da AVVENIRE
12 febbraio 2020
Esortazione apostolica.
I quattro sogni di papa Francesco
per l’Amazzonia
Stefania Falasca
Al centro del testo post sinodale «Querida Amazonia» i diritti dei più poveri, la ricchezza culturale, la bellezza naturale, il servizio dei cristiani. La scarsità dei preti? Più impegno missionario
Li chiama sogni. E ne ha fatti quattro per la Querida Amazonia, l’esortazione che papa Francesco ha indirizzato come una lettera dallo stile originale per aiutare a «risvegliare la preoccupazione per questa terra che è anche “nostra”», dato che è vitale per noi e riguarda tutta la Chiesa per le sue problematiche. Anzi, è terra che per il Papa rappresenta una «totalità» e un «luogo teologico» che obbliga la Chiesa a non dimenticarsi di come essere tale non solo in Amazzonia.
In quarantuno pagine, nella sua quinta esortazione firmata il 2 febbraio scorso, il Papa ha così risposto al documento finale del Sinodo sull’Amazzonia, conclusosi nell’ottobre scorso, declinando quanto auspica in quattro ambiti: sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale. E in 111 punti, offre soluzioni concrete dentro una visione che indica con puntualità le vie per un’Amazzonia «che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa». Che «difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana». Che «custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita». E abbia comunità cristiane «capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici».
Un testo magisteriale scandito anche dai versi di dodici poeti e scrittori latinoamericani a cui il Papa si affida per entrare nel vivo delle ferite e delle contraddizioni di questo bioma, multinazionale, multietnico, multiculturale e multireligioso con tutte le sfide che rappresenta anche dal punto di vista ecclesiale. Per la difficoltà di quelle comunità impossibilitate a celebrare l’eucarestia, il magistero del Papa non fa propria la proposta avanzata da alcuni vescovi riportata nel documento finale del Sinodo sulla possibilità di conferire il sacerdozio a diaconi permanenti. Richiama alla responsabilità di tutta Chiesa cattolica chiedendo l’invio di nuovi missionari, e si sofferma sull’inculturazione indicando con chiarezza la strada per un vero rinnovamento ecclesiale e la crescita di una Chiesa dalla fede incarnata che possa suscitare e accompagnare anzitutto vocazioni indigene. E punta decisamente ai nuovi ministeri non ordinati da affidare in modo stabile ai laici. In primis alle donne.
Il sogno di una vita sociale oltre l’ingiustizia e i crimini
«Molti sono gli alberi/ dove abitò la tortura/ e vasti i boschi/ comprati tra mille uccisioni». In questo primo «sogno», citando una poesia di Ana Valera Tafur, il Papa addita senza mezzi termini gli interessi colonizzatori di ieri e di oggi che, distruggendo l’ambiente «legalmente e illegalmente», hanno scacciato e assediato i popoli indigeni, provocando «una protesta che grida al cielo». E che continuano a farlo senza riconoscere o ignorando i loro diritti «come se non esistessero, o come se le terre in cui abitano non appartenessero a loro». Mentre proprio «la loro parola, le loro speranze, i loro timori dovrebbero essere – dice papa Francesco – la voce più potente in qualsiasi tavolo di dialogo sull’Amazzonia». Alle operazioni economiche, nazionali e internazionali, che distruggono l’Amazzonia «e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso», il Papa da «il nome che a loro spetta: ingiustizia e crimine». Per questi «atroci crimini» bisogna «indignarsi e chiedere perdono», «come si indignava Gesù davanti all’ingiustizia». Perché «non è sano che ci abituiamo al male e permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale, mentre «una scia di distruzione e morte mette in pericolo la vita di milioni di persone». E afferma come invece sia «sempre possibile superare le diverse mentalità coloniali per costruire reti di solidarietà e di sviluppo», anche perché esistono alternative di sviluppo che non comportano la distruzione dell’ambiente e delle culture.
Il sogno della ricchezza culturale: no all’isolamento
Promuovere l’Amazzonia per il Papa «non significa colonizzarla culturalmente, ma fare in modo che essa stessa tragga da sé il meglio». Ogni popolo che è riuscito a sopravvivere in Amazzonia possiede la propria identità culturale e una ricchezza unica all’interno di un universo multi-culturale. Ma anche le culture amazzoniche come quelle urbane dell’Occidente subiscono un impoverimento dovuto al consumismo, l’individualismo, la discriminazione, la disuguaglianza e per evitare questa dinamica di impoverimento umano, occorre amare e custodire le radici. «L’identità e il dialogo non sono nemici – afferma il Papa – la propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti e il modo autentico di conservarla non è un isolamento che impoverisce». «Non è perciò mia intenzione – sottolinea – proporre un indigenismo completamente chiuso, astorico, statico, che si sottragga a qualsiasi forma di meticciato. Per questo, l’interesse ad avere cura dei valori culturali dei gruppi indigeni dovrebbe appartenere a tutti, perché la loro ricchezza è anche la nostra. Se non progrediamo in questo senso di corresponsabilità nei confronti della diversità che abbellisce la nostra umanità, non si può pretendere che i gruppi della foresta interna si aprano ingenuamente alla “civiltà”. Neppure la nozione di qualità della vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e consuetudini propri di ciascun gruppo umano».
Il sogno degli inseparabili: ecologia umana e della natura
L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia che è compromessa oltre che dagli interessi economici di imprenditori e politici locali, anche dagli «enormi interessi economici internazionali». Per il Papa la soluzione non viene «da una “internazionalizzazione” dell’Amazzonia, ma diventa più grave la responsabilità dei governi nazionali». In Amazzonia – dice Francesco – si comprendono meglio le parole di Benedetto XVI quando diceva che «accanto all’ecologia della natura c’è un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un’“ecologia sociale”. E ciò comporta che l’umanità debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l’ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l’ecologia umana». Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, «per avere cura dell’Amazzonia è bene coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee, sempre però cercando di intervenire sul territorio in modo sostenibile, preservando nello stesso tempo lo stile di vita e i sistemi di valori degli abitanti». Papa Francesco afferma che «imparando dai popoli originari, possiamo contemplare l’Amazzonia e non solo analizzarla, e possiamo amarla e non solo utilizzarla. Di più, possiamo sentirci intimamente uniti ad essa e non solo difenderla, e allora l’Amazzonia diventerà nostra come una madre. Per queste ragioni, noi credenti troviamo nell’Amazzonia un luogo teologico, uno spazio dove Dio stesso si manifesta e chiama i suoi figli».
Per una Chiesa incarnata
«La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell’Amazzonia. Essi hanno diritto all’annuncio del Vangelo» e insieme all’annuncio – afferma papa Francesco – deve crescere sempre di più un necessario processo di inculturazione, che «integri meglio la dimensione sociale e spirituale», «non disprezzi nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo». «Non abbiamo fretta – dice il Papa – di qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente. È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano. «Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata». L’inculturazione deve poi anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità. E questo per il Papa esige una risposta «specifica e coraggiosa». E se è è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati dell’Eucarestia di nuova vita e del sacramento del perdono, questa pressante necessità porta il Papa «ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia». E allo stesso tempo «a rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri». «C’è necessità di sacerdoti, ma questo – dice il Papa – non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità».
Vita nuova e protagonismo dei laici
Per papa Francesco non si tratta quindi «solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia». «Questo – sottolinea – sarebbe un obiettivo molto limitato se non si cerca anche di suscitare una nuova vita nelle comunità». E per suscitare e far crescere una nuova vita ecclesiale c’è prima di tutto bisogno di promuovere «l’incontro con la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e pratica – e percorsi di formazione permanente» e permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale marcatamente laicale». In conclusione le sfide dell’Amazzonia esigono dalla Chiesa «di realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici», soprattutto delle donne che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche e «dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro». E papa Francesco infine ribadisce che questi servizi «comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo», affinché le donne abbiano «un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità».
TESTO INTEGRALE
In questi sogni luminosi c’è il buco nero del clericalismo tridentino. Le forze reazionarie di questo buco nero li spegneranno come i papi precedenti hanno spento i sogni conciliari del vaticano II. Per il predicatore del qoelet niente di nuovo sotto il sole.