Omelie 2018 di don Giorgio: TERZA DOPO PENTECOSTE

10 giugno 2018: TERZA DOPO PENTECOSTE
Gen 2,18-25; Ef 5,21-33; Mc 10,1-12
Matrimonio: uno e indissolubile per tutti?
I tre brani della Messa sembrano fatti apposta per invitare i preti perché nelle loro omelie riprendano a insegnare, anche con maggior determinazione, ciò che afferma la dottrina della Chiesa Cattolica nel Catechismo: ovvero che il matrimonio è uno, indissolubile e aperto alla fertilità. Perciò: la poligamia è incompatibile con l’unità del matrimonio; il divorzio separa ciò che Dio ha unito; il rifiuto della fecondità priva la vita coniugale del suo «preziosissimo dono», il figlio.
Occorre subito un chiarimento.
La dottrina della Chiesa vale solo per i credenti o vale per tutti gli esseri umani?
La Chiesa sembra dire che la sua dottrina valga per tutti: per i credenti e anche per i non credenti. Ed è per questo che, ancora oggi, la Chiesa cerca di condizionare lo Stato perché non permetta leggi che mettano a rischio l’unità, l’indissolubilità e la chiusura delle famiglie alla fertilità.
Come vedete, i problemi sono numerosi e complessi (separazioni, divorzi, unioni gay, profilattici, ecc.), e il primo dei problemi riguarda la distinzione dei ruoli tra lo Stato e la Chiesa.
Ripercorrendo la storia del cristianesimo, non sembra che la Chiesa abbia guadagnato molto, anzi abbia perso, se dovessimo giudicare la conquista di libertà interiore, quella che riguarda l’essere umano nella sua realtà più spirituale. Mi chiedo allora se non sia il caso che la Chiesa porti avanti i suoi princìpi, senza fare patti con lo Stato.
Che lo Stato porti avanti i diritti civili, alla Chiesa deve interessare relativamente, anzi forse dovrebbe gioirne, proprio perché è più libera di incidere sulle scelte dei credenti. E poi la Chiesa non deve dimenticare che la società non potrà mai essere perfetta, e che i valori proposti sono per il meglio, ma che il meglio talora sta nella ricerca di un po’ di felicità che per tante ragioni si può ottenere senza far parte di quelle istituzioni canoniche, che oggi poi sembrano fatte su misura dei più fortunati.
Il valore educativo della legge
Allarghiamo il discorso. Anzitutto, imporre una legge non è la via migliore per educare la gente a vivere al meglio i valori essenziali; su questo potremmo soffermarci a lungo, ma una cosa va detta. Poniamoci una domanda: ripercorrendo i due millenni della storia della Chiesa, tutte le norme e tutti i precetti imposti che cosa hanno ottenuto? Siamo qui a non capire più chi siano i migliori: i credenti o i non credenti.
Se la gente sembra tutta buona perché è costretta a stare nel recinto, ermeticamente chiuso e protetto dai cani di guardia, provate a togliere i paletti, e allora che cosa succede? Un fuggi fuggi, tutti scappano, alla ricerca di un po’ di libertà. Non sto dicendo che fuori dal recinto, tutto sia libertà, ma vorrei far capire quanto non sia educativo costringere le persone a credere nei valori e a viverli con minacce e castighi.
Non sarebbe il caso di soffermarci a riflettere sul valore educativo della legge? E per fare questo vorrei partire proprio dalla legge interpretata alla luce del Vangelo, ovvero della buona novella di Gesù Cristo.
Cristo e la legge
Tutti conosciamo la durezza con cui Cristo ha trattato i detentori della legge religiosa dei suoi tempi, i quali erano riusciti a farla prevalere sulla dignità dell’essere umano. Sono diventate famose le parole: “il sabato, ovvero la legge, è per l’uomo, e non l’uomo per il sabato, o per la legge”.
Questa durezza contro la legge è costata a Cristo la sua condanna a morte.
Chiediamoci: perché Cristo è stato così duro contro i detentori della legge, violando lui stesso la legge del sabato, ritenuta la più sacra presso gli ebrei?
La risposta è semplice: la legge ha valore, ovvero è positiva, se rispetta l’essere umano nella sua realtà più profonda, e la realtà dell’essere umano è quella spirituale: l’essere umano è anzitutto spirito. Dire spirito non significa dire qualcosa di evanescente, ma tutto ciò che appartiene al mondo del Divino, che è dentro di noi.
La legge e l’amore
E qui entra il gioco l’amore con alcune domande provocatorie e stimolanti: qual è il rapporto tra la legge e l’amore? l’amore può farsi legge? se si facesse legge, l’amore non rischierebbe di soffocare, o di essere tradito nella sua realtà essenziale?
Certo, non possiamo dimenticare che, volere o no, viviamo in una determinata società, e che ogni società è una struttura fatta di leggi e di divieti. Anche la religione è una struttura, fatta di leggi e di divieti.
Ma la domanda torna: queste leggi e questi divieti a che cosa mirano: a mantenere la struttura in sé, oppure a qualcosa che va oltre la struttura? Se prevale la struttura in sé, è chiaro che tutto diventa in funzione di essa, anche l’essere l’umano in tutti i suoi componenti essenziali: spirito, intelletto, amore e libertà.
Se questi sono elementi essenziali, non possono essere disgiunti tra loro, e tanto meno si possono frantumare in vista di beni materiali.
E allora come far sì che la realtà del nostro essere, come spirito, intelletto, amore e libertà, si mantenga il più possibile integra, senza farsi frantumare dalla struttura con le sue leggi e i suoi divieti?
Non è facile rispondere, sapendo che, volere o no, viviamo in “questa” determinata società e in “questa” determinata Chiesa. Ci sentiamo stretti, ci sentiamo condizionati, ci sentiamo in balìa di venti capricciosi, sia che provengano dalla società civile sia che provengano dalla società religiosa.
Ma una cosa possiamo dire, anzi va detta: al di sopra di ogni norma, ciò che conta sono lo spirito, l’intelletto, l’amore e la libertà.
E, sull’amore, diciamolo: quando due esseri si vogliono veramente bene, non contano più né la Chiesa né lo Stato. Crolla ogni norma, ogni divieto.
Ma la domanda resta: che cos’è il vero amore?
Ma c’è anche la risposta: l’amore vero è anzitutto spirito, intelletto e libertà.

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