«Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni…» (Atti 4,13)

L’EDITORIALE
di don Giorgio

«Vedendo la franchezza

di Pietro e di Giovanni…» (Atti 4,13)

La parola “franchezza” traduce il termine greco “parresia”, che viene solitamente tradotto con l’espressione “coraggio di dire tutta la verità”.
Di per sé, etimologicamente, “parresia” indica già “dire tutto” (il termine παρρησία è composto di pan, “tutto”, e rhema, “ciò che viene detto”) includendo il coraggio di farlo, altrimenti non si direbbe tutto.
Ma che significa “dire tutto”? “Tutto” che cosa?
Gli antichi greci adoravano numerosi dèi, tra cui una divinità di nome Pan. Il nome di Pan deriverebbe secondo alcuni studiosi dal greco antico Πάν, “tutto”. Era un dio dei pascoli, della vegetazione, della forza vitale della natura, della fertilità ma anche dell’istinto primitivo e della paura. Il suo urlo incuteva un tale terrore che bastava a far scappare a gambe levate i più coraggiosi. Si narra infatti che durante una battaglia tra i Greci e i Celti, il dio Pan intervenne e incusse un tale terrore panico negli invasori che questi batterono in ritirata. Dietro “il panico” infatti ci sarebbe proprio questa divinità, figura archetipica dell’inconscio collettivo.
A parte tutto ciò che si dice di questa divinità, vorrei riportare una famosa preghiera, quella di Socrate, che chiude il Fedro di Platone.
In greco
Φαῖδρος – ταῦτ᾽ ἔσται: ἀλλὰ ἴωμεν, ἐπειδὴ καὶ τὸ πνῖγος ἠπιώτερον γέγονεν.
Σωκράτης – οὐκοῦν εὐξαμένῳ πρέπει τοῖσδε πορεύεσθαι;
Φαῖδρος – τί μήν;
Σωκράτης – ὦ φίλε Πάν τε καὶ ἄλλοι ὅσοι τῇδε θεοί, δοίητέ μοι καλῷ γενέσθαι τἄνδοθεν: ἔξωθεν δὲ ὅσα ἔχω, τοῖς ἐντὸς [279ξ] εἶναί μοι φίλια. πλούσιον δὲ νομίζοιμι τὸν σοφόν: τὸ δὲ χρυσοῦ πλῆθος εἴη μοι ὅσον μήτε φέρειν μήτε ἄγειν δύναιτο ἄλλος ἢ ὁ σώφρων. ἔτ᾽ ἄλλου του δεόμεθα, ὦ Φαῖδρε; ἐμοὶ μὲν γὰρ μετρίως ηὖκται.
Φαῖδρος – καὶ ἐμοὶ ταῦτα συνεύχου: κοινὰ γὰρ τὰ τῶν φίλων.
Σωκράτης – ἴωμεν.
Traduzione:
Fedro – D’accordo. Adesso possiamo anche andare. Il caldo si è fatto più mite.
Socrate – Non ti sembra giusto rivolgere una preghiera agli dèi del luogo, prima di metterci in cammino?
Fedro – Perché no?
Socrate – O caro Pan, e voi altri dèi che dimorate in questo splendido posto! Concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in armonia con quello che mi porto dentro! Che possa stimare ricco il saggio, e che possa avere a disposizione tanto oro quanto nessun altro potrebbe prendersi e portarsi via, se non il temperante! Abbiamo bisogno di chiedere altro, o Fedro? Per quanto mi riguarda, ho pregato nella giusta misura.
Fedro – Mi unisco con te a questa preghiera, perché le cose degli amici sono comuni.
Socrate – Andiamo!
(Platone, Fedro, 279 B4 – C8)
Alla luce dell’antico pensiero greco cerchiamo di chiarire le due parole: il saggio e il temperante.
La phronesis, in greco antico φρόνησις, che corrisponde al termine italiano “saggezza”, è quella particolarità del sapere, utile a orientare la scelta: la σοφία (sofìa), sapienza, indica di per sé la perfezione spirituale teorica, che illumina la saggezza (phronesis), perché orienti la scelta nel campo morale o pratico.
Termine connesso a phronesis è quello di sophrosyne, che indica, secondo Aristotele, quel comportamento “moderato” o “temperante” che caratterizza la saggezza.
Socrate «non distingueva σοφία [sapienza] e σωφροσύνη [temperanza], ma considerava saggio e temperante colui che, conoscendo le cose belle e buone, sapesse servirsene, conoscendo le brutte, sapesse guardarsene».
Anche in Platone il termine phronesis viene talora sostituito con sophia, ma mantiene il medesimo significato del possesso di una scienza che serva a indirizzare nelle scelte pratiche e a realizzare il bene. Colui che pratica la phronesis, conciliando saggezza e vita pratica, sarà anche in grado di bene operare nella vita politica.
Sappiamo che in generale la sapienza, come scienza suprema, è concepita da Socrate come scienza del bene. In Repubblica, IV, Platone, per bocca di Socrate, descrive la sapienza di una città come la “capacità di fare buone scelte”, in altre parole, diremmo noi, di prendere le giuste decisioni, di fare le leggi migliori ecc. (sottinteso: per la città, per il bene della città). Dunque si tratta sempre di “sapere che cosa sia meglio” in determinate circostanze
Il “coraggio”, qui e altrove, è definito come “la scienza di ciò che è da temere e di ciò che non è da temere”. Coincide con la virtù del perfetto “custode” e risiede appunto nei membri di questa classe. Perché una città viva, è sufficiente che siano adeguatamente coraggiosi coloro che la devono difendere e che vi devono amministrare la giustizia.
La “temperanza” consiste nel dominio esercitato della “ragione” sulle “passioni”. In uno Stato ordinato la “temperanza” è diffusa a tutti i cittadini. È infatti opportuno che quelli che non hanno sufficiente “sapienza” e “coraggio”, ossia la maggioranza degli artigiani, dei contadini e dei mercanti, e che vivono perseguendo spontaneamente quello che loro “appare” il bene (cioè l’interesse privato) riconoscano la necessità di essere governati dalle altre due classi, per il loro stesso bene e per il bene della città; così come è opportuno che sappiano moderare le loro passioni e i loro desideri quando la loro soddisfazione dovesse danneggiare il bene comune. La virtù dunque di chi sa essere sufficientemente “padrone di sé”, cioè la temperanza o moderazione, è bene che sia propria di tutti in una città giusta e forte.
La “giustizia” consiste nel “fare ciò che è proprio di ciascuno”, sulla base delle differenze che “per natura” fanno sì che ciascuno possa svolgere meglio un compito diverso da quello dell’altro, per il “bene di tutti”. Se il mercante non si improvvisa guerriero e il guerriero non cerca di fare il mercante, ma ciascuno “fa il suo mestiere”, è meglio per ciascuno e per tutti.
Prova a discutere la differenza tra l’idea platonica di giustizia (che è comune al mondo antico e medioevale) e il moderno concetto di eguaglianza (o di giustizia in quanto eguaglianza).
Oggi spesso per giustizia si intende il fatto di dare parti eguali a soggetti fondamentalmente eguali. Ciò perché in seguito all’illuminismo e alla Rivoluzione Francese (XVIII sec. d.C.) la giustizia si è sempre più identificata con l’eguaglianza (giuridica, politica, o perfino economica e sociale).
Gli antichi in generale e Platone in particolare partono piuttosto dall’analogia tra la città e l’uomo: come nel corpo si distinguono diversi organi, gerarchicamente distinti per importanza (dal capo ai piedi, attraverso gli arti, gli organi della digestione e quelli della riproduzione ecc.), così anche nello Stato le diverse funzioni devono essere distinte perché lo Stato possa vivere armoniosamente. La giustizia non è altro che l’armoniosa coordinazione delle parti (e delle classi) della città. Aristotele riassume il concetto con la seguente metafora: “la giustizia è la salute della città”.
Dal punto di vista politico, quindi, il modello proposto non è certo una democrazia, perché anche quello del governare è concepito come un “mestiere”, il più difficile, che spetta solo a chi lo sa fare, ne ha la sapienza; non a tutti e nemmeno alla maggioranza del popolo. Ma non si può parlare di tirannide perché si presuppone che chi sa governare lo faccia per il bene di tutti e non solo del proprio (altrimenti non si dice che governa, ma che “rapina”). Si può parlare di aristocrazia [lett.: governo dei migliori], ma nel senso che i governanti devono essere effettivamente i migliori.
Quello che sta a cuore a Platone, però, non è la forma del governo, ma il modo di organizzare lo Stato in modo che effettivamente il contenuto o la sostanza del governare sia buono.
Sono partito in questo articolo parlando di “parresia”, e, parlando del dio Pan e spiegando i termini “saggio” e “temperante” non ho voluto fare una dotta ma inutile digressione, se è vero che “parresia” è “dire tutto”, ma in che senso, in che modo, per quali ragioni?
Parlare chiaramente, con coraggio, ma in vista di che cosa? Ecco il punto.
Certo, posso essere chiaro e coraggioso difendendo i miei “giusti” interessi, ma non è da leggere in questo senso la “franchezza” (parresia) dei primi apostoli e cristiani.
Loro parlavano chiaro e in modo coraggio per difendere il regno di Dio, che è il cuore della Buona Novella o Vangelo, ma che è pur sempre il bene di ogni essere umano.
Sophia (sapienza come virtù), phrònesis (saggezza pratica), sophrosyne (temperanza o moderazione), coraggio, giustizia, bene comune, ecc., appartengono anche al messaggio e al linguaggio cristiano, in vista di quel bene che riguarda il mondo dello spirito e il mondo della carne.
06/04/2024
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