VERSO UNA NUOVA COMUNITÀ CRISTIANA DI BASE: Al Dio ignoto/8

etty23[1]
di don Giorgio De Capitani
Torno e ci ritorno. Una Comunità cristiana di base non può non partire da una scoperta radicale del Divino, che dovrebbe ribaltare quella immagine di Dio, che la religione si è fatta propria. Invece che essere a immagine e somiglianza di Dio, la religione fa di Dio la propria immagine e somiglianza. Ora non è facile arrivare a questo radicale ribaltamento. Ma se non si cerca di restituire a Dio la sua vera immagine (già sbagliato dire immagine!), ogni sforzo sarà inutile, anche dal basso. Sto, purtroppo, constando quanto le Comunità cristiane che si dicono di base abbiamo idee confuse su Dio, e non escano da contestazioni di tipo solo strutturali. Con questi articoli sto cercando di scoprire se sia possibile arrivare al cuore del problema del nostro rapporto con Dio. Non è solo una questione personale. È chiaro che, in una struttura qual è la religione (volere o no, si è dentro), non è facile coniugare il Dio mistico con il Dio della Chiesa-struttura.
Stiamo ricordando in questi giorni il centenario della nascita di Etty Hillesum. Approfitto anche di questa occasione per  presentare questa grande figura di giovane donna olandese, di origini ebraiche, senza però allargare il discorso oltre il problema religioso. Etty è una personalità complessa, diciamo meglio poliedrica, che andrebbe vista da più lati. Per questo invito i miei lettori ad approfondire il personaggio, leggendo anzitutto il suo Diario e le sue Lettere (che sono finalmente disponibili anche in italiano nella loro edizione integrale), e possibilmente anche qualche buon commento. In questi anni sono usciti diversi libri, alcuni davvero interessanti.  
Tuttavia non posso tralasciate le note essenziali riguardanti la biografia.
Esther (Etty) Hillesum nasce il 15 gennaio 1914 a Middelburg (Paesi Bassi). Figlia primogenita di Levie (Louis) Hillesum, ebreo olandese, professore di lingue classiche, e di Rebecca (Riva) Bernstein, un’ebrea di origini russe. Nel 1916 nasce il secondo figlio, Jacop (Jaap), e nel 1920 il terzo, Mischa. Nel 1924, la famiglia si trasferisce finalmente, dopo vari traslochi in paesi diversi, a Deventer, nell’Olanda orientale. Qui, nel 1926, Etty frequenta il Ginnasio. Nel 1932 si trasferisce ad Amsterdam, dove studia Giurisprudenza. Abita in diverse case di studenti, insieme con l’uno e con l’altro dei suoi fratelli. Nel marzo del 1937, per rendersi finanziariamente indipendente dai genitori, Etty va ad abitare, come governante, nella casa del contabile Hendrix (Han) Wegerif, di 58 anni, vedovo. Ben presto tra i due nasce una relazione. Nella casa, vivono anche, oltre al figlio di Han, Hans, la cameriera tedesca Käthe Fransen e, in qualità di pensionanti, Bernard Meylink, studente di chimica, e l’infermiera Maria Tuinzing, che diventerà poi una grande amica di Etty che le affiderà i quaderni del suo Diario (che furono scritti in gran parte nella sua camera della casa di Wegerif), perché venissero consegnati allo scrittore Klaas Smelik, per essere pubblicati, nel caso in cui Etty non avesse fatto ritorno dal campo di concentramento. Nel frattempo, avendo sempre come punto di appoggio la casa di Han, Etty frequenta ambienti studenteschi di sinistra e antifascisti, senza tuttavia iscriversi ad alcun partito politico. Coltiva anche i suoi interessi filosofici e letterari, approfondendo la sua conoscenza della lingua e della letteratura russa. Nel 1939, supera l’esame di laurea in Giurisprudenza, ma senza risultati degni di nota. Il fratello più giovane, Mischa, già promettente pianista, subisce un ricovero in un ospedale psichiatrico. Etty stessa soffre di ricorrenti depressioni e di malesseri psicosomatici. Inizia la seconda guerra mondiale. Nel 1940, l’Olanda è occupata dal tedeschi e cominciano le persecuzioni contro gli ebrei. Ai primi di febbraio del 1941, grazie a Bernard Meylink, Etty si reca quale “oggetto d’analisi”, da Julius Spier, sulla Courbetstraat 27, ad Amsterdam. Spier, 54 anni, ebreo tedesco, emigrato da Berlino per sfuggire ai nazisti, è stato uomo d’affari, editore e cantante. Nel 1927 si ritirò dagli affari per potersi dedicare totalmente allo studio della chirologia (lettura dei segni della mano). Seguì un corso di analisi con Carl Gustav Jung a Zurigo e, dietro consiglio di questi, nel 1929 aprì uno studio come psicochirologo a Berlino. Tale attività ebbe grande successo tanto da essere ritenuto il fondatore della “psicochirologia” (cioè dell’analisi psicologica delle persone a partire dalla lettura delle linee della mano). Nel 1935 si separò dalla moglie. Si fidanzò poi con l’allieva Hertha Levi, che però, tempo dopo, emigrò a Londra. Etty inizia dunque una terapia individuale con Julius Spier e l’8 marzo 1941, dietro suo consiglio, inizia a scrivere il Diario con una lettera allo stesso Spier. Per Etty la stesura del Diario non solo è una forma di autoterapia, ma è anche un’occasione per mettere alla prova le sue qualità di scrittrice. Ben presto Etty intreccia con Spier (S. nel Diario) una relazione sentimentale: ne diventa la segretaria, l’amante e la compagna intellettuale, pur continuando anche la relazione con Han Wegerif. In ogni caso, Julius ha un ruolo di grande rilevanza nello sviluppo spirituale di Etty. È lui che le insegna a scendere a patti con la sua predilezione genetica al caos e all’egocentrismo e la mette in contatto con la Bibbia e il Padre della Chiesa sant’Agostino. Gli altri autori, come Rilke e Dostoevskij, Etty li conosceva già sin dagli anni Trenta, ma, sotto l’influsso di Spier, le loro opere acquistano per lei un significato più profondo. A lungo andare, tuttavia, la relazione con Spier viene ad occupare una parte meno centrale nella vita di Etty. Quando il 15 settembre 1942, Spier muore ad Amsterdam, Etty ha ormai sviluppato una personalità forte al punto da riuscire a rielaborare molto bene la sua scomparsa.  Nel frattempo, a causa di uno sciopero di protesta indetto ad Amsterdam contro le persecuzioni antisemite, i nazisti inaspriscono la repressione contro gli ebrei e la resistenza olandese. Nel 1942, gli ebrei olandesi sono costretti a portare la stella gialla e iniziano le deportazioni in massa nel campo di smistamento di Westerbork, ultima tappa prima di Auschwitz. Etty, grazie all’interessamento di alcuni amici, il 16 luglio ottiene un impiego presso il Consiglio Ebraico di Amsterdam, ma non è soddisfatta, ritenendolo uno strumento di selezione nelle mani dei nazisti, perciò chiede di essere trasferita nel campo di Westerbork, presso la Sezione dell’Assistenza sociale ai deportati, dove giunge il 30 luglio. Qui conosce Joseph (Jopie) I. Vleeschhouwer, Philip Mechanicus e M. Osias Kormann, gli uomini che giocheranno un importante ruolo nella sua vita. Alterna periodi di permanenza a Westerbork con periodi di soggiorni ad Amsterdam, sempre nella abitazione di Han Wegerif, anche per curarsi. Approfitta per portare in città le lettere dei prigionieri e raccogliere medicinali da portare al campo. Il 6 giugno del 1943 Etty rientra definitivamente a Westerbork, dove il 21 giugno vengono deportati anche i genitori e il fratello Mischa. Ai primi di agosto, vi incontra Edith Stein, in transito per Auschwitz. Nel mese di settembre Etty, i genitori e il fratello vengono caricati sul treno per Auschwitz: i genitori muoiono o già durante il viaggio o all’arrivo, in una camera a gas. Secondo un rapporto della Croce Rossa, la morte di Etty risale al 30 novembre. Il fratello Mischa morirà il 31 marzo del 1944, mentre l’altro fratello Jaap morirà per un’epidemia di tifo, sul treno che trasportava i deportati da Bergen Belsen, nell’aprire del 1945.   
Dunque, il mio intento ora consiste nel cogliere, per quanto mi è possibile, il cammino spirituale o interiore di Etty, nella sua ricerca di Dio. Dico subito che proveniva da una famiglia ebraica, laica e non osservante. Anche Etty crebbe senza alcuna convinzione religiosa. Ad avvicinarla a Dio fu una persona in particolare: Julius Spier, ma prima però vorrei dire una parola su un’altra amica: Henny Tideman. Henny Tideman (Tide nel Diario), a sua volta paziente di Julius Spier, non era un’ebrea, ma cristiana: faceva parte del gruppo di Oxford, movimento evangelico nato dal luteranesimo. Anche se Etty, che preferiva una relazione con Dio più personale, più intima e più segreta, non sopportava la forma di religiosità, a suo parere troppo esibizionista, degli aderenti al Gruppo di Oxford, tuttavia, dopo le prime riserve, rimase colpita dal modo semplice con cui Tideman si rivolgeva a Dio. Ecco cosa Etty le scrive: «Cara, grande Donna Tide! Sai che anche tu sei uno dei doni più preziosi che Dio mi ha fatto in questa vita? Lo dico apertamente e con grande spontaneità: Dio. Sei tu che mi hai insegnato a pronunciarne il nome, in ogni istante del giorno e della notte, tu e il nostro Amico [Spier], da cui ho già preso commiato, in solitudine, là nella brughiera del Drenthe sotto un cielo di stelle, e per il quale ora prego ogni momento, affinché Dio accolga quanto ancora rimane di quel dolente involucro mortale. La grande opera che ha svolto nella mia persona: ha dissotterrato Dio dentro di me e lo ha portato alla vita. E adesso sarò io a continuare, scavando alla ricerca di Dio nel cuore di tutti gli uomini che incontrerò, in qualsiasi luogo di questa terra». Qui entra in scena colui che ha “dissotterrato Dio” nel cuore di Etty, colui che ella chiamerà “l’ostetrico della mia anima”, un uomo “impregnato d’eternità”. È stato proprio lui, Spier, ad aiutare Etty a uscire dalla sua “costipazione spirituale”. È nel rapporto vitale con questo uomo, contro tutte le regole della deontologia (era il suo terapeuta), che Etty trova la sua principale guida spirituale, che la aiuta a cercare e trovare un rapporto profondo con Dio e con le persone. Nell’intreccio tra amore e passione (Etty si innamora di Spier), tra spiritualità e corporeità, entra in gioco anche la parte femminile di Hillesum: è lei stessa a osservare che, per una donna, il corpo non è che l’espressione dell’anima, mentre per l’uomo un contatto fisico può essere solo un gioco sensuale. Nell’essere donna è innata la capacità di accogliere, di far crescere e maturare qualcosa dentro di sé, che la Hillesum svilupperà fino all’immagine dell’ospitare Dio dentro di sé, quasi come una donna incinta. Julius ha invitato Etty a cercare Dio, non solo nella Bibbia, ma anche nell’ispirazione dello Spirito, di quello Spirito di libertà che nessuno sa da dove provenga e nessuno sa come afferrarlo. Importanti per Etty sono state anche le letture, alle quali dedicava parecchio tempo. Del poeta austro-tedesco Rainer Maria Rilke (1875-1926) dice: «Mi rendo conto sempre di più che Rilke è stato uno dei miei grandi educatori in quest’ultimo anno».  Anche la lettura di Freud, Jung, Dostoeveskij, Kierkegaard, S. Agostino, Rathenau, è stata formativa per lei, e poi sempre di più la Bibbia, non solo l’Antico anche il Nuovo Testamento. Molte frasi del Discorso della Montagna ritornano spesso nel diario, specialmente: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena“. Anche l’inno all’amore della Prima Lettera ai Corinzi le è tanto caro. Ma non si tratta soltanto di certi brani. Sempre di più la Bibbia diventava il suo libro più importante. Quando sale sul treno stipato di deportati alla volta di Auschwitz, Etty ha con sé solo la sua piccola bibbia e uno zaino. In quel momento, forse, ha pensato che le «poche cose grandi che contano», quelle che «si trovano dappertutto» e che vanno riscoperte ogni volta in se stessi erano lì con lei, in lei: erano il suo carico prezioso. Sì, poteva lasciare «il campo cantando».
Dunque, il cammino percorso da Etty non ha seguito indicazioni predisposte, ma è avvenuto seguendo le norme della propria coscienza. Etty non si è lasciata mai rinchiudere in un recinto confessionale determinato: non apparteneva totalmente né all’ebraismo né al cristianesimo, nonostante vi siano state dispute fra ebrei e cristiani in Olanda per contendersene l’eredità. Oltre che dall’ebraismo e dal cristianesimo, Etty trae ispirazione per la sua spiritualità anche dalla religione islamica (fra le sue letture, infatti, oltre all’Antico Testamento e al Vangelo, c’è anche il Corano), e dalla sapienza orientale.
Wanda Tommasi osserva: «La vocazione di Etty è stata quella di una grande libertà religiosa e spirituale, e a tale vocazione lei è stata fedele fino in fondo. Questo è stato il tipo di santità – una santità eccentrica, anomala, noncurante della morale convenzionale -, che Etty Hillesum ha concretamente incarnato. Sta a noi raccoglierne l’eredità. Perché, come afferma Simone Weil, il nostro tempo ha bisogno di un tipo di santità nuova: non quella celata nelle vesti dei religiosi, preti o suore, ma una santità diversa, incarnata da persone mescolate fra la gente comune, indistinguibili dagli altri, che ne condividano gli sforzi e le contraddizioni. Una santità che emerga a fatica dai problemi, dalle gioie e dalla angosce della gente comune, ma anche da una fede in Dio che, come Etty ci insegna, può riuscire a non venir meno neppure nelle prove più estreme».
Scoprire Dio dentro di sé è stato il primo passo, passo fondamentale, ma Etty giunge a una intuizione straordinaria, diciamo paradossale secondo il nostro modo di vedere Dio. Sentite cosa dice: «Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio» (Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, pp. 169-170).
Commenta Wanda Tommasi: «Questo proposito di “aiutare Dio” per farlo sopravvivere alla shô’âh, come un bimbo inerme custodito nel suo grembo – come se lei fosse incinta di Dio – si traduce di fatto nell’impegno, portato avanti nel campo di smistamento di Westerbork, in Olanda, di aiutare il suo prossimo, gli ebrei disperati che affollano il campo, a cercare a loro volta di disseppellire Dio dentro di loro, liberandolo dalle macerie dell’odio e del comprensibile desiderio di vendetta. Certo, a farla giungere all’intuizione straordinaria secondo cui non è Dio a poter aiutare noi uomini, ma siamo noi a dover aiutare Dio – un’intuizione che l’accomuna a Dietrich Bonhoeffer – , è soprattutto la terribile esperienza della shô’âh: è proprio lì, in un mondo dominato dalla violenza e dall’odio, che occorre “aiutare Dio” affinché egli non scompaia del tutto dal cuore degli uomini. Rispetto all’enormità della catastrofe e dell’orrore che la shô’âh rappresenta».
Sul cammino di fede di questa donna straordinaria, che ha per così dire stravolto anche la morale convenzionale (ed è per questo che ha un suo fascino, proprio per la sua libertà di fronte ai dogmi dottrinali e ai codici etici), e che ha riscoperto la presenza interiore di Dio su vie del tutto diverse, senza legarsi ad alcuna professione religiosa, senza per questo richiudersi in un intimismo egoistico, torneremo con un altro articolo. Lo ripeto: vorrei che qualche mio lettore si appassionasse a questa donna eccezionale, e andasse a leggere il suo Diario e le sue Lettere.
Vi propongo da leggere questa preghiera di Etty Hillesum.
Preghiera della domenica mattina (12 luglio 1942)
«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio. Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le mille piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come altrettanti parassiti. Be’, allora mi gratto disperatamente per un po’ e ripeto ogni giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano sulle spalle come un abito che hai portato spesso, e che ti è diventato familiare, anche di cibo se n’è a sufficienza per oggi, e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte – e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Una e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle bufere di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla Tua casa, mio Dio. Vedi come Ti tratto bene. Non Ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma Ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che Tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora Ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non posso garantirTi niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene. E ora mi dedico a questa giornata. Mi troverò fra molta gente, le tristi voci e le minacce mi assedieranno di nuovo, come altrettanti soldati nemici assediano una fortezza inespugnabile».
(continua/8)

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