Omelie 2014 di don Giorgio: Festa di Cristo Re dell’Universo – rito ambrosiano

9 novembre 2014: Festa di Cristo re dell’universo
2Sam 7,1-6.8-9.12; Col 1,9b-14; Gv 18,33c-37
La festa di Cristo Re conclude l’anno liturgico. Domenica prossima, per noi di rito ambrosiano inizierà l’Avvento.
Qualche accenno storico. Chi diede il primo impulso fu Leone XIII nel 1899, quando stabilì la consacrazione universale degli uomini al Cuore di Gesù. Venne più volte chiesto al papa di istituire una festa liturgica per tutta la Chiesa. E così avvenne, ma solo nel 1925, quando Pio XI con l’enciclica “Quas primas” istituì una festa particolare e propria in onore di Cristo Re. Non è da escludere che a spingere il papa sia stato il proliferare di regimi totalitari. La festa di Cristo Re doveva essere una dichiarazione del primato di Cristo su ogni totalitarismo. Non dimentichiamo che proprio nel 1925 il nostro Benito Mussolini istaurava la dittatura in Italia, dopo un contestato successo alle elezioni politiche del 1924.
A parte l’origine storica della festa, ci chiediamo che significato dare oggi a certe espressioni che sembrano aver perso ogni significato: che senso ha parlare di regno, di re, di regalità, quando oramai le monarchie, tranne poche eccezioni, pura coreografia che dà interesse agli amanti del gossip, non esistono più, per fortuna, e al loro posto sono subentrate le cosiddette “democrazie” di partecipazioni popolari?
Che significa parlare di primato di Cristo sul mondo? Non è pericoloso, almeno ambiguo, parlare di supremazia, come se la nostra fede in Cristo fosse superiore a qualsiasi altra religione?
Noi cattolici ci siamo sempre sentiti superiori agli altri, tanto è vero che la Chiesa vuole sempre dire l’ultima parola, anche in politica. E condiziona certe scelte del governo, quando si tratta di valori che lei giudica non negoziabili. Ma sono proprio così intoccabili? Ma lo Stato non dovrebbe concedere i diritti civili a tutti, indipendentemente dalla razza e dalla religione? Anche gli extracomunitari irregolari hanno dei diritti civili. Anche i carcerati più criminali. E poi li neghiamo alle persone solo perché non sono in regola con la morale della Chiesa?
Se voi sentite gli interventi dei vescovi, tirano sempre in ballo Cristo, come se Cristo non fosse venuto per avvicinare i lontani, per portare la salvezza a tutti. Per accostarsi alle persone che vivono in difficoltà o in situazioni particolari, non si lanciano prima le scomuniche o gli anatemi, non si mettono dei paletti così da escluderli a priori. Il primato di Cristo sulla storia non è il primato della Chiesa sulle coscienze. Cristo è venuto per liberare le coscienze dalla schiavitù di una religione, quella ebraica dei suoi tempi, che aveva messo sulle spalle della gente pesi così enormi da schiacciarla: ovvero leggi inutili, divieti assurdi, invertendo la gerarchia dei valori: prima il sabato, cioè la legge, poi l’essere umano. Cristo disse esattamente il contrario: prima l’essere umano, poi il sabato, ovvero la legge. La legge è al servizio dell’essere umano, e non viceversa.
Già l’ho detto: fin dall’inizio del cristianesimo, la Chiesa si dimenticò delle parole di Cristo, e diede più importanza alla legge, cadendo in quelle mostruosità di vedute della religione ebraica che Cristo aveva condannato.
Dire primato di Cristo, significa rivendicare il suo pensiero, le sue parole, i suoi gesti. Si aprono i Vangeli, e si vede ciò che è scritto. I Vangeli secondo Marco, secondo Matteo, secondo Luca e secondo Giovanni, e non secondo la Chiesa cattolica.
Nel secondo brano della Messa, san Paolo parla di conoscenza, di sapienza e di intelligenza nei confronti del volere di Dio, che è Gesù Cristo. Gesù è venuto per rivelarci il volere del Padre. Anche la parola “volere” è ambigua, e proprio a causa della sua ambiguità si è fatto di tutto per chiamare come volere di Dio ogni porcata umana. Quante volte i superiori impongono le loro volontà, come se fossero volere di Dio.
Ma che significa volere di Dio? È il suo disegno sul mondo. Un disegno misterioso, da scoprire, e non da imporre come se fosse già tutto chiaro. Una volta mi è uscita un’espressione forse poco diplomatica nei riguardi del cardinale Giovanni Colombo, che come sapete, ha avuto il compito difficile di essere vescovo di Milano negli anni della contestazione. In un colloquio che ebbi con lui, gli dissi: “Eminenza, scusi: neppure voi cardinali avete lo Spirito santo in tasca!”.
Ecco, ciò che non sopporto nei vescovi è la loro presunzione di ritenersi illuminati da Dio, solo per il fatto di avere una carica. Sono vescovo, perciò io sono illuminato, e tu devi obbedire alle mie parole, che sono illuminate.
Il volere di Dio non è imposizione di qualcosa. Dio ha un bel disegno da realizzare: tocca a  noi fare la nostra parte, nel posto in cui ci troviamo, con le doti che abbiamo, con la  nostra intelligenza, con la nostra fede in questo o in quel dio. Alla fine, ogni credenza religiosa porta allo stesso Dio, se questo Dio non viene tirato con forza da una parte o dall’altra.
Se noi crediamo che il Dio di Gesù Cristo è il vero Dio, dovremmo anche credere che il Dio di Gesù Cristo non è di esclusiva proprietà di questa o di quell’altra religione. Martini disse, sbalordendo il mondo: “Dio non è cattolico!”. Intendeva dire: della religione cattolica. Aveva perfettamente ragione. Dio è superiore a qualsiasi religione. Altrimenti, come potrebbe essere universale? Se la parola “cattolico” è da intendere nel suo significato di ”universale”, allora diciamo pure che Dio è “cattolico”, ma non della Chiesa cattolica. La Chiesa ha il compito di annunciare il messaggio di Cristo che è universale: ecco come va intesa casomai la sua regalità sull’universo.
San Paolo, inoltre, nel brano di oggi, parla di un mondo di tenebre e di un regno di luce e di amore. Il regno abbraccia l’universo, che non ha limiti umani. Anche se la Chiesa si estendesse su tutta la terra, la terra è solo un granello dell’Universo. Siamo particelle, e forse meno, di qualcosa di infinitamente grande.
Pierre Teilhard de Chardin, grande e discusso filosofo francese, nonché gesuita, in una conferenza tenuta a Parigi il 27 febbraio 1921 ha detto:
«E ora chiediamoci, Cristo stesso chi è? Aprite le scritture nei passaggi più solenni e autentici. Interrogate la Chiesa nelle sue convinzioni più essenziali. Voi imparerete ciò: Cristo non è un accessorio in più aggiunto al Mondo, un ornamento, un re come lo consideriamo, un proprietario. Egli è l’alfa e l’omega, il principio e la fine, la pietra delle fondamenta e la chiave di volta, la Pienezza e colui che sazia. È colui che dona consistenza ad ogni cosa e la conduce a compimento.
Verso lui e attraverso lui, Vita e Luce interiore del Mondo, si attua, nel pianto e nella fatica, l’universale convergenza di tutto lo spirito creato».
Vedete: la cosa veramente disumana e blasfema è fare di noi uno strumento al servizio di una struttura, politica o religiosa. In noi c’è l’Universo intero. Nessuno potrà togliercelo.
Dire che Cristo è in noi solo come grazia o misericordia divina è una visione riduttiva di Cristo. Ciascuno di noi, che lo voglia o no, è “costituzionalmente” cristiano. E l’Universo è costituzionalmente cristiano. Volere o no tutti e tutto convergiamo verso il Cristo cosmico, universale, totale, che è la realizzazione delle nostre energie migliori, anche con la presenza dei nostri limiti e perfino del male.
Durante la festa della Trasfigurazione del 1923, Pierre Teilhard de Chardin si trovava nel deserto cinese Ordos, in prossimità della Mongolia, a motivo delle sue ricerche scientifiche. Essendo impossibilitato a celebrare la messa, meditò sull’irradiazione della Presenza eucaristica nell’universo. Scrisse: «Poiché ancora una volta, o Signore, non più nelle foreste dell’Aisne ma nelle steppe dell’Asia, sono senza pane, senza vino, senza altare, mi eleverò al di sopra dei simboli sino alla pura maestà del Reale; e Ti offrirò, io, Tuo sacerdote, sull’altare della Terra totale, il lavoro e la pena del mondo».
Trovo conforto in queste parole. La Messa migliore è quella che ciascuno di noi, sacerdoti del cosmo, celebriamo in ogni istante della nostra vita. Che abbiamo o non abbiamo a disposizione il pane e il vino, non importa, così pure poco importa se noi preti possiamo o non possiamo celebrare le Messa tutti i giorni: la vera Messa è quella che si celebra “sull’altare della Terra totale”.

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