.
Mi è sembrato che a dare una mano a comunità spente nello spirito siano state le istituzioni civili, le Amministrazioni comunali, in una gara tra loro nel programmare iniziative natalizie le più disparate e le più carnali, aggrappandosi a quanto di buono era rimasto tra la fede dei cristiani e carnalizzandolo a più non posso, forse per sostituire le stesse comunità cristiane, visto che la gente, credente o non credente, ha bisogno soprattutto in certe emergenze di qualcosa di folcloristico, e di essere come pompata come un pallone floscio.
Solo qualche riflessione anzitutto sul primo brano. Quando la Bibbia parla della sapienza va oltre ciò che noi intendiamo per sapienza. Già la parola suggerisce qualcosa di particolare: sapienza secondo alcuni deriva da sapore, gusto delle cose belle. Certo, non si tratta di qualcosa di sensibile, ma la parola “sapore” dà l’idea che la sapienza mi fa cogliere il cuore della verità, e anche la verità conosciuta dà sapore alla nostra vita.
La Sapienza per la Bibbia è qualcosa di elevato, che riguarda l’Intelletto divino. Contrariamente a quanto si è sempre pensato e si continua a pensare, Dio è Intelletto prima che Amore o Volontà. Intelletto è Luce, perciò la Sapienza è Luce.
Tutto in Dio è nella Luce. Sembrerebbe un paradosso: Dio, Mistero di Luce! Mistero come qualcosa di chiuso, Luce come orizzonti infiniti. Dio è il Paradosso: incomprensibile, eppure è l’Essere o Sovra-Essere che dà sostanza al nostro vivere.
Il problema dei teologi è di pretendere di definirlo, ma il problema è un altro: Dio è in noi, e non lo vediamo, perché i nostri occhi sono carnali.
La Sapienza divina è Luce. Eppure, l’autore sacro parla di una Sapienza che sembra avvolgere il mondo di nubi: vuole essere scoperta, è ovunque, ma sembra avvolta da una crosta di carnalità.
Bella l’espressione: la Sapienza “passeggia nella profondità degli abissi”. Noi siamo un abisso, ovvero senza fondo. Lì, la Sapienza passeggia.
Gli antichi filosofi greci parlavano di “logos”, come la ragione profonda del creato, che dunque non è caos, ma quell’Ordine divino per cui tutto ha una sua logica, quando si scopre in ogni particolare una particella della sapienza divina.
L’evangelista Giovanni, nel Prologo, parlerà di Logos riferendosi alla Sapienza biblica, unendo così in un abbraccio ecumenico la Sapienza antica e la Sapienza nuova, il logos di Eraclito e il Logos di Giovanni, il Dio di Platone e di Plotino e il Padre di Gesù Cristo.
Nel secondo brano troviamo termini caratteristici della teologia di San Paolo: peccato, carne, giustizia della legge, spirito, vita, pace. Tutto all’interno del mondo dello Spirito divino. Il peccato è legato alla carne, che è dunque peccato, che nella sua terminologia significa “venir meno”: a che cosa? La carnalità, ovvero tutto ciò che riguarda l’aspetto esteriore dell’essere umano, anche nei suoi elementi psichici, toglie al nostro essere la parte più essenziale, non permette che il fondo dell’anima si unisca a Dio, che è la Vita, la Pace. Non c’è, dunque, come scrive san Paolo, che ci sia una possibilità di dialogo tra la carne e lo spirito: sono due mondo in contrapposizione radicale, dunque sono inconciliabili.
Lo ha detto anche Gesù a Nicodemo: “Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito”. Ma già nel Prologo Giovanni scrive: “Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. E poi: “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”.
Qui possiamo agganciare il brano del Vangelo di oggi: è sabato, Gesù, “con la potenza dello Spirito”, evidenzia Luca, entra nella sinagoga di Nazaret e spiega un passo di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Solitamente ci soffermiamo sugli aspetti miracolosi, trascurando l’espressione finale: “proclamare l’anno di grazia del Signore”. Forse stiamo ancora aspettando che qualche teologo ci spieghi che cosa significhi l’anno di grazia, che non richiama il giubileo con qualche condono particolare. Si parla di grazia, che è il vero mondo dello Spirito divino. Cristo è venuto per inaugurare l’anno, ovvero l’era della grazia. Ma a che punto siamo, oggi? Non dimentichiamo ciò che è successo dopo ciò che Gesù aveva detto nella sinagoga: dall’entusiasmo è stato repentino il passaggio a voler uccidere Gesù, buttandolo giù nel precipizio.

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