Sulle unioni civili: dico la mia

unioni civili

di don Giorgio De Capitani

Si torna a parlare di unioni civili. È uno dei punti dolenti della destra italiana, della sinistra che non si decide mai e di una Chiesa che non ne vuole proprio sapere, nonostante la ventata di novità bergogliana. Che cosa sono le unioni civili? “Si definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza fra due persone, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all’istituto giuridico del matrimonio, o che sono impossibilitate a contrarlo, alle quali gli ordinamenti giuridici abbiano dato rilevanza o alle quali abbiano riconosciuto uno status giuridico”. Si chiamano anche coppie di fatto, siano eterosessuali o omosessuali.

In attesa che finalmente anche lo Stato italiano riconosca anche alle coppie di fatto i diritti civili fondamentali, attualmente riconosciuti solo alle coppie unite in matrimonio, sono da lodare e da imitare quei Comuni che hanno introdotto il Registro delle Unioni Civili, così da permettere alle coppie di fatto che si registrano di accedere almeno ad alcuni diritti di pertinenza del Comune, con l’intento di superare situazioni di discriminazione e favorirne l’integrazione nel contesto sociale, culturale e economico del territorio. Le tematiche entro le quali gli interventi sono da considerarsi prioritari sono: la casa, la sanità e i servizi sociali, le politiche per i giovani, genitori ed anziani, la formazione, la scuola e i servizi educativi, i trasporti. In nessun modo, invece, è possibile assumere lo stesso cognome, adottare bambini, regolare le eredità, insomma sono precluse quelle voci che sono materia regolata solo dal matrimonio.

La mia domanda vuole essere concreta. Quanti Comuni hanno introdotto il Registro delle Unioni Civili? Qui non si tratta di questioni legate a ideologie di partito o di questioni di fede religiosa. Ognuno si tenga pure le proprie convinzioni personali, ma non le imponga ad una società che – è sotto gli occhi di tutti – non è più monolitica sul principio ancora intoccabile: stato, chiesa e famiglia, ma è sempre più pluralista in tutti i sensi e in tutti i campi. Non si possono più chiudere gli occhi. Qui si tratta di convivenza civile, e questa esige che tutti abbiano gli stessi diritti civili. Concedere tali diritti non comporta di per sé lo sfaldamento della società, fondata sulla famiglia tradizionale. Proseguendo invece sulla strada della inflessibilità dei valori cosiddetti cattolici non si farà che dividere ancora i puri dagli impuri, secondo quella concezione della religione farisaica che Cristo stesso aveva combattuto. Una vera società civile si fonda sui valori umani, tra cui l’amore, il quale non è per nulla una prerogativa della Chiesa cattolica. L’amore è un valore umano, indipendentemente dalla razza, dalla cultura e dalla religione. L’amore in sé è fuori di ogni struttura. Lo Stato non può regolamentare l’amore con dei pregiudizi ideologici, e tanto meno deve farsi condizionare dalla religione. La Chiesa può avere le sue buone ragioni per pensarla in un certo modo, ma lasci almeno allo Stato la libertà di dare a tutti i cittadini la possibilità di vivere, senza negare a nessuno quei diritti che fanno parte della stessa Umanità. Il vero progresso non si costruisce sulla perfezione di un ordine socio-politico regolato da norme oggettive, ma sulla comprensione reciproca, che è fatta di accettazione della molteplicità e della varietà delle differenze.

Quando ero a Monte, l’ultimo anno della mia permanenza, avevo sospeso la festa degli Anniversari di Matrimonio, per evitare di creare nella comunità divisioni tra chi era in regola dal punto di vista canonico e i conniventi o i divorziati, e per evitare sofferenze tra coloro che avevano perso il marito o la moglie. Ci rendiamo conto che proprio noi cristiani non facciamo altro che separare i regolari dagli irregolari e i fortunati dagli sfortunati? Oggi anche nei nostri piccoli paesi quanti sono i regolari, e tra questi quanti sono coloro che sono in regola con la propria coscienza? Non entro qui nella spinosa questione dei sacramenti da rifiutare o da concedere ai cristiani irregolari. Altro punto dolente. Altro dilemma che farà capire se veramente papa Francesco è così innovativo come lui sta facendo credere. Come al solito, si troverà al massimo una via di compromesso; e poi si avrà il coraggio di parlare di apertura della Chiesa? La Chiesa è abile nel ritinteggiare opportunisticamente la facciata, ma prima di arrivare a toccare i suoi dogmi e le sue fisime moralistiche ne passerà del tempo. Ma la Chiesa dovrà cedere non dietro pressioni esterne, ma spinta da pressioni interne. Fino a quando ci saranno pastori ottusi e obbedienti alla gerarchia e fino a quando ci sarà tanto pecorume che li segue (pecorume, tra parentesi, che a parole difende la Chiesa, ma poi in pratica fa i cavoli che vuole!), la Chiesa resterà irremovibile sulle sue posizioni, e la società sarà dilaniata da divisioni tra stato e chiesa, tra cittadini e credenti. E poi parli di pluralismo, di umanesimo, caro Scola? E poi te la prendi e usi il pugno duro con qualche tuo prete che alza finalmente la testa? Nella Chiesa, più che convegni o discussioni, serve una corale disobbedienza, non nel nascondimento tipico del pecorume che ha paura, ma in una testimonianza esplicita di un cristianesimo alla scoperta delle sue radici. A iniziare dai ministri di Cristo! Non si pretende da tutti una ribellione aperta: basterebbero una decina in ogni diocesi!

Da Il Fatto Quotidiano

Unioni gay: l’assurdo no dei cattolici

di Matteo Winkler | 3 gennaio 2014

Il nuovo anno si apre con nuove speranze e vecchie polemiche.

L’accelerazione di Matteo Renzi su una regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, se di accelerazione si può parlare per indicare qualcosa che aspettiamo da almeno 20 anni, ha infatti scatenato le solite reazioni negative del Nuovo Centro Destra di Alfano, Formigoni & Co. “Prima viene la famiglia“, dice Alfano.

“Su gay e immigrati non si discute” altrimenti sarà la crisi, rincara Formigoni.

Nessuna persona di buon senso poteva né può nutrire la sana speranza che questi politici cattolici, sedicenti o effettivamente tali, da sempre chiusi ermeticamente dietro la cerniera dei “valori non negoziabili” o dei “temi eticamente sensibili“, dicessero qualcosa di diverso sulla questione delle convivenze tra persone dello stesso sesso.

Ma non riesco a non concordare con quanto scrive Stefano Rodotà in un suo libro di qualche anno fa, che guardare al mondo cattolico nel suo complesso, quindi anche a quella sua parte più invisa alla politica e alle gerarchie ecclesiastiche, sia “un modo per sottrarsi alla regressione sociale“. Regressione nella quale continuiamo a trovarci, in netto svantaggio rispetto alle altre democrazie mature, perché la nostra classe politica continua ad essere distaccata dalla realtà, cieca e sorda alle legittime richieste di uguaglianza provenienti dalla comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale italiana, e perché essa continua a preferire il compromesso per conservare o accumulare il potere sulla pelle di una minoranza.

Ci sono gruppi cattolici, anche espressi in associazioni che operano sul territorio, che hanno giustamente superato la concezione dell’omosessualità come contraria al disegno divino e quindi come peccato dal quale l’individuo può e anzi deve redimersi solo attraverso la castità. Non è bollando una relazione affettiva come “immorale” che si offre la soluzione della questione delle unioni omosessuali, che non è affatto etica ma deve essere politica.

E infatti l’etica, tanto sbandierata da esponenti politici che non hanno nessun titolo per farsene portavoci, non ha certamente la funzione di mutare la condizione personale di gay e lesbiche, condannandoli senza appello a un’esistenza grama e silenziosa, ma piuttosto di svelare – sono ancora parole di Rodotà – come quella relazione affettiva possa essere valorizzata dal punto di vista del benessere collettivo.

È dunque più corretto quindi esporre il problema delle unioni gay nei termini che seguono.

Primo. Il riconoscimento delle coppie dello stesso sesso non lede in alcun modo la famiglia “tradizionale“, ma offre anzi prospettive di futuro per giovani gay e lesbiche che si scoprono e domandano alla politica che ne sarà di loro, nell’aspettativa che quest’ultima dia risposte in termini di accoglienza, e non di violenza o discriminazione.

Secondo. Non esiste alcun limite costituzionale a questo riconoscimento, perché la Costituzione promuove la famiglia come realtà sociale, non certo come nucleo inevitabilmente discriminante, che include alcuni ed esclude altri in virtù di una caratteristica personale (l’orientamento omosessuale) che non ha niente che fare con il contributo di ciascuno al progresso della famiglia stessa e della società in generale.

Terzo. Chiunque abbia fatto un minimo di catechismo da bambino sa che esistono nella Sacra Bibbia precetti sui quali persino la Chiesa Cattolica Apostolica Romana non esprime più un giudizio negativo. E sa anche che quanto scritto nella Bibbia sui rapporti tra persone dello stesso sesso (“non giacerai…” e via dicendo), più che favorire l’inclusione o la non-discriminazione, alimenta direttamente l’ostilità, la segregazione e la violenza nei confronti delle persone omosessuali a prescindere dalla loro condotta, e dunque unicamente per quello che sono. Non a caso proprio quei versi della Bibbia vengono oggi sfruttati da gruppi religiosi in Africa per proporre e approvare, com’è avvenuto in Uganda e Nigeria, leggi che puniscono i rapporti omosessuali con l’ergastolo, e ciò solo perché la pena di morte ha ricevuto critiche severe dal mondo diplomatico ed è stata quindi cancellata.

Un cattolico maturo dovrebbe domandarsi se il disegno di Dio contempli un premio finale per l’ostilità, l’odio e la segregazione, o se piuttosto non sia dovere morale di ogni cristiano smetterla di usare la religione come mezzo di coercizione politica nei confronti dell’”altro” e del “diverso”.

Da quale parte i cattolici vogliono stare? La nostra classe politica è davvero più simile ai gruppi che fanno dell’omofobia fanatica e ossessiva la loro ragione di vita, e non piuttosto a chi si adopera per rendere l’Italia non migliore, ma decente dal punto di vista dei diritti individuali?

 

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