6 ottobre 2019: SESTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Re 17,6-16; Eb 13,1-8; Mt 10,40-42
Ospitali o accoglienza presso i popoli antichi
C’è una parola che troviamo nei tre brani della Messa, ed è ospitalità o accoglienza.
Parlare oggi di ospitalità o di accoglienza incontra, paradossalmente, notevoli difficoltà di ospitalità e di accoglienza.
Ho letto sul quotidiano cattolico AVVENIRE, anni fa, precisamente nell’agosto del 2015, qualche anno prima che arrivasse la barbarie politica di Matteo Salvini, un articolo scritto da Luigino Bruni molto interessante, che spiega l’importanza della ospitalità presso il mondo greco e il mondo latino, e anche presso il mondo biblico.
Il forestiero era portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di passaggio. Nel brano tolto dalla Lettera agli Ebrei si dice: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli». Chiaro il riferimento ad Abramo, quando il grande patriarca, senza saperlo, ospitando i pellegrini, aveva ospitato Dio. Di conseguenza, può capitare che, se non sono ospitale, posso perdere l’occasione di ospitare Dio. Ricordiamo le parole di Gesù: «Ero straniero e non non mi avete ospitato». Ma quando mai? Quando non hai ospitato lo straniero.
Quando eravamo studenti ci facevano un po’ odiare i grandi antichi testi letterari, pensate all’Odissea e all’Eneide, eppure erano dei capolavori. Simone Weil, innamorata del mondo greco, ha rivalutato soprattutto l’Eneide. Ebbene, nell’Odissea troviamo un grande insegnamento sul valore dell’ospitalità (Nausicaa, Circe…) e sulla gravità della sua profanazione (Polifemo, Antinoo).
Riflettiamo seriamente sull’ospitalità
Scrive Bruni: «L’ospitalità era regolata nell’antichità da veri e propri riti sacri, espressione della reciprocità di doni. L’ospite ospitante era tenuto al primo gesto di accoglienza e, nel congedarlo, consegnava un “regalo d’addio” all’ospite ospitato, il quale dal canto suo doveva essere discreto e soprattutto riconoscente. L’ospitalità è un rapporto (ed è bello che in italiano ci sia un’unica parola, ospite, per dire colui che ospita e colui che è ospitato). Al forestiero che si accoglieva a casa non veniva chiesto né il nome né l’identità, perché era sufficiente trovarsi di fronte a uno straniero in condizione di bisogno affinché scattasse la grammatica dell’ospitalità. La reciprocità delle relazioni d’accoglienza era alla base delle alleanze tra persone e comunità, che componevano la grammatica fondamentale della convivenza pacifica tra i popoli»
Continua Bruni: «La guerra di Troia, l’icona mitica di tutte le guerre, nacque da una violazione dell’ospitalità (da parte di Paride). La civiltà romana continuò a riconoscere la sacralità dell’ospitalità, che veniva anche regolata giuridicamente. La Bibbia, poi, è un continuo canto al valore assoluto dell’ospitalità e dell’accoglienza dei forestieri, che, non di rado, vengono chiamati “angeli”. Il primo grande peccato di Sodoma fu rinnegare l’ospitalità a due degli uomini che erano stati ospiti di Abramo e Sara alle Querce di Mamre (Genesi, 18-19), e uno degli episodi biblici più raccapriccianti è una profanazione dell’ospitalità – lo stupro omicida dei beniaminiti di Gabaa (Libro dei Giudici, 19)».
Continua Bruni: «Il cristianesimo raccolse queste tradizioni sull’ospitalità, e le interpretò come una declinazione del comandamento dell’agape ed espressione diretta della predilezione di Gesù per gli ultimi e i poveri. In quelle culture antiche, dove vigeva ancora la “legge del taglione”, dove non era riconosciuto quasi nessuno dei diritti dell’uomo che l’Occidente ha conquistato e proclamato in questi ultimi secoli, l’ospitalità fu scelta come prima pietra di civiltà dalla quale è poi fiorita la nostra. In un mondo molto più insicuro, indigente e violento del nostro, quegli antichi uomini capirono che l’obbligo di ospitalità è essenziale per uscire dalla barbarie. I popoli barbari e incivili sono quelli che non conoscono e non riconoscono l’ospite… L’ospitalità è la prima parola civile perché dove non si pratica l’ospitalità si pratica la guerra, e si impedisce lo shalom, cioè la pace e il benessere. Smettiamo allora di essere civili, umani e intelligenti quando interrompiamo la pratica antichissima dell’ospitalità. E se l’ospitalità è il primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per tornare indietro verso il mondo dei ciclòpi, dove regnano solo la forza fisica e l’altezza… L’ospitalità è un bene comune, e quindi fragile. Come tutti i beni comuni viene distrutto se non è sostenuto da una intelligenza collettiva più grande degli interessi individuali e di parte. Ma come tutti i beni comuni, una volta distrutto il bene non c’è più per nessuno ed è quasi impossibile ricostruirlo. L’Europa è nata dall’incontro tra umanesimo giudaico-cristiano e quello greco e romano fondati sull’ospitalità. Ma oggi uno spirito buio, incivile e non-intelligente sta riaffiorando, ed è urgente esercitare il prezioso esercizio del discernimento degli spiriti… Il riconoscimento del valore e del diritto dell’ospitalità viene prima di tutte le politiche e le tecniche per gestirla e renderla sostenibile. L’ospitalità è uno spirito, uno spirito buono. Quando non c’è si vede, si sente. Gli spiriti vanno conosciuti, riconosciuti e chiamati per nome, e quelli cattivi vanno semplicemente cacciati via. Nella casa degli umani se non c’è posto per l’altro non c’è posto neanche per me».
Chi accoglie un profeta… un giusto… uno di questi piccoli
Vorrei fare una brevissima riflessione sul brano del Vangelo di Matteo. Rifletto a modo mio. Gli esegeti non saranno magari d’accordo.
Quando Gesù dice: «Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa», io noto una contrapposizione tra l’accoglienza del profeta e del giusto e l’accoglienza di uno dei più piccoli non per età, specifichiamo, ma piccoli per insignificanza, perché non considerati, ultimi della classe. Accogliere uno di questi ultimi merita una ricompensa da parte di Dio ben maggiore di colui che accoglie un profeta o un giusto.
A noi costa poco, anzi è un vanto onorare i profeti e i giusti, ma non ci è facile considerare gli ultimi, e accoglierli. Magari siamo capaci di osannare i profeti e i santi con grandiosi anniversari, con feste costosamente folcloristiche, e poi dimentichiamo ciò che loro hanno operato di bene. Non solo dimentichiamo il loro operato per cui sono stati profeti e santi, ma facciamo il contrario, chiudendo le porte alle persone bisognose. Dio non sarà per nulla contento se noi onoriamo i suoi profeti e santi, se poi disprezziamo gli ultimi.
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