Banalità del male…

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Banalità del male…

Vorrei partire da una frase di Albert Camus, che scrive:
“Se gli uomini non possono riferirsi a un valore comune, riconosciuto da tutti in ciascuno, allora l’uomo diviene incomprensibile all’uomo”.
Ho trovato questo commento:
«Si è soliti parlare di banalità del male per significare che ciò che accade avviene quasi di per sé, con una specie di abitudine che affievolisce l’intelligenza, la capacità di discernere, la riflessione ed infine il giudizio. Banale vuol dire anche piatto, poco degno di considerazione. Come può non essere degno di considerazione un omicidio, una strage, un genocidio? Come è possibile fare ciò senza pensare all’atto e alle sue conseguenze, al dolore che provoca in altri esseri umani? Eppure, basta non considerare gli altri esseri umani al pari di noi. Insomma, come può avvenire il male? Semplicemente perché chi lo compie pensa di vivere su una terra diversa rispetto ad altri: pensa di abitare senza dubbio dalla parte del vero, del giusto, del bene. Del resto, per antica tradizione l’altro (il barbaro, la donna, lo schiavo, il nero…) non è ritenuto il manchevole? Considerare l’altro non come manchevolezza ma come destinatario del mio sguardo, occasione di incontro capace di arricchire anche la mia manchevolezza: questa la responsabilità verso la vita ed il mondo, il presente e il futuro».
L’espressione “banalità del male” è diventata famosa per il saggio, uno dei più noti, di Hannah Arendt, dal titolo: “La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme”.
«Sono passati più di sessant’anni da quando questo libro uscì per la prima volta. Il resoconto del processo a Eichmann, con la sua analisi di come lo sterminio di gran parte degli ebrei d’Europa – una delle più terribili manifestazioni del Male – si fosse concretizzata a opera di uomini normalissimi, non ha perso nulla della rilevanza che aveva nel 1963. Anzi, se possibile, il suo valore si è andato accrescendo, suffragato da numerosi drammatici esempi di crudeltà e massacri perpetrati da organizzazioni e Stati che fondavano (e fondano) il perseguimento dei crimini più atroci su individui come Eichmann: persone sprovviste di qualsiasi tipo di eccezionalità, semplicemente concentrate sulla corretta esecuzione del compito loro assegnato dall’autorità. Il Male che Eichmann incarna, infatti, appare alla Arendt “banale”, e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano. È una verità che ciascuno è chiamato a tenere presente, specialmente in un’epoca di rinnovate tensioni, guerre e atrocità, come quella che stiamo vivendo. L’onestà intellettuale che Arendt mette in campo in questo libro, e che le valse anche diversi attacchi dallo stesso mondo ebraico, è l’unica arma che ci permette di riconoscere il Male, anche nelle sue forme più banali, quelle che potrebbero allignare in ciascuno di noi».
La storia non insegna proprio nulla: i drammi si ripetono sempre, come un orologio che quando segna le dieci, ad esempio, avverte: va’ ad ammazzare quel tizio che ti rompe le palle, che ti è di ostacolo per quell’amor tui mai sazio di accaparrare beni altrui, del tuo vicino di casa magari povero ma che ha una zolla di terra che potrebbe allargare le pretese o le voglie del tuo ego. E tu che fai? Baci con tanta tenerezza tuo figlio e tua moglie e anche il gattino così tenero, e poi esci di casa salutando quanti incontri con un largo sorriso e accoppi quel tale con violenza peggiore di quella di Caino. Torni a casa salutando tutti, e a tuo figlio e a tua moglie dici: Ho fatto il mio dovere, ora sono tranquillo, ora siamo più ricchi.
Cose assurde? No! Cose normali…
Hitler c’era prima e c’è ancora adesso che nella sua follia si riveste di normalità quotidiana, e così Hitler, faccio un nome che comprende ogni dittatore criminale, è sostenuto nella indifferenza generale o nel sostegno diretto o indiretto di pezzenti ideologi o di pezzenti opinionisti o di pezzenti cittadini comuni a cui interessa solo salvare le cipolle o le patate del proprio orticello.
Quando si perde ogni senso di giustizia, quel concetto di libertà che va oltre il proprio interesse, allora tutto diventa lecito, tutto diventa normale. I confini tra ingiustizia e giustizia crollano nell’ego di ciascuno che allarga l’ingiustizia togliendo più spazio alla giustizia.
E questo processo avviene nella normalità, senza sentire disagio interiore, come se la coscienza smettesse di far sentire i suoi gemiti.
Si va magari in chiesa e indifferentemente si odia il fratello: cosa normale, così normale che, se tu gli dici qualcosa, ti denuncia come se tu fossi anormale.
Oggi a prevalere sono i furbi, i maleducati, gli incivili, i ladri, gli assassini non tanto per la loro prepotenza, ma nel giudizio generale di una massa che eleva monumenti ai corrotti, e proibisce ai giusti di far sentire la loro protesta. Si trova ogni giustificazione per togliere spazi ai simboli di valori eterni. È chiaro: i simboli devono giustificare i corrotti così da renderli modelli di vita, e la massa come se fosse normale cerca di trovare il modo per far prevalere il proprio ego.
Tutto normale, sempre più normale essere disonesti, man mano che la coscienza attenua la sua voce.
Vogliamo rileggere le riflessioni iniziali?
«Si è soliti parlare di banalità del male per significare che ciò che accade avviene quasi di per sé, con una specie di abitudine che affievolisce l’intelligenza, la capacità di discernere, la riflessione ed infine il giudizio. Banale vuol dire anche piatto, poco degno di considerazione. Come può non essere degno di considerazione un omicidio, una strage, un genocidio? Come è possibile fare ciò senza pensare all’atto e alle sue conseguenze, al dolore che provoca in altri esseri umani? Eppure, basta non considerare gli altri esseri umani al pari di noi. Insomma, come può avvenire il male? Semplicemente perché chi lo compie pensa di vivere su una terra diversa rispetto ad altri: pensa di abitare senza dubbio dalla parte del vero, del giusto, del bene».
Lascio a voi riflettere sulla parola “manchevolezza”, che troviamo nelle ultime righe:
«Del resto, per antica tradizione l’altro (il barbaro, la donna, lo schiavo, il nero…) non è ritenuto il manchevole? Considerare l’altro non come manchevolezza ma come destinatario del mio sguardo, occasione di incontro capace di arricchire anche la mia manchevolezza: questa la responsabilità verso la vita ed il mondo, il presente e il futuro».
13 aprile 2024
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