Omelie 2023 di don Giorgio: PRIMA DI AVVENTO

12 novembre 2023: Prima di Avvento
Is 24,16b-23; 1Cor 15,22-28; Mc 13,1-27
Con due settimane di anticipo su quella romana la nostra tradizione ambrosiana dà inizio, con l’Avvento, al nuovo anno liturgico.
L’Avvento, che per noi di rito ambrosiano ha la durata di sei settimane, ha il compito di preparare i cristiani a rivivere nella fede il Mistero del Santo Natale. La liturgia ci accompagna presentando pagine bibliche che ci aiuteranno man mano a riflettere, anche con quella sana pedagogia che accompagna con la Grazia ogni passo che compiamo verso la meta.
Dico subito che le letture di questa prima domenica di Avvento non sembrano particolarmente ottimiste, ovvero, invece che aprirci qualche squarcio di speranza, descrivono a tinte fosche situazioni allarmanti, che sono attuali, attualissime.
Tuttavia, essendo Parola di Dio, in ognuno dei tre brani dobbiamo saper cogliere qualche segno della presenza di quello Spirito che, nonostante i toni foschi con cui viene descritta la società, è Sorgente di Luce e di Vita.
Il primo brano fa parte di quella che viene chiamata la “grande apocalisse” di Isaia, nella quale viene annunziato il giudizio divino sull’intera umanità, travolta dall’ingiustizia e dalla violenza. Il giudizio è descritto con il ricorso a immagini catastrofiche che riguardano le realtà terrene e anche quelle celesti. Immagini che intendono far capire che Dio non è indifferente a ciò che avviene nel mondo e che niente e nessuno potrà resistere e sottrarsi al suo giudizio.
Proviamo a riflettere. Se da una parte tutti ci auguriamo che la cattiveria, l’orgoglio e la violenza abbiano finalmente una giusta punizione per evitare che prima o poi soccombiamo, dall’altra, nel frattempo, abbiamo bisogno di sostegno, di una grazia particolare, di momenti di speranza perché sappiamo reagire e non ci lasciamo condizionare da quel male che sembra così onnipotente da toglierci ogni respiro vitale.
Più il dominio del Maligno è forte, più deve essere forte anche la nostra fede nell’Onnipotenza divina. La Liturgia chiama periodi “forti” sia l’Avvento che la Quaresima. “Forti” in che senso? Per l’intensità di una Fede purissima, in contrapposizione alla dissacrazione oggi dominante di ogni valore; una cosa vale, ha valore, in quanto è relativa all’Essere divino, perciò ogni cosa è un valore se affonda le sue radici nel mondo del Divino. La dis-sacrazione toglie il sacro dalla sue radici divine, lo sradica nel suo essere.
L’Avvento è un periodo “forte” in questo senso: nel ridare alla sacralità della nostra esistenza le sue radici divine. E, più forte è la dissacrazione, più forte deve essere la nostra Fede, che attinge la sua validità nel profondo del nostro essere, là dove lo spirito puro si incontra con lo Spirito divino, che è purissimo.
E allora che cos’è l’Avvento? Un forte, un intenso momento di Fede purissima: anche i riti, le liturgie, le celebrazioni, gli incontri sono importanti, ma che siano imbevuti di Fede autentica. E la Fede ha un proprio stile, che è nobile, con le sue esigenze, anche con distacchi da quell’inutile o superfluo o carnale che impone le sue regole, contrariamente a quelle esigenze divine che non ci condizionano, ma ci liberano da ogni consumismo deleterio.
Ed ecco il terzo brano, che riporta quasi per intero il discorso escatologico, riguardante cioè gli avvenimenti ultimi o finali della storia e della definitiva venuta del Figlio dell’uomo.
Si può così suddividere: per primo, c’è la scena d’introduzione che prende spunto dall’ammirazione del tempio di Gerusalemme, del quale Gesù predice la distruzione come segnale che avvia la fine; poi Gesù invita i suoi a guardarsi nel frattempo dai seduttori e predice l’inizio delle sofferenze che preludono la fine; poi Gesù esorta i suoi discepoli a perseverare tra persecuzioni e tribolazioni fino alla fine; c’è poi la descrizione dell’ultima e più grande “tribolazione”, accompagnata da straordinari fenomeni celesti; infine, gli ultimi versetti descrivono la parusìa (venuta) del Figlio dell’uomo per il giudizio con il conseguente raduno davanti a lui dei suoi eletti.
Ne abbiamo su cui riflettere. Vorrei soffermarmi su alcune parole di Gesù.
Scrive Marco: «Mentre il Signore Gesù usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: “Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!”. Gesù gli rispose: “Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta”».
Ogniqualvolta rileggo o risento queste parole, mi sembra di rivedere gli antichi imperi assiri, babilonesi, egiziani, per non parlare dell’impero romano nei loro ruderi, rimasti a perenne memoria del loro orgoglio, del loro potere, del loro immenso ego per dominare, estendere i loro confini, mai sazi di possedere, di avere, di sapere impregnati di smodata sete e di smisurata volontà di rubare agli altri i loro diritti, di soggiogare e di reprimere i poveri. Ma il problema più assurdo e allucinante è constatare con tristezza e sofferenza che ancora oggi lo stesso popolo d’Israele ha dimenticato il suo passato di infedeltà, di tradimenti, di conquiste di terre altrui, spargendo sangue.
Ma il discorso andrebbe allargato ai grandi poteri o imperi di oggi, che vogliono sempre più allargarsi oltre i loro confini, già stabiliti su angherie e ingiustizie del passato, legittimate da vergognosi trattati di pace, secondo i criteri del vincitore che ha abusato dei suoi poteri.
Forse dovremmo anche pensare ai nostri piccoli paesi. Ogni cittadino, che avesse un po’ di memoria e di cervello non dovrebbe dimenticare che un tempo, magari non troppo lontano, i signorotti e i ricconi che tenevano in pugno il paese, ora dove sono? Un pugno di polvere, magari una tomba su cui cresce tanta erba…
Passiamo brevemente a due altre riflessioni. Anzitutto, Gesù invita i discepoli e i futuri credenti di prestare una particolare attenzione per non farsi ingannare. Tutto è inganno, già lo diceva il salmista. “Omnis homo mendax”: ogni uomo è menzognero. Non dimentichiamo quella pagina, drammatica, che presenta il duro scontro tra Gesù e quei giudei che erano “suoi simpatizzanti”, come annota Giovanni: Gesù li accusi di essere figli della menzogna, ovvero del diavolo, che è menzognero per natura.
Infine, Gesù invita a pregare lo Spirito santo, che è in noi. Vigilare, dunque, e pregare lo Spirito. E qui dovrei dire e ripetere che, fino quando resteremo fuori di noi, in periferia del nostro essere, saremo sempre in balìa del Maligno menzognero, che assume volti diversi, e si incarna nelle istituzioni civili e religiose.
Cristo oggi ripeterebbe da ogni pulpito, da ogni cattedra, da ogni palazzo, in ogni luogo in cui ci troviamo: Metanoèite! Cambiate mentalità, il vostro modo di pensare. Occorre rientrare in noi, dove l’intelletto illuminato da Dio ci fa vedere la realtà, e la realtà, se non incarna la Verità divina, sarà sempre in balìa del Maligno.

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