Riflessioni personali dopo aver letto “Ho scommesso sulla libertà” – autobiografia di Angelo Scola
di don Giorgio De Capitani
Premetto subito che il libro (di 280 pagine circa) si fa leggere, è scorrevole, anche perché si tratta di una intervista, divisa in 20 capitoli, con domande di Luigi Geninazzi (inviato speciale per “Avvenire), a cui l’ex arcivescovo di Milano risponde, supportato anche da alcuni amici collaboratori. Certamente, tutto preparato a tavolino, ma è giusto che sia così!
E aggiungo che il libro è ”interessante”, proprio perché si vengono a conoscere anche particolari biografici del tutto sconosciuti, e soprattutto perché è una “rivisitazione personale” da parte del cardinale di vicende anche già note.
Non per questo, però, le parole di Angelo Scola mi hanno convinto o, meglio, mi hanno addolcito nei miei giudizi precedenti, anche duri, soprattutto sul suo operato pastorale milanese.
Se devo essere sincero, il libro mi ha anche sconvolto, per i motivi che cercherò di esporre.
L’ho letto in pochi giorni o, meglio, in poche sere. Ho aspettato qualche tempo, prima di scrivere le mie annotazioni, per evitare di dire qualcosa di troppo “caldo”.
Anzitutto, che Angelo Scola fosse ciellino lo sapevo, ma che lo fosse così come lo stesso cardinale si presenta, sostenendo a spada tratta la sua convinta e radicale appartenenza a Comunione e Liberazione, beh, questo mi ha del tutto colpito e anche disorientato. Non so fino a che punto sia accettabile e condivisibile la sua, anche sincera, dichiarazione di aver agito da vescovo (prima a Grosseto, poi a Venezia e infine a Milano) senza mai aver dato alcun esplicito segno della sua appartenenza al Movimento di don Giussani ( “il Gius” per gli amici). Ripeto, mi è sembrato sincero, ma non per questo credo che si possano distinguere tanto facilmente le due cose: ovvero, il fatto di essere ciellino e il fatto di avere svolto il suo ministero pastorale come se non fosse ciellino.
L’ho sempre detto, e scritto, ed è per questo che ho combattuto subito la nomina di Scola a vescovo di Milano: proprio il suo essere ciellino difficilmente gli avrebbe permesso di essere vescovo “al di sopra di ogni sospetto”. La spiritualità diocesana non dico che di per sé è in contrasto, ma in pratica difficilmente si concilia con la spiritualità o visione di fede di un movimento ecclesiale. E l’essere ciellino per Scola era un aggravante non accettabile. Altro che un “secondo peccato originale”! Chi non conosceva l’integralismo cattolico del parto di don Giussani, il quale, magari all’inizio carico di tante buone intenzioni, illuminato magari da qualche stella vagante nel firmamento, non ha saputo poi, con l’evolversi del bambino, evitare che questi si trasformasse in un “mostro”? Sul pensiero di don Giussani non mi pronuncio. Non ho mai voluto leggere nemmeno una riga dei suoi scritti: non sarei riuscito! Sono sempre rimasto fermo al detto evangelico: “i falsi profeti dai loro frutti li potrete riconoscere”. E quali sono stati i frutti di Comunione e Liberazione? Che dire del loro impegno poco chiaro, talora di connivenza con il mondo clientelare (vorrei evitare il termine “mafioso”), nel campo manageriale, finanziario, assistenziale e politico? Non ho letto gli scritti di don Giussani sulla fede, su Dio e sulla Chiesa, ma ho toccato con mano la fede dei suoi figli o figliocci. Una concezione del Divino da far paura agli stessi fondamentalisti più gretti!
Angelo Scola non riconosce (ma come può se ne è vittima?) quella “deformazione” che gli ha roso il cervello, lasciandosi plagiare da don Giussani e company, paurosamente ottusi!
Gli riconosco la buona fede, ma ciò non toglie che Angelo Scola fosse rimasto vittima di un plagio mentale che lo ha condotto in tutte le sue esperienze pastorali, pur contestando chi lo accusava di essere un vescovo spudoratamente ciellino.
Non vorrei ripetere ciò che da anni e anni sostengo, ovvero che un prete diocesano non può appartenere a nessun Movimento ecclesiale, e tanto meno un vescovo a cui viene affidata una diocesi. Qualcuno addirittura sostiene che una diocesi o una parrocchia neppure vengano affidate a dei religiosi o a dei monaci. Ma su questo dissento, considerando esperienze anche positive come quelle di Schuster e di Martini, tanto per citare alcuni casi “esemplari” della Diocesi milanese.
Ma c’è un’altra cosa che mi ha particolarmente colpito leggendo l’autobiografia di Angelo Scola: un insieme di nomine, con ruoli importanti nella Chiesa istituzionale; un’interminabile serie di promozioni, di conoscenze altolocate, quasi a volersi difendere da chissà quali accuse di incapacità ad assumersi delle responsabilità di una certa importanza e, soprattutto, la nomina più discussa e contestata: come guida della diocesi più grande del mondo.
Non mi pronuncio sulle precedenti esperienze nei vari campi ecclesiastici: pregiudizi iniziali a parte, analizzando i sei anni di governo della diocesi milanese, non mi è affatto sembrato di vedere un arcivescovo all’altezza di sedere sulla cattedra di S. Ambrogio. Non ho notato nulla di originale: sei anni di assoluto o quasi immobilismo. Scola scrive: «Ora è chiaro che con la mia nomina ad arcivescovo di Milano, Benedetto XVI abbia voluto dare anche un segnale di discontinuità». Sinceramente ho capito una cosa: Scola non è entrato con la testa del buon pastore evangelico nella realtà diocesana. Si è fermato a qualche sporadica iniziativa per nulla coinvolgente dal punto di vista interiore. Non è vero quanto dice, ovvero che la gente e il clero lo abbiano apprezzato. Non parliamo poi della visita pastorale nei Decanati, che egli elogia, senza rendersi conto del fallimento totale.
E allora per onestà dobbiamo dire che i sei anni di episcopato di Scola a Milano è stato del tutto deludente, come è deludente (forse di più) il successore nella persona di Mario Delpini.
Ancora. Leggendo l’autobiografia di Angelo Scola non ho trovato nemmeno una volta pronunciato la parola “Lega”, e nessun accenno al fenomeno leghista, che è esploso in questi ultimi tempi in tutta la sua follia razzista. A parte Comunione e Liberazione (uno dei tre “cancri” di origine prettamente ambrosiana (per Scola, Cl è ancora l’incarnazione dello Spirito santo nella realtà ecclesiale), come si può tacere sugli altri due: il berlusconismo e l’ideologia leghista marcatamente razzista? Certo, Scola non poteva parlare male di Silvio Berlusconi, forse amico personale, ma senz’altro alleato di Comunione e Liberazione nella gestione politica e amministrativa, insieme alla Lega. Dunque, meglio tacere e far finta di nulla, come se Comunione e Liberazione fosse solo un parto provvidenziale, del tutto incontaminato, di quel “genio educativo” di nome don Giussani. Il problema non è che oggi il fenomeno leghista abbia soppianto Berlusconi e Cl alla guida del potere politico, ma il vero problema è che questo barbaro fenomeno sia anche il frutto di una assenza culturale, la cui responsabilità è da addebitare alla Chiesa in genere, alla Diocesi milanese in particolare e a quella degenerazione ciellina di fede che ha creato il vuoto riempito dalla degenerazione razzista.
Ancora. Nella autobiografia di Angelo Scola ho trovato solo una mezza pagina riguardante il fenomeno della pedofilia del clero, tra un dire e un non dire, tra una condanna del crimine e una esaltazione dell’operato della Chiesa nel campo educativo. Eppure, (pensando anche solo alla sua esperienza pastorale a Milano) doveva riconoscere le coperture e i silenzi sui preti pedofili ambrosiani. Nulla! Tutto ok. Nulla di negativo. C’è sempre un metodo che funziona: coprire le magagne con grandi manifestazioni spettacolari, e allora tutto sembra luccicare come oro. E non importa che il Duomo si sia svuotato, anche durante le grandi festività liturgiche. Un vuoto pauroso!
Ma c’è di più, e qui la responsabilità è anche di una Chiesa ancora dogmaticamente preoccupata di salvare se stessa. Quando sento dire che il tal vescovo è ricco di grande spiritualità, e poi noto che il suo agire pastorale è tutt’altro che in linea con la spiritualità di cui è ricco, mi chiedo il motivo per cui ancora oggi si faccia della propria spiritualità interiore una virtù del tutto individuale e non si trasmetta tale ricchezza interiore nel proprio agire pastorale.
Ma la domanda vera è questa: di che cosa s’intende per spiritualità interiore? La risposta non può che essere allarmante, nel senso che si continua cocciutamente a ritenere spiritualità ciò che è solo religiosità puntando sull’aspetto più interiore, senza riuscire a comprendere fin dove tale spiritualità tocchi il profondo dell’essere.
In ogni caso, non sento mai parlare di quella realtà dell’essere interiore, come l’intendevano i grandi Mistici medievali, vedi ad esempio Meister Eckhart. Sembra roba ancora da demonizzare o, per lo meno, da lasciare a qualche sporadico nostalgico dei tempi passati, tanto più che la condanna della Chiesa continua nel suo ostinato silenzio persecutorio.
Dunque, il grande consenso leghista ha riempito il vuoto, creato da una Chiesa che ha esteriorizzato la sua missione nel senso peggiore di una educazione religiosa, mettendosi perciò di traverso tra l’interiorità e l’esteriorità. Ammettiamo pure che la Chiesa di oggi non faccia nulla per impedire al mondo interiore di vivere la sua realtà a contatto con il Divino, mi chiedo però se la gerarchia ecclesiastica scommetta sul mondo interiore dell’essere per ridare al mondo un futuro diverso.
E non credo proprio che la cultura ciellina sia stata particolarmente sensibile al mondo della grande Mistica, tanto più che, al primo contatto con il sociale e con il politico, si è subito rivelata nella sua povertà profetica, rigidamente dogmatica e del tutto in linea con una concezione di Dio, cara alla Chiesa istituzionale di sempre. Ridicolo citare nomi famosi di teologi, che rispetto, come punti di riferimento del pensiero di don Giussani.
Da ultimo, vorrei solo accennare, evitando possibilmente di generare allusioni, dubbi o altro, al problema della salute di Angelo Scola. Lui stesso ne parla diffusamente al capitolo settimo. Ciò che mi ha colpito, più che la malattia fisica, è l’aver letto che il cardinale era ricorso anche alla psicanalisi. Con quale esito, non è ben chiaro. Dalle voci che ho raccolto, sono venuto a conoscenza che, anche quando era arcivescovo di Milano, Angelo Scola, aveva avuto problemi di carattere psicologico. Non vado oltre. Non mi permetterei mai di infierire evidenziando questi aspetti. Dico solo che mi hanno sempre insegnato, da quando ero seminarista, che per svolgere una certa responsabilità bisogna essere anzitutto ben saldi nella psiche. Mi ricordo che in un momento assai difficile, dopo varie batoste prese dai superiori, in un incontro con l’allora Vicario generale Renato Corti, vedendo qualche lacrima scendere sul mio volto, mi disse: “Vedo che sei depresso, e che hai qualche problema di carattere psicologico!”. Gli risposi: «È forse proibito ad un prete essere umano e versare qualche lacrima?”. Ero un prete comune, senza più responsabilità di parrocchia, ma se penso di aver avuto e di avere tuttora superiori che hanno seri problemi psicologici, allora sì che mi chiedo quale sia il criterio di certe scelte nel campo pastorale. E che dire se poi di vescovi di carattere instabile, fragili nella psiche? Non do assolutamente alcuna colpa a costoro, ma a chi ha il dovere di proteggerli da responsabilità troppo pesanti e di proteggere la diocesi da persone non del tutto psichicamente “equilibrate”.
Una cosa, in ogni caso, era evidente nel comportamento relazionale di Angelo Scola verso i suoi preti ambrosiani: una paura di guardarli in faccia, di affrontarli, giudicandoli a priori “ostili”, da tenere alla larga o da trattare duramente quando questi uscivano da certi schemi, ponevano qualche difficoltà sul piano dottrinale o pastorale. È noto il caso di un sacerdote, don Paolo Pagliughi, che, pur avendo ripetutamente chiesto un colloquio privato con Angelo Scola, è morto a 93 anni a Verbania senza essere stato ricevuto. Fosse stato anche un grande “eretico” (era già stato riabilitato da Martini e poi da Tettamanzi), perché trattarlo come un eterno lebbroso? Vanno a visitare nelle carceri i delinquenti e i mafiosi, e poi rifiutano la visita di un prete ottantenne o novantenne? Anche la mia vicenda personale, pur differente, è un’altra prova dell’atteggiamento poco paterno di Angelo Scola.
Concludendo, la lettura del libro autobiografico di Angelo Scola mi ha posto tanti dubbi e numerose domande. Ma la cosa ancor più spaventosa è pensare che, dopo Angelo Scola, sia stato nominato Mario Delpini, quasi a dover “nascondere” qualcosa su un arcivescovo che aveva lasciato una eredità non certo promettente.
Premetto che ho letto l’articolo per caso cercando qualche commento online dell’ultimo libro di Scola e Geninazzi. Onestamente penso che il pensiero espresso nell’articolo sia confuso e soprattutto lontano dall’idea di cristianesimo che mi sono fatto negli anni. Il discorso, che in fin dei conti non è una critica al libro ma a CL, credo sia alquanto ridicolo. Potrei dire seguendo lo stesso ragionamento dello scrittore, che sembra puramente razionale, che tutti i Preti sono pedofili semplicemente perché ho sentito dire che alcuni lo sono. Potrei non sapere niente di un prete e del pensiero di fondo come più volte affermato bello scritto eppure basarmi su uno stereotipo. Inoltre, da ciellino non capisco come ci possiate vedere da fuori. Non ho mai e sottolineo mai ricevuto un favoreggiamento anzi, nella comunità moderna è molto meglio tacere che dire di essere di CL per evitare giudizi frettolosi. Poi un’altra questione che faccio veramente fatica a comprendere, lei sostiene che Scola è ciellino e che i ciellini sono corrotti ecc. Ora per raggiungere una posizione di potere, non sarebbe stato molto più comodo esplicitare fin da subito la propria posizione se davvero i ciellini hanno tutti questi benefici? Lei sostanzialmente parla di un argomento in modo alquanto sommario senza capire bene cosa vuol dire essere di cl, che semplicemente vuol dire parlare di fede, ma la fede vera, il senso religioso che tutti hanno ma a cui pochi fanno retta, in una ricerca comunitaria del bene. Provi a prendere in mano un libro di Giussani, poi faccia una critica al libro. Però mi raccomando fare una critica al libro non significa criticare l’uomo. L’uomo spesso sbaglia, ha bisogno di aiuto, di uno psichiatra magari ma la cosa che non deve essere sbagliata é il pensiero che muove l’uomo. E non valuti soltanto l’operato di qualche uomo fallibile per valutare un intero movimento. Ribadisco, è lo stesso discorso di qualche ateo che condanna la chiesa, rinnega Dio per degli errori commessi da una minoranza di uomini. Perché in fondo la cosa che conta nella vita è una sola: La felicitá.
non entro nel merito delle tue riflessioni personali sulla autobiografia di Scola che rispetto e condivido.
Ti ringrazio per avermi fatto conoscere don Paolo Pagliughi.
Ho visto alcune recensioni sulla sua vita (e tormenti) ed ho iniziato la lettura dei pensieri contenuti nel suo blog (fortunatamente ancora in rete)… altro che scomunica! Per me don Paolo un esempio di fede profonda e matura!
Sono sempre più convinto che il vangelo va vissuto. Professarsi cattolico o cristiano può essere solo una maschera dietro la quale ci si nasconde per appartenere a questa o a quella chiesa. Gli atei che non si nascondono dietro un’appartenenza ecclesiastica possono vivere il vangelo, meglio dei credenti. Lo stesso si può degli eretici o presunti tali come don Paolo Pagliughi. Al contrario i cattolicissimi mafiosi sono antievangelici. E il ciellino Formigoni, amico di Scola?