La figura di Don Milani oltre le strumentalizzazioni e le ideologie
da Democratica
Luigi Giorgi
1 settembre 2018
La figura di Don Milani
oltre le strumentalizzazioni e le ideologie
“Salire a Barbiana. Don Milani dal Sessantotto a oggi” a cura di Renato Micheletti e Renato Moro vaglia con taglio critico una delle figure più affascinanti, e che per questo ha suscitato più dibattito, del panorama politico, culturale e religioso italiano
Don Milani è uno dei personaggi più importanti della storia recente italiana oggetto di molti studi e lavori di approfondimento storico. Fra le ultime uscite va segnalato un testo a cura di Renato Micheletti e Renato Moro, edito da Viella, dal titolo “Salire a Barbiana. Don Milani dal Sessantotto a oggi”.
Un volume scritto a più mani che affronta la figura e l’opera del sacerdote di Barbiana attraverso alcune delle categorie e delle fasi storiche (nonché tramite le sue opere e i suoi scritti più noti) che ne hanno incrociato, e conseguentemente contrassegnato, la vicenda: il ‘68 come contestazione, in cui si inserisce la “Lettera a una professoressa” come testo, fra altri, di riferimento; “Padre del 68?”, si interroga e ci domanda nel suo saggio Giovanni Turbanti; il dibattito sulla sua presunta santità proposto da Caliò; la memoria della sua figura nell’associazionismo cattolico e nei movimenti post conciliari, secondo l’analisi di Marcelli; la non violenza e il dibattito intorno a questa, affrontata da Mocciaro. Ruozzi ci propone, altresì, come i media (teatro, cinema e televisione) ne abbiano ricostruito e presentato la figura e l’opera; Mennini ci ragguaglia sui diversi “pellegrinaggi”, delle più varie forze ed espressioni politico-partitiche, che hanno avuto come meta Barbiana. A tal proposito quest’ultimo scrive che:
“Senza riferimenti partitici definiti […] simboli come Barbiana diventano culturalmente disponibili per un paese in cerca di luoghi in cui rimestare significati in grado di riformulare le appartenenze tradizionali, di dare un senso più autorevole a motivi di militanza rispetto ai quali si fa sempre più ampio il divario tra società civile e scelte politiche” (p. 254).
Un lavoro pregevole che ci conduce e ci fa salire, come propone il titolo, a Barbiana, e di cui tira le fila Renato Moro nel suo saggio dal titolo, Scendere da Barbiana, dove scrive che:
“Riflettere storicamente su Milani e le sue diverse immagini e rappresentazioni, in una feconda collaborazione tra storia religiosa e storia della società, significa allora entrare in quel mondo di ricostruzioni complici o demonizzanti (ma fondanti della nostra identità di italiani di oggi) e poterlo smontare dall’interno, significa poter avere una chiave di lettura privilegiata per ricondurre finalmente a coscienza e comprensione critica quel magma di idee, speranza, comportamenti che fu l’esperienza di quegli anni” (pp. 259-260).
Il volume si chiude con la proposizione dell’intervista a Tullio De Mauro, rilasciata il 2 ottobre del 2013, il quale afferma, tra le altre cose, che:
“Don Milani era una voce genuina e la sua genuinità – questo non va mai dimenticato – ha una radice pastorale, evangelica, vissuta profondamente”. (p. 275).
Uno studio che vaglia con taglio critico, proprio del più valido ed utile metodo storico, una delle figure più affascinanti, e che per questo ha suscitato più dibattito, del panorama politico, culturale e religioso italiano. Si cerca in definitiva di individuare e proporre un percorso che riesca a disegnare la figura di un don Milani lontano da empatie eccessivamente entusiastiche, da un lato, e, dall’altro, da fraintendimenti denigratori e capziosi che non permettono di coglierne la reale portata umana, storica e religiosa. Un tragitto di indagine e di studio che sia in grado, soprattutto, di sottrarre a strumentalizzazioni ed usi impropri il parroco di Barbiana stesso come uomo e sacerdote e, allo stesso modo, i suoi scritti sempre così potenti e lucidi.
Il saggio, attraverso i vari lavori che lo compongono, cerca di individuare, alla fine, chi fosse don Milani, quantomeno di delinearne, in modo il più possibile obiettivo e lucido, la figura e la memoria che lo ha accompagnato anche dopo la sua morte.
Quello che sembra emergere, a mio parere, sulla base dei “suggerimenti” e alle “suggestioni” che il libro in questione ci propone, è il fatto che don Milani sia stato essenzialmente un Sacerdote, e in quanto tale ha inteso testimoniare il Vangelo nella sua interezza e nel suo tempo. Sacerdote lo è stato nella Chiesa e da questa non ha inteso tirarsene fuori. Profeta e modello suo malgrado, a volte contradditorio a volte contraddetto; non sempre lineare; dentro e fuori, sul sagrato, ma non diverso e non alieno alla Chiesa (scrive Marcelli: “Fra la nicchia di un santo venerabile e la piazza di un eroe civico, il priore di Barbiana sembra dalla sua morte fino ad oggi, accomodarsi provvisoriamente sul sagrato. Abbastanza fuori per non destabilizzare le coscienze di nessuno e parlare al contempo un linguaggio comprensibile ad una società secolarizzata, ma comunque in terra consacrata e dunque potenzialmente, anzi doverosamente conciliabile”) [p. 119]; sul “comodino” virtuale ed evocativo della contestazione, sia quella del ’68 che dei movimenti seguenti, ma non appartenente, del tutto, ai contestatori e al loro mondo. Si legge nell’introduzione di Michetti che:
“L’umana esigenza di poter cogliere in modo sintetico e chiaro il suo pensiero e la sua azione, come fosse un intellettuale a tutto tondo, sembra destinata a non essere mai del tutto soddisfatta. D’altro canto è proprio questo procedere del suo ragionamento in un modo per nulla lineare e a volte imprevedibile, ma che consente comunque al lettore un improvviso scarto della sua riflessione, ad essere tra le ragioni più probabile del successo della sua scrittura” (p. 16).
Don Milani è nel moderno, a suo modo, sostenuto da una non comune intelligenza degli eventi, dotata di capacità empatica con gli avvenimenti, e soprattutto con le persone, e sostenuto, soprattutto, dalla fede. In quella dimensione sta il suo essere più profondo, e il suo ministero più genuino ed insondabile agli occhi dell’uomo e agli studi. Diceva la madre, citata anche ultimamente da papa Bergoglio: “Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui….quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio….Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità” (pp. 83-84).
Ecco, forse, la vera essenza dell’uomo che ha scosso il mondo culturale, politico e civico del nostro paese, e su cui la storiografia si è esercitata a volte con successo, come in occasione di questo libro, a volte meno. Ma che al di là di questo resta un esempio luminoso di impegno e di indipendenza di analisi nel contesto dell’Italia di quegli anni, nell’ambito della Chiesa del periodo, che ci parla e ci interroga indicandoci una via non banale e superficiale di impegno individuale come cristiani (per chi lo è) e come cittadini che partecipano al destino comune e al bene comune del paese soprattutto delle sue fasce sociali più in sofferenza, più svantaggiate, più povere.
Io ho sempre apprezzato il fatto che Don Milani, schierato dalla parte degli ultimi, si sia tenuto lontano dai partiti e dalla politica che voleva strumentalizzarlo. Una volta venne invitato ad appoggiare il Partito Comunista da Padre Balducci, un sacerdote fiorentino che ne era un attivo fiancheggiatore; Don Milani lo mise sdegnosamente alla porta.
Leggi “Io e don Milani” di Ernesto Balducci e “Il mio amico don Milani” di David Maria Turoldo. “Quando qualche volta mi è capitato di confessarlo, allora veramente ho sentito, per merito di lui, quanto grande e misterioso è questo sacramento della fraternità e del perdono. Cose troppo delicate per dirle in un qualsiasi articolo. Anzi è una delle ragioni per cui io su don Milani ho preferito piuttosto tacere. E però questa volta, davanti a certe manipolazioni e storpiature, il silenzio poteva essere anche una colpa” (D.M. Turoldo)
“Lettera a una professoressa” e “L’obbedienza non è più una virtù” sono due capolavori che resteranno per sempre nella mente di chi li a letti.