6 gennaio 2022: EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60,1-6; Tt 2,11-3,2; Mt 2,1-12
Tutti gli anni sono costretto a premettere che l’episodio dei magi (tra parentesi, l’unico a parlarne è l’evangelista Matteo) non andrebbe letto alla lettera come se fosse un fatto storico, ma come una allegoria, bellissima proprio perché allegoria, o, meglio, usando una parola ebraica, andrebbe letto come un “midrash”, una specie di parabola ricostruita sulle profezie antiche.
Non si tratta di una semplice parabola, ma di qualcosa di più, per cui anche i particolari hanno una loro importanza, soggetti a diverse interpretazioni sempre nel campo allegorico.
Vedete: un fatto è un fatto e va letto senza tante concessioni alla fantasia. Un evento storico non permette soggettive interpretazioni. Un fatto è freddo, esige metodi scientifici.
La Bibbia non è tanto un insieme di fatti, certo che ce ne sono e sono anche storici, ma la Bibbia, se è vero che è Parola di Dio, va al di là di una storicità che è legata al tempo. La Parola di Dio è fuori del tempo e degli spazi, o, meglio, è al di là, oltre.
È vero che, come si dice, la storia è maestra di vita, ci insegna a vivere, ma, ripeto, i fatti sono fatti (come dice del resto la parola: i fatti sono “fatti”, ovvero già compiuti), legati al tempo e allo spazio, invece la Parola Dio è libera dal tempo e dallo spazio.
La Parola di Dio, dunque, vuole la sua libertà, non ama gli schemi. La Parola di Dio è l’Eterno presente. La Parola di Dio, ovvero il Logos Eterno, si rigenera nel grembo di ogni essere umano.
Queste cose andrebbero sempre ripetute, così come dovremmo ripetere che, ogniqualvolta ci accostiamo alla parola scritta nella Bibbia, dovremmo scoprirvi l’Eterno presente.
Prima dicevo che il racconto dei magi, proprio perché è una allegoria, suscita sempre meraviglie, riflessioni profonde, ci permette di volare anche con la nostra mistica immaginazione al di fuori del tempo e degli spazi.
Certo, dobbiamo avere anche un limite nel leggere certi racconti biblici in senso allegorico, per evitare astruserie, stranezze, esagerazioni, spesso riscontrabili anche negli scritti dei Padri della Chiesa.
L’allegoria ha un suo fascino, ma se tocca la Mistica il fascino è del tutto garantito. E nel racconto dei magi troviamo numerosi sempre affascinanti aspetti mistici.
Pensiamo a cosa potrebbe suggerire le parole: oriente, mago, stella, Gerusalemme, Erode, dono, cammino.
Ogni parola meriterebbe una particolare attenzione. Quest’anno vorrei soffermarmi sulla “stella”, che richiama la luce. Proprio sulla cosiddetta cometa dei magi ci sono state incomprensioni, anche duri scontri tra fede e scienza, proprio perché entrambe l’hanno intesa in senso fisico, con ostinazione anche ridicola e imbecille.
Come si può non parlare oggi di luce, Festa della Epifania, ovvero della manifestazione, come dice la parola “epifania”, quando anche il primo brano è un inno alla luce?
È tutto un invito a rivestirsi di luce; il Signore è descritto nella sua gloria che brilla su di noi, come colui che risplende tra le tenebre, nella nebbia; i popoli cammineranno alla luce del Signore, così saranno raggianti.
Dovremmo a lungo soffermarci sulla parola “gloria”; vediamo di dirne qualcosa. Nella lingua ebraica c’è un termine, “cabod,” che indica di per sé il peso, in quanto valore con cui si misura una cosa o una persona. Non è qualcosa di materiale, ma di essere. Non sono le ricchezze o il potere a dare il peso di una persona, ma la sua realtà essenziale. Il peso indica la gloria, lo splendore vero di una persona e la realtà essenziale stessa di Dio, che è la Gloria. La Gloria di Dio è ciò che Egli è. Quindi l‘espressione “la gloria di Jahve” designa Dio stesso in quanto si rivela nella sua maestà, nella sua potenza, nello splendore: Gloria della sua santità, nel dinamismo del suo essere. La “gloria di Jahve” ha quindi carattere di epifania, di manifestazione del Divino nella sua realtà purissima.
Dio rivela la sua gloria, ovvero il suo essere, il suo splendore nel Creato. Anche una cometa manifesta la Gloria di Dio, ciò che Egli è. Ma siamo sempre nel campo fisico.
La stella dei magi è qualcosa di più, se leggiamo il brano in senso allegorico/mistico. Possiamo dire che è una voce interiore divina, possiamo dire che è la stessa coscienza dei magi. Ma che cos’è in realtà la coscienza?
Non basta parlare di una vaga luce interiore, di un vago riflesso divino. I Mistici medievali parlano di una reale “scintilla divina”, che scaturisce dall’Intelletto divino. È lo stesso spirito del nostro essere, che è appunto, in quanto spirito, una scintilla del Divino.
L’intelletto richiama la sapienza, ed ecco la parola “mago”, da intendere come sapiente. Il sapiente richiama il Logos divino incarnato, “Sol Invictus”, come lo chiamavano i pagani. E il Sole richiama l’Oriente da dove sorge, e da cui provengono i magi, i sapienti.
Dunque, Intelletto, luce, scintilla divina, oriente, sapienza.
Da qui non si fugge. Non c’è altra salvezza, altra possibilità di vita.
Vorrei fare qualche riflessione. Parto da una domanda: che cosa oggi ci manca? non ci sembra che, nonostante tutto un luccichio di luci fosforescenti, questa società sia quasi al buio totale? A Natale abbiamo illuminato palazzi, monumenti, chiese anche in modo osceno, volgare, dissacrante. Perché questo bisogno di illuminare dall’esterno, quando la luce, almeno una scintilla, l’abbiamo dentro di noi?
I magi perdono di vista la stella, quando entrano nella città di Gerusalemme, sede del potere politico e religioso, e si affidano al parere dei teologi dell’epoca. Sì, la stella scompare, per poi riapparire, appena escono dalla capitale.
Non è che, anche per noi vale la stessa cosa, ovvero che, quando ci affidiamo a gente che conta, crediamo alle panzane di un potere che promette mari e monti, ad una religione che ci garantisce una felicità eterna a buon mercato, allora perdiamo di vista la nostra stella, che è dentro di noi?
Matteo scrive: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”. In quale casa sono entrati? A me piace pensare che questi sapienti che provenivano dall’oriente avessero trovato finalmente la loro casa, e in casa avessero trovato il Figlio di Dio da tempo cercato. Quanti cammini facciamo, ma alla ricerca di che cosa? Cammini che ci portano lontano dalla casa. Decidiamoci una buona volta. Entriamo dentro di noi, e qui il Figlio di Dio nascerà in noi.
STUPENDA.