9 giugno 2019: PENTECOSTE
At 2,1-11; 1Cor 2,9-16; Gv 3,1-13
Quale discesa dello Spirito santo?
Se già dire Festività pasquale, racchiusa nello spazio di un solo giorno o poco più, dovrebbe se non altro metterci in guardia per non ridurre un Mistero, che è l’essenza del Cristianesimo, ad una celebrazione puramente rituale, dire inoltre Pentecoste è chiaramente una manifestazione spettacolare di un Evento, che è così strettamente unito con la morte di Cristo sulla croce che voler separare i due Eventi, ovvero la risurrezione di Cristo e la Pentecoste mediante uno spazio di tempo di 50 giorni (pentecoste in greco vuol dire cinquantesimo giorno), sarebbe di una gravità imperdonabile.
L’ho già detto più volte, e lo ripeto: sul Calvario mentre Gesù muore, c’è già il dono dello Spirito santo: dono che verrà confermato la sera di Pasqua, quando il Risorto, apparendo ai discepoli, chiusi in casa per paura dei giudei, “soffiando” su di loro dice: “Ricevete lo Spirito santo”.
Notate. Sulla Croce, Gesù dona lo Spirito, “spirando”. Nella sera di Pasqua, Cristo risorto dona lo Spirito, “soffiando”. Qui troviamo delicatezza, leggerezza, al contrario della spettacolarizzazione del giorno della Pentecoste, quando, come scrive Luca negli “Atti degli apostoli”, ci fu come “un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso”.
Il profeta Elia aveva avvertito la presenza del Signore, “non in un vento impetuoso e gagliardo (le stesse parole di Luca!) da spaccare i monti e da spezzare le rocce”, ma – attenzione! – “nel sussurro di una brezza leggera” (1Re 19,11-15). Un’espressione che in aramaico può anche significare: “voce di silenzio sottile”.
Così, del tutto misteriosa e interiore è stata l’azione dello Spirito, nella visione del profeta Ezechiele (capitolo 37) della valle piena di ossa inaridite. Lo Spirito le fa tornare in vita.
Tutto questo per dire che, così come viene descritta da Luca negli “Atti degli apostoli” (2,1-11), la Pentecoste non è che la manifestazione spettacolare di un Evento, che invece è stato, anzitutto e solamente, interiore.
E succede che, ironia della sorte, ogni manifestazione spettacolare di un Evento di fede finisce poi immancabilmente per ridursi solo a qualcosa di rituale e di banale, che svuota il Mistero della sua più essenziale sacralità.
Mi chiedo se non sia assurdo continuare a dissacrare un Mistero divino, con manifestazioni esteriori di fede. Ogni Mistero divino va coltivato nell’interiorità dell’essere umano: fuori, è solo folclore, rito, banalità.
Credo che sia giunto il momento di ridare al Cristianesimo la sua essenza, il suo cuore, la sua anima, il suo spirito.
“Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”
“Ciascuno li udiva parlare nella propria lingua”. Solitamente si è pensato che si trattasse di quel dono che consiste nel parlare tante lingue o addirittura tutte le lingue esistenti nel mondo, senza essere andati a scuola. Nulla di più falso!
Se il dono delle lingue è dello Spirito santo, ciò significa che riguarda il mondo dello spirito. Non c’entrano nulla i nostri rapporti comunicativi, diciamo sociali, che, soprattutto al mondo d’oggi, richiedono la conoscenza di più lingue.
Anche per diventare papa si richiede una conoscenza di più lingue, ma non per questo un papa che conosce più lingue sia più “spirituale”, ovvero più ricco di Spirito santo, di un povero prete di campagna che conosce a mala pena l’italiano, ma sa parlare molto bene la lingua del suo popolo.
Lo Spirito santo agisce secondo le leggi dello spirito. Il suo vero campo è il mondo interiore.
All’interno del nostro essere, tutto è più semplice e non si richiede di per sé uno sforzo scolastico. Fa parte della natura dello Spirito comunicare con tutti. Il linguaggio dello Spirito è per natura universale. Non può essere diversamente: sarebbe in tal caso un linguaggio puramente “ carnale”.
Succede che ci si parli tra stranieri, ci si capisca nel linguaggio ma non ci intenda nello spirito. E succede che non ci si capisca nel linguaggio, ma ci sia una profonda intesa spirituale.
Lo Spirito parla alle coscienze e agli spiriti, e nella coscienza e nello spirito non si è né italiani né francesi né tedeschi né inglesi, ecc. Si è esseri universali! L’essere richiede casomai un linguaggio mistico.
Possiamo anche parlare di un linguaggio filosofico, intendendo però per filosofia la conoscenza del mondo dell’essere umano. Una conoscenza che di per sé non richiede una cultura di conoscenze scientifiche o specialistiche, ma quella interiore disponibilità all’ascolto del mondo dello Spirito, che è la caratteristica delle anime più semplici.
Questa è la vera filosofia: apertura al Divino. Dio non mi dice: quante lingue sai? Ma mi dice: “Togli via tutto, anche le lingue che conosci, e ascolta il mio linguaggio, che è quello dell’Essere, che è universale”.
Possiamo allora dire che tutti nasciamo filosofi o mistici, e che tutti poi dovremmo vivere da filosofi o da mistici, evitando di cadere vittime di un sistema sociale, che usa un suo linguaggio per dividere e non per unire, imponendo barriere o confini che frantumano l’Umanità, che è la grande famiglia divina.
“Vi sono diversi carismi”
San Paolo parla di diversi carismi. Già la parola “carisma”, che deriva dal greco, significa “grazia”, dono divino, dono dello Spirito.
Pensate già al termine “carismatico”, riferendolo ad una persona che si ritiene particolarmente tanto da trascinare le folle o creare movimenti ecclesiali o movimenti politici. Di nuovo ha ragione Cristo quando disse: “Dai loro frutti li riconoscerete!”. Certo, se dovessimo giudicare dai frutti anche della Chiesa cattolica non sempre potremmo dire che abbia avuto un buon fondatore.
Attenzione: ci sono fondatori e fondatori. Dicono che San Francesco d’Assisi, ancor prima della sua morte, sia stato emarginato dal suo Ordine. In un certo senso, è quanto è capitato a Gesù Cristo.
In ogni caso, credo che siano più pericolosi quei fondatori che vengono idolatrati dai loro ottusi seguaci, anche quando del loro Fondatore sono rimaste solo ceneri.
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