Omelie 2019 di don Giorgio: BATTESIMO DEL SIGNORE

13 gennaio 2019: BATTESIMO DEL SIGNORE
Is 55,4-7; Ef 2,13-22; Lc 3,15-16.21-22
Nel primo brano, di poche righe, troviamo un invito del profeta, che verrà successivamente ripreso anche dalla Chiesa a indicare quale dovrà essere l’attenzione da parte di ogni essere umano: non perdere nemmeno una delle occasioni con cui Dio si rende disponibile a farsi trovare, invocandolo mentre è vicino, per evitare di lasciarlo passare.
Attenzione…
Già una parola merita un chiarimento, ed è “attenzione”. Tra l’altro, dico subito che l“attenzione” ha una centralità particolare negli scritti di Simone Weil. Che significa, allora?
Anzitutto, rispondiamo che non bisogna fermarsi al significato etimologico di attendere, che significa “tendere verso”, indicante quindi un movimento.
L’attenzione di per sé richiede, come ha chiarito la filosofa francese, una sospensione del proprio pensiero, talora distratto o addirittura occupato da mille cose: sospendere, dunque, il pensiero distratto o occupato per lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto, in questo caso a qualcosa di estremamente essenziale.
L’attenzione è distaccarsi dall’esteriorità e rientrare in se stessi, così come si inspira e si espira. In altre parole, possiamo dire che la l’attenzione richiede quella lucidità di spirito, propria di chi, di fronte a qualcosa del tutto speciale, come è il mondo del Divino, non può e non deve farsi prendere dalla distrazione.
È Dio che cerca noi
“È Dio che cerca noi”. In realtà, non siamo noi che dobbiamo fare un passo verso Dio, ma è sempre Dio che assume ogni iniziativa.
Si è talmente schiacciati dalla “pesantezza” della propria esistenza che, secondo la legge della gravità ci spinge verso il basso (come una grossa pietra che cade), che non si riuscirà mai, neppure ad elevare lo sguardo verso il cielo.
Sì, è Dio che si fa trovare, in ogni angolo più recondito della terra, senza doverlo da parte nostra cercare. A noi spetta aprire gli occhi, e non fuggire dal Sommo Bene da cui proveniamo. Anche se fuggissimo da Lui, Dio sarà sempre pronto a incontrarci.
Dio è vicino
Che significa, inoltre, “invocare Dio mentre egli è vicino”? La nostra invocazione di creature “lontane” è una possibilità che il Signore ci dà, perché possiamo rendercene conto, facendo uso della nostra libertà.
Che sia Dio a farsi prossimo con ognuno di noi, ciò non toglie che, da parte nostra, ci sia un atto di coscienza e di responsabilità. Dio non ci invade forzatamente, se noi ci opponiamo alla sua presenza, anche se egli insiste, con la sua grazia, a risvegliare in noi quella “scintilla divina” che fa parte del nostro essere umano.
Ciò che effettivamente ci manca non è la possibilità di unirci a Dio, ma quella “attenzione” che, pur in un’apparente passibilità, è sufficiente perché Dio riceva da parte nostra l’assenso o il consenso per riempirci della sua presenza.
Fatto il vuoto dentro di noi, Dio necessariamente lo riempie. Dio ha orrore del vuoto. “Horror vacui”, dicevano gli antichi. “Il vuoto attira la grazia”, ha scritto Simone Weil.
“…abbattendo il muro di separazione…”
Questi concetti, espressi però in un linguaggio diverso, li troviamo anche nel brano di Paolo nella sua lettera ai cristiani di Efeso.
Il linguaggio usato dall’Apostolo è superlativo, nel senso di altamente teologico e mistico, assumendo quella assurdità che è tipica dell’agire divino.
Sì, assurdità, perché parlare di Dio non è così tanto semplice come vorrebbero farci credere, anche se Dio in quanto Essere è semplicissimo: in Lui non c‘è complessità di ragionamenti. Ma, nello stesso tempo, nel suo rapporto con il creato, Dio assume caratteri contraddittori, che sembrano assurdi.
Intendiamo bene il significato delle parole di Paolo. Cristo, nel suo sangue, ovvero con la sua morte di croce, ha riunito l’umanità nell’Unità divina.
Che significa “nel suo sangue”? Non credo che il sangue versato da Cristo sulla croce abbia di per sé unito l’intero genere umano. Quanto sangue sparso da innocenti lungo i millenni della storia, eppure siamo ancora qui divisi, tra noi separati, con una umanità quasi a brandelli.
E neppure dobbiamo parlare di un amore speciale presente in quel sangue. Anche gli innocenti e i giusti hanno versato per amore il loro sangue.
La verità è che da quella morte sulla croce di Cristo è uscito Spirito santo, come dono per l’umanità. Un dono che va accolto, altrimenti il dono rimarrà sterile.
È lo Spirito, dono di Cristo che muore, che abbatterà, come scrive Paolo, il muro che separa l’essere umano dallo Spirito divino.
“Egli infatti è la nostra pace”
A Natale e nei giorni appena trascorsi si è parlato di pace come di un dono del Bambino Gesù, nato a Betlemme da una vergine di nome Maria. Si è fatto della pace un’enfasi poetica, sentimentale e anche teologica.
Ma la pace, come scrive Paolo, sta nel ridare all’essere umano la sua unitarietà, frantumata dal Maligno, che ha un nome, l’amor sui, ovvero l’amore di se stesso o del proprio ego, che è come un muro che separa lo spirito umano dallo Spirito divino.
Cristo ha tolto ogni barriera, ogni divisione, ogni muro che protegge ciò che è mio da ciò che è tuo.
Pace allora significa che tutto è comune, tutto è fratellanza al di là delle barriere di razza o di cultura o di religione. Dire, come qualcuno sostiene: “prima noi e poi gli altri” è semplicemente diabolico (diavolo etimologicamente significa dividere, separare).
Ogni religione, con i suoi dogmi e la sua morale, divide, volere o no. Il cristianesimo autentico, che non è una religione, è l’abbattimento di frontiere, di schemi ideologici e religiosi, di ogni legge che separa. Il cristianesimo non è una casta. Il cristianesimo non è una élite di gente a posto con la legge della religione. Il cristianesimo è l’universo e il mondo intero.
La pace è il frutto dello Spirito santo, ma lo Spirito agisce all’interno del nostro essere.

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