Novembre: mese dei santi, dei morti o dei vivi sepolti?

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Novembre:

mese dei santi, dei morti o dei vivi sepolti?

Ogni titolo di un articolo solitamente non coglie il tema di fondo dell’articolo, ma dà solo una impressione più o meno accattivante; talora il titolo, essendo prerogativa dell’editore, punta sul sensazionale facendo anche arrabbiare l’articolista.
Se poi si tratta di una intervista, allora succede che l’intervistato viene subito, già dal titolo, messo in una condizione preliminare di essere frainteso.
Mi ricordo quante volte il cardinale Giovanni Colombo se la prendeva con il tal giornale, perché le sue interviste erano già tradite con un titolo fuori posto.
Nel mio caso, sul sito scrivo articoli e pongo il titolo, cercando di mettere già in evidenza il tema che tratto. Ma, anche nel mio caso, cerco un titolo accattivante, solo stimolante ai fini di farmi leggere.
Il titolo di questo articolo dice qualcosa, non dice tutto, e soprattutto, attraverso una domanda, potrebbe già portare fuori strada.
Che il mese di novembre sia il mese dei santi non è detto, tanto è vero che il popolo lo chiama il mese dei morti. Inizia sì con una festa in onore di tutti i santi, poi, già il giorno dopo, c’è la commemorazione di tutti i defunti. Non solo: il 4 novembre terminava la Prima Guerra Mondiale. In questa giornata si intende ricordare, in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi. Oggi il 4 novembre è il Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate.
Già si impone la domanda: mese dei santi o dei morti? Se è un dovere ricordare i nostri cari defunti, e, se crediamo nell’aldilà, pregare per loro, forse è più doveroso dare alla nostra vita qui sulla terra quel senso profondo che è un richiamo di quell’Eternità verso cui siamo incamminati.
Non solo i morti, ma la stessa morte sono uno stimolo per vivere più intensamente finché abbiamo anche un solo respiro vitale. Ognuno nasce per vivere, e l’attesa per l’aldilà non deve disimpegnarci dal dovere di vivere per una causa nobile.
Oggi dire “causa nobile” sembra un lusso le chi non ha niente da fare, proprio perché ha già tutto. È vero che i problemi di sopravvivenza sono talora, e la maggior parte del genere umano, problemi vitali, che ci tolgono tempo ed energie per pensare ad altro, anche se questo altro è il Divino.
Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere. Non si vive per evadere, ma tutto è in funzione del vivere. E vivere non è un cerchio chiuso in una carnalità che consuma anche lo spirito.
Tutto deve essere in funzione del vivere, che va oltre la prigione di un corpo che sembra dannarci già per l’eternità. Se gli antichi filosofi greci, pensiamo a Platone, avevano una concezione pessimistica del corpo ritenuto come la prigione dell’anima, e invitavano a un “esercizio di morte”, nel senso di distaccarci da tutto ciò che è carnale, perciò mortale, si è poi rivalutato tutto l’essere insieme, corpo, psiche e spirito, ma è successa una cosa a dir poco criminale: si è dimenticato, offuscato, quasi represso la realtà più interiore, quella spirituale, riducendo l’individuo solo a corpo e a psiche.
Così, non si può parlare di vita, ma già di morte. Chi è vita è lo spirito che dà vita anche al corpo e alla psiche.
Intesi nella sua dualità, come corpo e psiche, non siamo vivi, ma siamo già morti.
Purtroppo si è costretti a usare il verbo “essere” anche parlando dei morti, quando in realtà già dire essere è dire vita, e la morte la dovremmo definire “non essere”.
Pur senza essere drastici nel definire filosoficamente il corpo come la prigione dell’anima o spirito, la realtà ci dice che la carnalità è riuscita a imprigionare lo spirito. E la cosa allucinante, assurda, blasfema, è che la stessa religione sia riuscita a ridurre tutto, anche il mondo del divino, a qualcosa di così strutturale da toglierci ogni respiro del Divino: il Divino lo si respira dentro di noi, e non fuori di noi, tanto meno quando la Chiesa si è fatta ben oltre quel grosso animale, di cui parlava Platone, che forse si riferiva solo all’aspetto sociale e politico dei suoi tempi.
E allora possiamo dire che anche i credenti sono già morti, prigionieri di un corpo che consuma, anche se il Maligno è sempre pronto a far rinascere altri corpi, altre carnalità, altri “grossi animali”?
Sembrerebbe di sì…
04/11/2023
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

1 Commento

  1. Rolando ha detto:

    Padre Livio Fanzaga ha detto che in caso di morte, per il tempo necessario a trovare un nuovo direttore, ossia alcuni mesi, la radio sara diretta dall’assistente editoriale Roberta Zappa. Ahhahahahahahha. Una radio con milioni di ascoltatori diretta da una contadina. Una delle cosa piu ridicole che abbia mai sentito.
    Eppoi sono 40 anni che la sopportiamo. Bastaaa! Io non ne posso piu di sentire sempre le stesse due voci che ripetono sempre le stesse cose da 40 anni. Basta!!!
    Per quanto riguarda quello che dice Livio, si tratta di una sua originalissima interpretazione dei messaggi di Medjugorie. Infatti li interpreta come se parlassero di guerre mondiali tra potenze nucleari ecc. Ma in realta basta leggerli per capire che non dicono nulla di tutto cio. Questo deriva dal suo interesse per la storia contemporanea e la politica. Se avesse avuto un interesse per l’agricoltura, li avrebbe interpretati in chiave agricola. puo fare qualcosa?

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