14 luglio 2019: QUINTA DOPO PENTECOSTE
Gen 18,1-2a.16-33; Rm 4,16-25; Lc 13,23-29
Un brano che sa stupire
Il primo brano della Messa non finisce mai di stupire. Puoi leggerlo mille volte, e mille volte vi trovi qualcosa di nuovo. Così càpita anche a me, quando lo devo commentare. Il primo istinto è quello di accantonarlo, prendendo un altro brano della Messa, ma poi ci ripenso, lo rileggo e mi dico: “questo” e “quest’altro” particolare finora mi sono sfuggiti.
In sintesi. Abramo non si dà per vinto, quando sa che il Signore vuole distruggere Sodoma e Gomorra, le due città che diventeranno poi, lungo i millenni, l’emblema della perversione. Abramo tenta di convincere il Signore a desistere dal suo volere, usando una tattica del tutto particolare, ovvero mettendo in gioco la presenza di alcuni giusti in quelle due città: il Signore non può non tenerne conto, in nome della stessa giustizia divina, per cui sarebbe del tutto ingiusto far perire insieme ai malvagi anche gli innocenti. La questione è il numero: quanti giusti bastano per salvare una città di pervertiti dall’ira di Dio? E Abramo gioca al ribasso: un gioco che il Signore accetta, ma fino a un certo limite. Al di sotto di dieci giusti Dio non scende, e punisce quelle due città.
Alcune domande
A questo punto, possiamo porci alcune domande, diverse domande, forse troppe forse poche, ma tutte fortemente problematiche.
Anzitutto: perché Abramo se la caccia così tanto, per salvare due città stracolme di corrotti e di pervertiti? Bisogna avere il coraggio di dirlo: Abramo sembra un caso isolato, rarissimo nella storia dell’umanità: uno che difende l’indifendibile. Pensando all’oggi: come si può difendere un popolo di corrotti, di analfabeti, di violenti, o politici al limite della sopportabilità? Ma il problema forse è posto male: non è difendere l’indifendibile, ma salvare gli innocenti e i giusti. Abramo forse intendeva dire al Signore: punisci i corrotti, ma salva però gli innocenti. Oppure intendeva proprio dire: salva i corrotti in nome degli innocenti? In fondo, il Signore non ha inviato sulla terra suo Figlio proprio per salvare i peccatori?
E qui si pone un’altra domanda: qual è il rapporto tra malvagità e giustizia? Più concretamente: fino a che punto i malvagi contano, così da permettere a Dio anche la morte dei giusti e degli innocenti?
La storia ci insegna quanto le nazioni, le popolazioni, le cosiddette civiltà antiche e moderne, quanto le religioni, quanto la stessa Chiesa non abbiano tenuto conto della presenza degli innocenti e dei giusti nelle loro violenze più o meno istituzionali.
Io non credo alla storicità dell’episodio biblico della distruzione di Sodoma e Gomorra, così come è stato ricostruito dall’autore sacro, facendo intervenire direttamente il Signore. Può anche darsi che le due città siano state distrutte, ma non per un intervento divino. O forse, e non sarebbe la prima volta (basti pensare all’episodio di Isacco pronto per essere sacrificato dallo stesso padre Abramo) l’episodio sta a significare il contrario? E una ragione c’è, e sta proprio nel dialogo così serrato, al gioco al ribasso, di Abramo?
Anche qui, come dimenticare che le guerre di religione, ma ogni guerra in genere, soprattutto se venissero scatenate oggi su scala mondiale, la percentuale di morti degli innocenti e dei giusti toccherebbe cifre davvero impressionanti.
“Sforzatevi di entrare per la porta stretta”
Passiamo al terzo brano della Messa. Un tizio, scrive Luca, pone a Gesù una domanda: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Si tratta di una questione molto molto dibattuta nel giudaismo del tempo di Gesù. I farisei sostenevano che gran parte degli ebrei – anzi, per alcuni rabbini tutti quanti – si sarebbe salvata, in forza della loro appartenenza al popolo eletto; invece, nei circoli apocalittici predominava l’opinione opposta: solo pochi eletti osservanti si sarebbero salvati.
Anche stavolta Gesù non prende posizione sulla dibattuta questione teologica: si salveranno tutti, o molti, o pochi? Vuole, invece, far capire che il vero nocciolo della questione è un altro; non deve tanto importare a noi se si salvano in tanti o pochi, perché questo rientra nel mistero di Dio. Quello di cui ci dobbiamo preoccupare è che la salvezza non è un fatto tranquillo e scontato per nessuno: né per chi allora osservava la Legge (gli ebrei), né per chi oggi si attiene a comandamenti e precetti della Chiesa (i cristiani); la salvezza non è automaticamente conferita per il solo fatto di appartenere al popolo di Dio.
Gesù si rivolge a tutti con un chiaro imperativo: «Sforzatevi voi di entrare….». Quindi: preoccupatevi della vostra situazione, del vostro impegno attuale. E aggiunge: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta…».
È proprio qui il nocciolo del discorso di Gesù: che cos’è questa porta stretta?
L’immagine evoca certamente qualcosa di molto duro, difficile e impegnativo, mentre la porta larga fa venire in mente facilità e superficialità; ma soprattutto la via stretta è quella che, per chi si mette alla sequela di Gesù, passa attraverso il Getsemani e il Golgota.
Qui si apre un discorso molto serio, al di là di ogni considerazione del tipo moralistico.
La porta rimanda allo stesso Gesù Cristo che ha detto nella parabola del Buon Pastore: «Io sono la porta delle pecore… se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo» (Gv 10,7.7).
Sì, possiamo anche parlare di porta stretta, ma nel senso che bisogna entrarci nella nostra nudità dell’essere, senza tutti quegli ingombri di cose che costringerebbero a prendere una strada più larga, ma che porterebbero lontano dal nostro mondo interiore.
E allora non si tratta di una questione moralistico, del tipo comportamentale, o del tipo virtuoso, ma di una questione di interiorità. E qui, appena si tenta di entrare nel nostro essere interiore, c’è un guardiano che blocca, costringendo gli individui a dirottare su altre strade, carichi di tutti i loro pesi di cose inutili. Il guardiano ha un nome: l’ego, il principe del male che assume le sembianze di ciò che noi moderni possiamo anche chiamare la personalità dell’individuo o, addirittura, la coscienza che riflette un bene camuffato.
Le parole finali di Gesù, che meriterebbero una maggiore riflessione, sono chiare: il nuovo regno di Dio appartiene a tutti, senza distinzione di razza o di religione. Ai suoi “apparenti” amici dirà: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». E, guardando lontano, vedrà venire da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, nuovi popoli che siederanno a mensa nel regno di Dio.
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