La messa è finita: ecco come in trent’anni è calata la partecipazione

La messa è finita:

ecco come in trent’anni è calata la partecipazione

Forse il fenomeno è iniziato da anni, ma negli ultimi tempi si sta assistendo a un sempre più massiccio allontanamento dei fedeli dalla chiesa, in particolare dalla partecipazione alle Messe festive.
Queste considerazioni partono anche dalla mia esperienza personale, ovvero dal fatto che nelle mie Messe festive, quando ero a Monte fino a dieci anni fa, e anche ora a Dolzago nella Messa festiva delle ore 18, solitamente noto una presenza sempre particolarmente significativa e costante di fedeli provenienti anche da altre parrocchie.
Mi chiedo: che cosa trovano di così elettrizzante in una Messa celebrata tra l’altro senza tanti fronzoli, senza quella spettacolarità oggi così di moda per attirare più gente, specialmente ragazzi e giovani?
Forse teologicamente penso in modo poco ortodosso, ma ritengo che la Messa non sia solo un insieme di letture, di canti, di riti, come se tutto fosse una sola “mensa”, quella cosiddetta “eucaristica”, trascurando ciò che ritengo la premessa indispensabile, ovvero la “mensa della parola di Dio”.
Chi conosce la storia della Messa, sa che all’inizio i cristiani davano un’enorme importanza ai brani biblici, come a dire: prima ci si nutre del Logos eterno, poi del Pane eucaristico.
I catecumeni, che si stavano preparando a ricevere il battesimo, potevano partecipare alla Messa, ma solo nella sua prima parte, poi dovevano uscire di chiesa.
Ma, successivamente, secoli e secoli dopo, successe una cosa paradossale, anche se non del tutto strana: se prima il latino era la lingua ufficiale e la gente lo capiva, quando il latino divenne incomprensibile alla massa, la gente che veniva a Messa, per comprendere le letture in latino dei brani, si faceva aiutare dai cosiddetti “messalini” con la traduzione dei brani latini in lingua italiana, ma la massa a poco a poco snobbò la “mensa della Parola”, venendo a Messa dopo l’omelia, però non dopo che il celebrante “scoprisse il calice”, per non rendere invalida la partecipazione, resa obbligatoria da un precetto della Chiesa.
Con il Concilio Vaticano II tutto cambiò: si iniziò a celebrare la Messa nella lingua volgare (del popolo), ponendo altri problemi che prima non c’erano, ad esempio come spiegare certi brani biblici, difficili non per la lingua, ma per il contenuto. La gente, prima catechizzata fino all’estremo, era diventata via via sempre più “ignorante” nel campo scritturistico.
E i preti si posero subito la domanda: come spiegare in pochi minuti, al massimo 10 o 12, un brano (tra l’altro, essendo tre, e talora non concordanti tra loro, quale scegliere?), mettendosi sempre dalla parte dell’assemblea, le cui esigenze variano di tempo in tempo, ma solitamente col criterio del pastore d’anime che riduce tutto o quasi a una questione morale.
A dire il vero, è sempre stato il difetto dei parroci, ovvero presentare la dottrina della Chiesa (già dire questo!) in un’ottica moralistica, senza porsi il problema di fondo: la morale dipende da che cosa: forse da leggi (i cosiddetti comandamenti) imposte dalla Chiesa? Già oggi è difficile far comprendere che la volontà dipende dall’intelletto, immaginate tempi addietro quando la stessa Chiesa istituzionale pensava solo alla casistica, forse peggiore di quella farisaica bollata duramente da Cristo.
Se prima, al tempo del latino, lingua ufficiale della Chiesa, i preti che puntavano alla morale avevano meno colpe, come si può oggi continuare a predicare o tenere omelie del tipo moralistico? Oggi, che vede sempre più anche gli stessi credenti allargare di propria spontaneità le maglie della rigida morale ecclesiastica, che non tiene più nemmeno per i preti e le suore.
Ora immaginate una massa che la stessa società oramai pagana ha ridotto a pura carnalità: di che cosa avrebbe bisogno? Forse di tornare a una morale cieca e ottusa? Non avrebbe bisogno invece di una parola che scenda nell’intimo del proprio essere, così come la donna di Samaria che, dopo una vivace discussione con Gesù, ha poi capito di aver bisogno di essere dissetata con l’acqua zampillante per la vita eterna?
E allora ecco la mia risposta al fatto che oggi la gente si stia sempre più allontanando dalla Messa. Non è perché gli stessi fedeli non trovino qualcosa di veramente interessante, ovvero quell’acqua di vita eterna, la grazia, che li possa dissetare nello spirito?
Quando ero teologo, c’era un Trattato proprio sulla Grazia, che i professori ci spiegavano anche con una particolare arte comunicativa. Non so se oggi in seminario si parla ancora di Grazia.
Mi pongo questa domanda: se vedo gente che ha sete di acqua, e so che nei pressi c’è una sorgente, che faccio? Dico alla gente di starsene buona buona, o non la dirigo verso la sorgente dell’acqua?
Oggi noi preti crediamo nella Grazia? E se crediamo perché non parliamo di Grazia alla gente che viene ancora in chiesa, così da stimolarla a venire con maggiore passione e partecipazione, sapendo poi che col passa parola possono succedere dei miracoli?
Non è vero che se un prete tiene omelie di un certo tono dicendo cose elevate la gente si allontana. Certo, tutto dipende anche dal modo con cui si dicono le cose.
La gente oggi ha assolutamente bisogno di una parola nuova, che scenda alle radici del Mistero divino.
E, quando si predica, non si dovrebbe parlare ai bambini (che hanno i loro momenti di catechesi settimanale), ma ai giovani e agli adulti: costoro hanno bisogno di essere stimolati nel loro essere interiore con pensieri alti, profondi, così come Gesù parlava alla gente comune e ai capi religiosi.
Banalizzate, banalizzate, banalizzate la parola di Dio, e fra poco parlerete solo alle panche.
Restituite alla Parola la sua pienezza di luce e di vita, e la gente tornerà in chiesa, perché, pur immersa nella più oscena carnalità, ha sempre dentro un richiamo del Divino che va stimolato, perché torni ad essere la Sorgente a cui attingere a piene mani.
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da www.repubblica.it
04 MARZO 2024

La messa è finita:

ecco come in trent’anni è calata la partecipazione

di Iacopo Scaramuzzi
Il sociologo Luca Diotallevi analizza i dati Istat dal 1993 al 2019 che smentiscono l’idea di una “eccezionalità italiana”: nella mancata partecipazione coinvolte sempre più donne
La messa in Italia è “sbiadita”, se non finita. La partecipazione al rito domenicale è passata dal 37,3% della popolazione adulta nel 1993 al 23,7% del 2019 con un “declino” che promette di allargarsi con l’avanzare delle nuove generazioni, smentisce una presunta “eccezionalità italiana” e, soprattutto, tende ormai a coinvolgere le donne non meno degli uomini. A scattare la foto impietosa sullo stato della secolarizzazione nel nostro paese è il sociologo Luca Diotallevi in un libro appena pubblicato da Rubettino sulla “partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993 al 2019” e intitolato, appunto, “La messa è sbiadita”.

Prima del gradino del 2020

Diotallevi, sociologo da sempre attento alle dinamiche del cattolicesimo italiano, raccoglie e analizzi i dati pubblicati nel corso del tempo dall’Istat fermandosi, peraltro, alla soglia di un anno cruciale, il 2020, che, a causa della pandemia, ha segnato un gradino nel calo della partecipazione dei cattolici alla vita di Chiesa: gradino percepito diffusamente, anche dai vertici della Conferenza episcopale italiana, ma non ancora registrato incontestabilmente dalle statistiche ufficiali.

La questione femminile

La messa “non è più un affare di donne ed è sempre più un affare di persone anziane sinché la generazione dei nati prima del 1955 non sarà uscita di scena”, scrive Diotallevi, professore all’università Roma Tre, in questo libro dal quale emerge tra i più rilevanti il tema della questione femminile. Alla fine del periodo preso in analisi, il 2019, “più di un praticante “regolare” su quattro è una donna anziana. I dati a disposizione suggeriscono che fra 20/25 anni non sarà più così. Allora queste anziane saranno uscite di scena mentre le loro figlie e le loro nipoti in larga maggioranza hanno già smesso di seguire i modelli di comportamento religioso delle mamme e delle nonne”, scrive il sociologo.
Se in tutta la popolazione cala la partecipazione alla messa, aumenta con il diminuire dell’età, e tra le nuove generazioni sempre meno si inverte con l’avanzare dell’età, uno dei dati più rilevanti che si impongono già oggi, infatti, è la “progressiva e marcata assimilazione del profilo femminile (…) a quello maschile, ivi inclusi l’anticipazione del punto di flesso (ossia il punto di cambiamento di una tendenza, ndr.) e il rallentamento e poi l’annullarsi del recupero. La specificità femminile (…) si va perdendo (anche) in Italia (anche) in questo campo ed è già ridotta ai minimi termini tra le ragazze, le adolescenti e le giovani”. Evidenze che portano il sociologo ad affermare che le donne stanno “disertando” la messa “a un ritmo più veloce di quello degli uomini”.

Aumentano i non praticanti

Guardando all’insieme della popolazione italiana, “la quota di individui con 18 anni di età o più che dichiarano di aver partecipato almeno una volta alla settimana” a messa “passa dal 37,3% del 1993 al 23,7% del 2019”. In particolare, “il 2017 è l’anno nel quale il numero di coloro che dichiarano di partecipare “mai” raggiunge e supera quello di coloro che dichiarano di praticare “almeno una volta alla settimana””. Oltre all’assimilazione dei profili femminili e maschili, il declino ha altre caratteristiche specifiche. Il declino accelera in velocità a partire dal 2005. Si assottiglia, inoltre, il novero dei praticanti saltuari: “Chi abbandona la pratica regolare approda piuttosto rapidamente alla condizione di “non praticante” dopo essere transitato più o meno velocemente per lo stadio intermedio della pratica saltuaria”.

Dopo il ticket Wojtyla-Ruini

Il fenomeno, peraltro, va contestualizzato: nella società, “molti processi di partecipazione politica diminuiscono più di quanto non avvenga” alla messa e agli altri riti religiosi, per un verso. Per un altro verso, se altri indicatori – ad esempio, i battesimi, o le firme per l’otto per mille alla Chiesa cattolica nella dichiarazione dei redditi – mostrano cali meno vertiginosi, eppure “i fenomeni di identificazione, anche se con un po’ di ritardo su (…) i fenomeni di partecipazione, presentano una tendenza chiaramente decrescente”. Declino che non è stato arrestato, nota Diotallevi, sociologo molto ascoltato dalla Cei già all’epoca del cardinale Camillo Ruini, né dalla strategia di “centralizzazione” promossa dal “ticket Wojtyla-Ruini”, né dallo spazio conquistato da “movimenti, prelature personali, comunità di vario genere”, a scapito delle parrocchie e delle diocesi, né il pontificato pur innovativo, sotto certi aspetti, di Francesco, sembra aver impresso, da questo punto di vista, “scosse significative”, “inversioni o anche semplicemente attenuazioni del declino”.

Verso una media nazionale al 10%

Una tendenza ormai consolidate, che fa prevedere, per il futuro, “una platea di praticanti regolari assai più piccola e assai meno caratterizzata da singoli tratti di genere e di età”. Più concretamente, “potrebbe verificarsi (…) che tra qualche lustro o forse solo tra qualche anno la partecipazione (…) nella media nazionale si riduca a un valore prossimo al 10%, il che in molte aree del paese corrisponderebbe a un valore (effettivo) a una sola cifra”.

1 Commento

  1. GIOVANNA ha detto:

    …Ha tristemente ragione e condivido tristemente il suo commento…sono arrivata al punto che pur di non sentire il sacerdote che si sbrodola addosso un fiume di parole idiote che nemmeno si ascoltano e tra l’altro urlate come se fossimo a un comizio e di una portata assolutamente insignificante arrivo mezz’ora in ritardo per fare la comunione e poi scappare…
    ..E proprio con quel modo di parlare come se fossero tutti deficienti..alcuni senz’altro ma forse non tutti….

    Ed e’ davvero drammatico…non so dove sbattere la testa o meglio non so dove confortare lo spirito…..

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