Querelare stanca

Vorrei riprendere ciò che da anni sostengo: certe querele andrebbero tolte dal nostro ordinamento giuridico penale (si dice così?), perché, secondo me, rischiano di violare la libertà di pensiero, diventando minacce o intimidazioni.
Dire, ad esempio, a un politico che è “un pezzo di merda” non è di per sé una diffamazione o una calunnia nei riguardi della persona in quanto tale, ma semplicemente usare una parola forte, anche volgare, cioè popolare, per contestare un comportamento non idoneo al ruolo di chi ha una responsabilità socio/politica o anche ecclesiastica: non è dunque un’offesa alla persona in quanto tale, ma un libero pensiero anche durissimo contro il ruolo o il comportamento di un politico o gerarca.
Chi è facile a querelare rivela una certa debolezza di carattere o un certo complesso di inferiorità. E chi ha responsabilità nel campo politico od ecclesiastico non dovrebbe mai querelare; è un personaggio pubblico, e perciò deve essere disposto ad accettare qualsiasi critica come espressione di un libero pensiero.
Nel mio ministero pastorale, ho ricevuto migliaia e migliaia di insulti personali, diffamazioni e calunnie, eppure non ho mai querelato nessuno: anche questo fa parte del gioco del mio lottare per un mondo più giusto.
Ma la cosa veramente insopportabile è la facilità con cui un politico usi la querela per difendersi, e poi lo stesso ogni giorno si permette di offendere le istituzioni (pensate ai giudici!) e i propri avversari politici, sapendo di essere protetto dalla immunità parlamentare.
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dal Corriere della Sera

Querelare stanca

di Massimo Gramellini | 29 marzo 2024
Due anni fa il professor Luciano Canfora, illustre collaboratore del nostro giornale, definì Giorgia Meloni «neonazista nell’anima» davanti agli studenti di un liceo di Bari. Non condivido il giudizio del professore, ma questo non mi impedisce di pensare che Meloni abbia commesso due errori: uno nel querelare Canfora e l’altro, ancora più grave, nel non aver ritirato la querela dopo essere diventata presidente del Consiglio. Invece il 16 aprile comincerà il processo e non vorrei essere nei panni del giudice che sul banco dell’accusa troverà la premier del suo Paese.
Da sempre i politici hanno la querela facile: nascondono l’insofferenza sotto la maschera del vittimismo. E quando ricoprono un incarico istituzionale tendono a comportarsi come se non l’avessero: pensano che così sembreranno più simpatici e alla mano. Io invece li preferirei compresi nel ruolo, con tutti i privilegi e gli impedimenti che ne derivano. Tra quest’ultimi rientra l’inopportunità di portare in tribunale un privato cittadino, soprattutto per un presunto reato di opinione.
«Io sono Giorgia» non è più Giorgia: non fino a quando sarà la presidente del Consiglio. E da una presidente del Consiglio ci si aspetta che rinunci a trascinarsi dietro le vecchie querele, così come a farne di nuove. Non certo per magnanimità, e non solo per intelligenza politica, ma per senso dello Stato.
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da Repubblica
10 APRILE 2024

Un appello internazionale

per il filologo Luciano Canfora,

denunciato da Giorgia Meloni

di Corrado Augias
Lanciato dal quotidiano francese “Libération” e firmato da studiosi italiani e stranieri, è a difesa del grecista che andrà a processo per aver definito la presidente del Consiglio “neonazista nell’animo”
Il quotidiano francese Libération ha lanciato un appello in favore del filologo classico italiano Luciano Canfora nei confronti del quale si aprirà a Bari, il prossimo 16 aprile, un processo che non ha precedenti in Europa dopo il 1945. Canfora, uno dei più illustri cattedratici italiani, è stato trascinato in giudizio dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
L’episodio contestato è che due anni fa, durante una conferenza in una scuola superiore, il professor Canfora ha definito la presidente del Consiglio «Neonazista nell’animo». Il filologo intendeva alludere al fatto che il suo partito, Fratelli d’Italia, ha le sue origini storiche nella “Repubblica di Salò”, quasi un protettorato nazista che dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 impose in Italia, in particolare nel Nord, un regime di terrore poi passato alla storia con la denominazione di nazifascismo.
Il manifesto appello del quotidiano francese ricorda che il partito Fratelli d’Italia continua a esibire nel suo simbolo la fiamma tricolore del Movimento sociale Italiano il cui fondatore, Giorgio Almirante ancora nel 1987 dichiarava essere il fascismo “il traguardo” del suo partito.
Anche di recente la presidente Meloni ha celebrato la memoria di Almirante da lei definito «un politico e un patriota che non dimenticheremo mai». Nel suo libro autobiografico Io sono Giorgia riconosce l’eredità di colui che tra l’altro fu editore della rivista razzista La difesa della razza, anche se poi aggiunge di non coltivare il culto del fascismo. La sua posizione politica sull’argomento è in definitiva quella di un acrobatico equilibrio tra la necessità di non perdere consensi nell’ala destra, compresa quella estrema, dei suoi sostenitori in vista delle imminenti elezioni europee senza però negarsi una certa pragmaticità in vista di futuri traguardi post-elettorali.
Personalmente non condivido tutte le posizioni politiche del professor Canfora, nelle presenti circostanze egli si trova però in una situazione indegna di una democrazia decente e, sul piano generale, pericolosa per la libertà delle opinioni, come dimostrano le numerose querele citate dall’appello. Vengono colpiti giornali, media di investigazione, una professoressa di filosofia della Sapienza, il rettore dell’università per stranieri di Siena, non viene risparmiato nemmeno un vignettista.
Vale per Canfora il famoso aforisma attribuito a Voltaire: non condivido interamente il tuo pensiero ma mi batterò perché tu possa continuare a manifestarlo. Tanto più questo vale in una situazione come la presente. Come ha osservato Federico Fubini sul Corriere della Sera: «Uno dei successi di Giorgia Meloni è essere riuscita a far diventare maleducato chiederle cosa pensa del fascismo».
Un capo di governo non dovrebbe mai portare in giudizio un cittadino, si tratti di un “quidam de populo” o di un famoso filologo, in particolare quando si tratta di opinioni. Troppo grande la sproporzione dei mezzi a disposizione, la forza che può essere esercitata. È lecito credere che la presidente Meloni si spoglierà prima o poi della pesante eredità postfascista nella quale si è formata. Ritirarsi nobilmente da questo giudizio certamente dettato da un moto di stizza potrebbe cominciare a dimostrarlo.
Tra i firmatari dell’appello figurano Maurizio Bettini, Anna Foa, Adriano Prosperi, Aldo Schiavone. Undici professori della Sorbona, cinque di Cambridge tra i quali il Regius Professor di greco, che diffonderà tra breve una traduzione dell’appello in inglese; tre del Collège de France, tra i quali Jean-Luc Fournet, titolare di papirologia. Interessante notare che il prof Fournet, al contrario di Canfora, propende per l’autenticità del papiro di Artemidoro! La sua firma ha dunque un doppio valore perché scavalca i dissidi accademici. C’è quasi tutta la grande antichistica francese, il che non stupisce, conoscendo la grande passione di Luciano Canfora per la Francia. Tra gli americani, figura il noto studioso del Rinascimento Anthony Grafton.
Le adesioni sono al momento più di centocinquanta.

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