7 aprile 2024: SECONDA DI PASQUA
At 4,8-24a; Col 2,8-15; Gv 20,19-31
Ogni anno mi sento obbligato a far notare che nel periodo pasquale, che dura fino alla festività della Pentecoste, il primo brano delle Messe festive è tratto dal libro “Atti degli apostoli”, scritto da Luca, autore anche del terzo Vangelo. “Atti degli apostoli”: un libro tanto dimenticato quanto prezioso per la conoscenza dei primi sviluppi del Cristianesimo. In realtà non è la storia del primo Cristianesimo. Narra sì delle vicende che riguardano le prime comunità cristiane, ma attorno a due figure principali: Pietro e Paolo. L’intento di Luca è stato quello di dirci che il Cristianesimo aveva raggiunto i confini della terra, quando Paolo era stato condotto prigioniero a Roma. Ecco gli ultimi versetti: «Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza (parresia in greco) e senza impedimento».
Vorrei anzitutto proporvi una pagina di commento al libro “Atti degli apostoli”, che anni fa, avevo scritto per essere stampato dalla Casa Editrice Mimep-Docete di Pessano, e successivamente, stampato presso la Casa editrice Velar di Bergamo.
«A chi si rivolgerebbe Luca oggi? Penso che Luca si rivolgerebbe a tutti: ai piccoli e ai grandi.
Scriverebbe ai ragazzi per far loro gustare l’entusiasmo dei primi cristiani, presentando modelli di virtù e testimoni coraggiosi della Parola di Dio, maestri di vita e profeti di speranza. Luca direbbe: “Ragazzi, ci sono libri di storia che fanno cronaca nera o rosa e nulla più, e ci sono libri che aiutano a leggere gli avvenimenti con gli occhi della fede. C’è una lettura banale della storia e c’è una lettura più profonda, quella di Dio. Dei tempi in cui Gesù è nato, vissuto e morto, e dei tempi in cui la sua dottrina si è diffusa nella testimonianza apostolica e nella vita della Chiesa, i libri di scuola dicono ben poco. Non afferrano l’Evento strepitoso che ha mutato il corso alla storia: lo trattano in modo sbrigativo, mettendolo sullo stesso piano di qualsiasi altro avvenimento profano. Volete, dunque, sapere come Dio conduce la storia degli uomini e fa la Storia della salvezza? Leggete la Bibbia, leggete gli Atti degli Apostoli. Farete scoperte meravigliose, comincerete a gustare il disegno misterioso di Dio che, nonostante i capricci e le ostinazioni degli uomini, trova sempre il modo per far sorgere un altro giorno di speranza. La Novità è il pezzo forte di Dio. L’Imprevedibilità è la sua carta nascosta e sempre vincente. Appena l’uomo chiude una porta, Egli ne apre un’altra. Il nostro Dio non è Uno che si dà per vinto. Però vuole che ciascuno faccia la sua parte, che voi gli diate la vostra mano, non importa se è ancora piccola e tenera. Voi siete preziosi”.
Luca scriverebbe anche agli adulti, perché maturino nella fede, perché tengano viva la Speranza nel cuore del mondo, la tengano accesa nell’ambiente in cui vivono ogni giorno. Se già verso la fine del primo secolo, l’abitudine aveva steso una patina sull’ardore iniziale dei primi cristiani, che cosa dovremmo dire dopo duemila anni? Luca ammonirebbe: “Cristiani del duemila, dove siete? Dov’è la vostra fede, quella che Dio vi ha donato per crescere in Grazia e Libertà, e per testimoniare la Grazia e la Libertà al fratello che vive accanto a voi? Prendete in mano il libro degli Atti, leggetelo attentamente, e noterete un particolare importante: la fede dei primi cristiani prendeva ogni fibra del loro essere; un dono vissuto nella pienezza di una giornata dopo l’altra, nell’ascolto umile e pronto dello Spirito, nella comunione fraterna, fatta di dialogo e di sincerità, nella testimonianza missionaria in un mondo tremendamente chiuso al Dio trascendente, ma disponibile ad accogliere ogni parola di speranza. La vostra non può essere una testimonianza differente da quella degli Apostoli: diversamente, dovreste arrossirne. Se le comunità a cui appartenete sono tanto fredde e tanto ‘laiche’ chiedetevi dove stia la vera ragione. Lo Spirito si è forse addormentato? Il Vangelo ha perso il suo mordente? Non è perché tenete lo Spirito Santo sotto chiave, e a tutto credete tranne che alla Buona Novella? Se il mondo è tornato ad essere ermeticamente chiuso al Mistero di Dio, rivelato e testimoniato dal Figlio incarnato, morto e risorto, non è forse perché di tutto parlate e di tutto discutete, senza riuscire a tenere accesa la Speranza che dà luce, l’Amore che dà calore, quell’interesse vero che è la crescita della comunità nell’amore di Dio e del prossimo? Ciascuno si interroghi: Che fede ho? Come la vivo? La trasmetto? Sento entusiasmo? Il mio impegno nelle attività della parrocchia profuma dello Spirito o invece è pervaso della mia ambizione? Che presenza è la mia nella Chiesa di oggi? Quanto spazio so dare all’azione dello Spirito?”».
Ora vorrei soffermarmi sulla parola “parresia”, che troviamo anche nel primo brano di oggi: «Vedendo la franchezza (in greco, parresia) di Pietro e di Giovanni».
Dico subito che “parresia” (parola greca che significa “dire tutto”), nell’antica Grecia era la principale caratteristica degli uomini liberi, che con onestà si esponevano e parlavano pubblicamente («È da schiavo non dire ciò che pensi» dice Giocasta nella tragedia “Le fenicie” di Euripide). La parresia è quindi distinta dalla chiacchiera senza freno che si esercita attraverso la forza della voce e l’arroganza; al contrario, la parresia si nutre di saggezza che è frutto dell’intelletto.
Ironicamente ha scritto un grande filosofo e teologo danese, Søren Kierkegaard: «L’uomo non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come per esempio della libertà di pensiero; pretende invece come compenso la libertà di parola». Quasi a dire: l’uomo moderno non vuole pensare, ma pretende di parlare o di straparlare alla cieca, stupidamente.
Nell’Apologia di Socrate, testamento spirituale che Platone fa pronunciare al maestro poco prima della sua condanna a morte, il grande filosofo martire rivela ai cittadini la via verso la saggezza e la virtù: «Infatti io me ne vado in giro facendo nient’altro che cercare di persuadère voi, giovani e vecchi, che non dei corpi dovete prendervi cura, né delle ricchezze né di alcun’altra cosa prima e con maggiore impegno che dell’anima, in modo che diventi il più possibile virtuosa». Socrate che cammina a piedi scalzi lungo le vie di Atene assomiglia a un satiro danzante che rivela ai suoi interlocutori il cammino verso la verità: in un radicale rovesciamento di prospettiva, il vero bene è prendersi cura non delle ricchezze e della fortuna, ma di quel tesoro dell’anima che è la saggezza.
Ma non basta dire che la parresia è libertà di parola illuminata dall’intelletto: la libertà del “parresiastes” (termine tecnico per indicare colui che esercita la parresia) comporta necessariamente il coraggio rischiando di esporsi al pericolo. Infatti, come ha scritto il filosofo francese Paul-Michel Foucault, il “parresiastes” «rischia la vita per dire la verità invece di riposare sulla sicurezza di una vita in cui la verità resta inespressa […] egli preferisce essere uno che dice la verità piuttosto che un essere umano falso con se stesso».
Inutile aggiungere che la parola “parresia” che troviamo nei testi sacri ha lo stesso significato: il coraggio di dire la verità senza paura di essere crocifissi, come Gesù e i suoi discepoli, e come, prima di Cristo, aveva fatto lo stesso Socrate.
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