3 marzo 2019: ULTIMA DOPO L’EPIFANIA
Sir 18,11-14; 2Cor 2,5-11; Lc 19,1-10
detta “del perdono”
Perdono e conversione
Domenica scorsa, detta “della divina clemenza”, avevo evidenziato la differenza tra clemenza e misericordia. Oggi, ultima dopo l’Epifania, detta “del perdono”, vorrei mettere a confronto il perdono con la conversione.
Del perdono si parla nel primo e nel secondo brano della Messa, mentre nel terzo si parla di conversione (racconto di Zaccheo).
Perdono
Certo, nella conversione è presente il perdono di Dio, ma a questo punto si pone la domanda: che cos’è il perdono?
Nel medioevo, il termine latino classico “condono”, sostituendo il prefisso “con” con il prefisso “per”, si è trasformato in “perdono”. Quindi, il perdono sarebbe una specie di condono, di amnistia, di grazia. Adesso possiamo capire il significato del verbo perdonare nel sacramento della confessione: ai penitenti vengono condonati, ovvero rimessi i peccati, con l’assoluzione del sacerdote che agisce in nome della Chiesa.
Ma se prendiamo un qualsiasi dizionario, troveremo che perdonare significa: “non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi possibile rivalsa, e annullando in sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno”.
Come vedete, la parola perdono può assumere significati diversi, in rapporto a Dio o in rapporto alle nostre relazioni sociali.
Ma si pone una domanda: perdonare da parte di Dio sarebbe come fare tabula rasa dei nostri peccati? dimenticare tutto ciò che è successo nel passato? Basta un pentimento, ed ecco tutto parte da zero, tutto riprende vita, tutto ex novo? È proprio così? In fondo, non è questo che ci ha insegna la Chiesa con il sacramento della confessione, senza parlare poi delle cosiddette indulgenze?
Ogni peccato è una ferita che si procura in noi e nel tessuto sociale. Certo, una ferita si può medicare, e la grazia di Dio è come una medicina straordinaria.
Ma credo che le cose non siano così semplici come si vorrebbe far credere.
E questo succede anche nelle nostre relazioni sociali. Che succede quando uno mi ha procurato del male? Basta che lui mi chieda perdono? Se mi ha ucciso un figlio, il figlio potrebbe risuscitare con il perdono del carnefice?
Certo, siamo tutti d’accordo che il male non va riparato con la violenza o con la vendetta. Ma neppure il male viene riparato semplicemente perdonando o con un semplice: “scusa, ho sbagliato, ti chiedo perdono!”.
Ammiro chi sa perdonare, ma capisco chi non sa perdonare.
Conversione
Passiamo al tema della conversione, che apre un orizzonte più ampio e più completo.
Nel Vangelo ci sono diversi episodi di conversione. Pensate alla samaritana, al cieco nato, a Matteo il pubblicano e a Zaccheo.
Fin dall’inizio del suo ministero, Gesù invita alla conversione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15).
Che significa conversione?
Anche qui attenzione alle parole usate.
In latino “conversio”, da cui l’italiano “conversione”, significa “volgersi verso qualcuno o qualche cosa”, “cambiare direzione” o “strada”. Dunque, suggerisce l’immagine di una persona che, accorgendosi di camminare su una strada sbagliata, decide di tornare sui suoi passi e di incamminarsi in una direzione diversa.
Nell’Antico Testamento il concetto di conversione è direttamente collegato al termine ebraico shûb, il dodicesimo verbo più usato nella Bibbia ebraica che significa “volgersi, tornare, ritornare”. Nel Nuovo Testamento i due termini principali connessi a questo concetto sono ἐπιστροφή, epistophé (da ἐπιστρέφω, epistrépho, “rivolgo”) e μετάνοια (dal verbo μετανοέω, “cambio mentalità”, composto di μετα-, “al di là”, “oltre”, e di νοέω, “intendo”, “penso”).
Metànoia
Tra i due significati, “cambiare direzione o strada” (il latino “conversio”) e “cambiare mentalità” (il greco “metànoia”), da preferire è il secondo termine. Del resto, nel brano sopra citato Marco usa il verbo “metanoèo”.
Mi chiedo: come si può cambiare strada, come si può tornare sulla strada giusta, se prima non cambio mentalità, ovvero il mio modo di pensare?
Prima dell’agire, c’è il pensare. Il mio agire dipende dal mio pensare.
Certo, può anche succedere che si agisca senza nemmeno pensare. Sembra che l’uomo d’oggi non abbia più la testa: agisce dietro i propri istinti, ragiona con la pancia. Il popolo bue, caratteristica del popolo italiano, ha perso il pensiero, non ha la testa per pensare.
Provate a ragionare con uno che non ha più la testa per pensare: sarebbe tempo perso, fiato sciupato. Non vi ascolterebbe. E come può, se non ha la testa? Ecco perché il populismo ha buon gioco, ha il consenso quasi generale.
Carlo Maria Martini che cosa aveva detto, rispondendo alla domanda: Come dividerebbe gli esseri umani? Il mondo si divide tra pensanti e non pensanti. Dunque, non si divide tra credenti non credenti. Ci sono anche credenti che non pensano e ci sono non credenti che pensano.
La vera sfida attuale sta nel far ragionare la gente, nell’educare al grande pensiero. Fra cento anni il popolo sarà ancora vittima di qualche populista del ventre, se oggi non facciamo una seria educazione al pensiero.
Cristo ha detto: cambiate mentalità, cambiate il vostro modo di pensare. Forse non si immaginava che ci sarebbe stato un momento storico in cui la gente avrebbe perso la testa.
Non vi siete mai chiesto il motivo per cui si usava la ghigliottina per punire i dissidenti? Proprio per punirli nella loro testa! E la Chiesa, oltre alle persone, bruciava i libri dei pensanti, come se, bruciando i loro testi, scomparisse anche il pensiero.
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