Omelie 2023 di don Giorgio: QUARTA DI AVVENTO

3 dicembre 2023: QUARTA DI AVVENTO
Is 16,1-5; 1Ts 3,11-4,2; Mc 11,1-11
Davanti al brano del Vangelo di oggi, che racconta l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, qualche giorno prima dell’inizio della sua passione e morte, ogni anno ci poniamo la stessa domanda: che c’entra questo brano con l’Avvento, periodo liturgico in cui ci prepariamo al Mistero natalizio?
Anzitutto, chiariamo. Solitamente si parla di un ingresso trionfale di Gesù nella città di Gerusalemme (così sembra leggendo il racconto degli evangelisti), ma tutto fa pensare che sia stato un episodio isolato, ben ristretto nello spazio. Un episodio che ha un valore più simbolico che reale.
E dove sta la simbologia di Gesù che entra in Gerusalemme? Gli evangelisti pongono l’accento sulla cavalcatura scelta da Gesù: un puledro. Già questo fa capire l’umiltà del gesto che non ha nulla di grandioso. Poi Marco scrive: «Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi». Anche qui, gesti semplici, diciamo “naturali”. La Natura è sempre pronta ad accogliere il Divino che viene: Natura vuol dire “ciò che sta per nascere”. La perenne gestazione divina è già presente da quando Dio ha creato l’Universo.
Inoltre, si riferiscono le parole della gente: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».
L’episodio dell’ingresso di Gesù nella città di Gerusalemme, nei suoi gesti simbolici e nelle parole cariche di significato divino, richiama il Natale: il Figlio di Dio si è incarnato nella più sconcertante umiltà.
Il puledro forse richiama il cammino di Giuseppe e di Maria verso Betlemme, per obbedire, come scrive l’evangelista Luca, “al decreto di Cesare Augusto che si facesse il censimento di tutta la terra…ciascuno nella propria città”. E a Betlemme, quando Gesù nasce, sono gli stessi angeli a cantare: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama».
Gli angeli, ovvero gli spiriti puri. C’è un evangelista, Matteo, che parla di «fanciulli che acclamavano nel tempio: “Osanna al figlio di Davide!»”, facendo arrabbiare i capi dei sacerdoti e gli scribi, i quali sdegnati dissero a Gesù: «Non senti quello che dicono costoro?». Gesù, citando il Salmo 8,3, rispose loro: «Sì! Non avete mai letto: “Dalla bocca di bambini e di lattanti hai tratto per te una lode?».
Forse sulla sincerità della folla possiamo anche dubitare, ma come possiamo dubitare degli angeli e dei bambini?
Essere come i bambini, presi nella loro più pura semplicità: l’ha detto lo stesso Gesù. L’evangelista Matteo (18,1-5.10) scrive: «In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”. Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me… Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Non è qui il momento di parlare dell’educazione dei bambini di oggi, anche se già la parola “educazione” dovrebbe farci a lungo riflettere. Educare deriva dal latino “ex ducere”, portar fuori, trarre dall’interno. In che senso? Ogni essere umano nasce già divino, e il divino che è nell’essere va “educato”, ovvero, occorre aiutare il bambino a portarlo fuori perché egli cresca per ciò che è, ovvero divino.
In fondo, già giovani o adulti siamo sempre bambini, come ha detto Gesù, da cui dobbiamo estrarre il meglio, ovvero quella realtà spirituale che è tutta dentro di noi. Dire “spirituale” richiama lo spirito, e lo spirito richiama lo Spirito divino, quello Spirito che ha fecondato il grembo verginale di Maria di Nazaret, ed è sempre pronto a fecondare ogni grembo dell’essere umano.
Non sono considerazioni a se stanti, ma richiamano il Mistero natalizio, che non è tanto una commemorazione storica di un evento storico, ma quel Mistero di rinascita interiore, opera del Logos divino, di cui parlavano diffusamente e intensamente i grandi Mistici medievali. Perché insistevano tanto sul distacco? Perché solo attraverso il distacco da tutto ciò che è carnale, lo spirito si purifica, e si dispone alla fecondazione dello Spirito santo perché il Figlio di Dio, il Logos come l’ha chiamato Giovanni nel Prologo, possa nascere di nuovo. Torna sempre il famoso distico di Angelus Silesius: «Mille volte nascesse Cristo a Betlemme ma non in te: sei perduto in eterno».
La Nascita del Logos va al di là del tempo e dello spazio: l’unico spazio è il grembo del nostro essere, quando è fecondato dallo Spirito santo. Ma il grembo è uno spazio che va oltre quello fisico. Ogni Natale, quando è solo commemorazione storica o rituale, non solo è inutile, quindi sterile, ma è una condanna del nostro essere gravido di quella rigenerazione divina, che abortisce quando il Mistero è solo folclore, per non dire ridotto a consumismo carnale. Se di nuovo Cristo non nasce in te, come Logos eterno, è un’altra occasione persa, di perdizione.
Ultima riflessione: riguarda la parte finale del terzo brano, quando l’evangelista scrive: Gesù «entrò… nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània». Non è una annotazione solo descrittiva di ciò che Gesù ha fatto: entrare nel tempio, guardare ogni cosa e uscire. Già il verbo per indicare guardare attorno in greco è περιβλεψάμενος, ovvero compiere un giro degli occhi a 360 gradi. Gesù con uno sguardo, a modo suo, da Figlio di Dio, ha voluto vedere ogni cosa, e che cosa ha visto? Marco non lo dice, ma qualche esegeta commenta: Gesù ha provato il vuoto del tempio, che doveva contenere la Presenza divina. Dio in quel Tempio non c’era più. Marco ne dice la ragione: il giorno dopo, contro il commercio che si svolgeva nel tempio Gesù vuole riportarlo alla purezza, alla contemplazione e alla preghiera mediante un forte gesto di condanna: scaccia i venditori, rovescia i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe (l’evangelista Giovanni parla di un Gesù così adirato che usa una frusta di cordicelle, urlando: “avete fatto della mia casa un mercato), Marco mette in bocca a Gesù parole ancora più forti: “ne avete fatto un covo di ladri”.
Vi invito a riflettere sullo sguardo di Gesù, quando entra nel Tempio, e con l’Intelletto divino vede, sente “il vuoto di Dio”.

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