Omelie 2023 di don Giorgio: QUINTA DI AVVENTO

10 dicembre 2023: QUINTA DI AVVENTO
Is 11,1-10; Eb 7,14-17.22.25; Gv 1,19-27a.15c.27b-28
Ci stiamo avvicinando a rivivere nella Fede più pura, che esige perciò un distacco radicale da ogni esteriorità, il Mistero della Incarnazione di Cristo, o, meglio, a prendere sempre più coscienza che quel Logos eterno, che si è fatto carne nel tempo stabilito dal Disegno divino, ha valicato lo spazio e il tempo intesi nella loro carnalità per farsi Dono nello Spirito, che opera di nuovo una generazione divina nel grembo di ogni essere umano.
Data la sua bellezza e ricchezza di significati, mi sarebbe istintivo soffermarmi a lungo sul brano di Isaia, anche solo per commentare qualche parola, ma ogni parola richiederebbe un discorso più ampio, anche perché, pur profetica, fa parte di quel tutto che è la Parola per essenza, ovvero il Logos eterno.
Per questo sembra quasi che il profeta Isaia faccia un lungo elenco di parole, forse per paura che con poche non riesca a dare quel senso di Totalità, che è l’Unica Parola, che è il Logos eterno.
E così nel primo brano si parla di: germoglio, virgulto, spirito, sapienza e intelligenza, consiglio e fortezza, spirito di conoscenza e timore del Signore, giudizio e giustizia, e infine di pace con l’immagine idilliaca di animali feroci che convivono in armonia con animali domestici.
Ma, ecco il cuore del messaggio di Isaia: tutto è dono dello Spirito di Dio. Tutto è Gratuità. Tutto è Grazia. Certo, una Grazia che è germoglio, seme, da cogliere e sviluppare nell’intelletto. Chiariamo.
È vero che la Grazia è Gratuità divina, ma è da cogliere nei semi che Dio dall’inizio ha posto ovunque nel Creato: semi infiniti che sono parte dell’unico Seme divino. Il seme cresce per la sua innata capacità divina, ma richiede da parte nostra solo una cosa: che permettiamo al Seme di crescere, spogliandoci man mano di ogni ostacolo carnale. Sì, tutto è Grazia, tutto è Dono divino, ma l’impossibile umano diventa possibile in Dio con i nostri sì, come il sì di Maria le ha permesso di diventare madre del Figlio di Dio.
Sì, ogni bene è emanazione del Bene Assoluto, non ha niente di nostro, ma richiede che facciamo in noi, con il distacco, quello spazio che dia a ogni seme di bene di svilupparsi.
Due in particolare sono le parole su cui il profeta Isaia sembra insistere: intelletto e giustizia. Sembrano richiamarsi vicendevolmente, quasi a dirci: giusto è solo ciò che proviene dall’intelletto divino, che è Luce. E dunque la pace non è solo il frutto di uno sforzo morale o di manifestazioni più o meno emotive: pace è intelletto e giustizia.
Passando al secondo brano, tolto dalla Lettera agli ebrei, di autore sconosciuto (comunque non è stata scritta dall’apostolo Paolo), troviamo un personaggio con un nome già strano, Melchisedek, ma con un significato caratteristico (“re di giustizia”): era re di Salem (antico nome di Gerusalemme), e nello stesso tempo sacerdote al servizio del Dio altissimo. Era un pagano che adorava anch’egli l’unico vero Dio.
L’improvvisa apparizione e sparizione di Melchisedec nel libro della Genesi è qualcosa di misterioso. Melchisedec e Abramo si incontrarono per la prima volta dopo che Abramo, tornando a casa, aveva sconfitto alcune popolazioni nemiche. Melchisedec portò il pane e il vino ad Abramo, dimostrando amicizia. Egli benedì Abramo nel nome di El Elyon (“Dio, l’Altissimo”) e lodò Dio per aver dato ad Abramo una vittoria in battaglia. Abramo ricambiò la benedizione offrendo a Melchisedec una primizia (una decima) di tutto quello che aveva raccolto in battaglia. Con questo atto Abramo riconobbe in Melchisedec un seguace dell’unico vero Dio, una prova che l’unico vero Dio era presente anche presso altri popoli, ritenuti pagani.
Ma c’è di più. Nel Salmo 110, Salmo messianico attribuito al re Davide, Melchisedec, è visto come un personaggio tipico, ovvero che richiama, anticipa Cristo stesso.
C’è di più. L’autore della Lettera agli Ebrei scrive che il sacerdozio di Cristo è secondo l’ordine di Melsichedek, perciò di un re e sacerdote pagano che adorava anch’egli il Dio altissimo. Dunque, il nuovo sacerdozio di Cristo è superiore al vecchio ordine levitico e al sacerdozio di Aronne. Qualcosa di sconvolgente, soprattutto per la religione ebraica, per la quale i veri sacerdoti discendevano da Aronne. Cristo ha sconvolto ogni religione, chiusa in un mondo strettamente strutturale.
Di Melchisedek non si descrive né la sua genealogia, né la nascita, né la morte. Quasi fuori del tempo e dello spazio. Così è Cristo, in quanto Logos eterno: fuori del tempo e dello spazio. Sì, si è incarnato nel tempo e nello spazio, ma nella sua morte e nella sua risurrezione è tornato fuori del tempo e fuori dello spazio, ma per rigenerarsi misticamente in ogni grembo dell’essere umano.
Se qualcuno mi chiedesse se Cristo era un sacerdote ebreo, la risposta è no. E allora dove si fonda il sacerdozio cattolico? Ecco il vero problema, che la Chiesa istituzionale, avendo creato da se stessa il sacerdozio gerarchico, non può rispondere con verità e onestà. Cristo era il “sommo sacerdote”, ma secondo l’ordine di Melchisedek, senza alcuna istituzione, fuori del tempo e dello spazio, proprio perché è l’Eterno presente. Richiederebbe troppo tempo per spiegare come è nata la gerarchia ecclesiastica, divisa inizialmente in “episcopi, presbiteri e diaconi”.
Forse, senza forse bisognerebbe rifare il cattolicesimo nel primitivo cristianesimo, per annullare strutture ecclesiastiche che sono servite per potenziare il potere nella Chiesa. La vera domanda è quella che troviamo nel brano del vangelo di questa domenica di Avvento. Chiesero a Giovanni il Battista: «Tu, chi sei?». Egli confessò: «Io non sono il Cristo». E poi: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete…».
Dipende tutto dal fatto che neppure noi credenti conosciamo Cristo. Non conoscendo Cristo abbiamo tradito il suo unico pensiero, ovvero il Cristianesimo, trasformandolo in una religione così strutturale da svuotarlo della sua Essenza.
Ad ogni ritorno del Natale, Cristo ci ripete: “Io chi sono per te?”.
Non solo non sappiamo rispondere, neppure udiamo la domanda di Cristo, immersi nel frastuono di una religione che impone le sue rigide regole, i suoi folli ritmi di cammino, verso una sempre più radicale alienazione.
Cristo era ed è sempre sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek, fuori di ogni carnalità. Noi, ordinati o non ordinati ministri di un certo dio, siamo immersi nel tempo e nello spazio, risucchiati in un vuoto d’essere, riempito di strutture mentali o istituzionali da mettere a rischio lo stesso Creato.
Cristo, quando urlava alle folle: “Convertitevi”, “Metanoèite”, a chi pensava? Anche a una futura Chiesa che lo avrebbe tradito, e che ha tuttora bisogno di una radicale conversione.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*