Omelie 2016 di don Giorgio: TREDICESIMA DOPO PENTECOSTE

14 agosto 2016: TREDICESIMA DOPO PENTECOSTE
Ne 1,1-4; 2,1-8; Rm 15,25-33; Mt 21,10-16
Ebrei esuli che si accasano ed ebrei che sognano di tornare
La maggior parte degli ebrei che, dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio (586 a.C.), erano stati deportati a Babilonia, con il passare degli anni era riuscita a integrarsi sul suolo straniero, trovando lavoro e una abitazione. C’era però anche chi rimpiangeva la patria. Non posso non ricordare il Salmo 137, che i critici definiscono un canto nazionale di dolore di un popolo che vive lontano, in terra straniera. Sullo sfondo la terra d’esilio, coi suoi fiumi e canali (il Tigri e l’Eufrate), quelli appunto che irrigavano la pianura babilonese, sede dei deportati ebrei. La seconda parte del Salmo è, invece, pervasa dal ricordo amoroso di Sion, la città perduta ma viva nel cuore degli esuli.
Vorrei rileggerlo per intero.
Salmo 137
«Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion/ Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. / Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: “Cantateci i canti di Sion!”. / Come cantare i canti del Signore in terra straniera? / Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia. / Ricordati, Signore, dei figli di Edom (gli edomiti si erano riuniti ai babilonesi nel distruggere e saccheggiare Gerusalemme), che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: “Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta”. / Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra» (usanza barbara di chi voleva vendicarsi).
L’editto di Ciro il Grande (538)
Nel frattempo, la situazione politica è cambiata: i persiani hanno sconfitto i babilonesi. Nel 538 a.C. il re persiano Ciro il Grande, con un editto, lascia liberi gli ebrei di tornare in patria. Solo un piccolo gruppo, in periodi diversi, torna. È il piccolo “resto” del popolo. La situazione che trovano è disastrosa. I nuovi arrivati non sono bene accetti da quelli che erano rimasti, anche perché accampano le loro terre. E non si deve dimenticare che quelli rimasti in patria si erano uniti in matrimonio con donne straniere, ovvero pagane. Questo fa capire la tensione, la lotta, la miseria e quindi la diffidenza dei primi esuli ritornati.
Neemia e Esdra
Il brano di oggi parla di Neemia. Accanto a lui, non va dimenticato un altro personaggio importante, Esdra. Non è facile ricostruire la loro storia. Le date si confondono. Probabilmente sono vissuti in periodi diversi e probabilmente l’attività di Esdra ha preceduta quella di Neemia. Due personaggi con incarichi diversi, ma complementari. Esdra era uno scriba, con l’incarico di ricostruire il Tempio e di pensare all’aspetto religioso dei nuovo popolo, che si stava ricostruendo. Neemia, invece, era un laico, preoccupato dell’aspetto diciamo politico: il suo intento era quello di dare sicurezza alla città di Gerusalemme, ricostruendo le sue mura.
Non dimentichiamo poi la presenza di due profeti: Aggeo e Zaccaria, che sostenevano con la parola di Dio il popolo allo sbando.
Osservazione personale
L’accusa rivolta ai rimpatriati era quella di pensare subito alle loro terre e a ricostruirsi la casa. Quando erano in esilio, pensavano al Tempio distrutto e a Dio perché li facesse tornare in patria, ed ora, appena tornarti, se ne erano già dimenticati. Che dire? La storia si ripete. Ma non è solo la storia del popolo eletto che, quando stava male, pensava a Dio, e, quando stava bene, pensava a se stesso. È anche la nostra storia. Dicevano i nostri vecchi: arriva una guerra, e le chiese si riempiono; torna il benessere e le chiese si svuotano. Non dico altro.
Gesù e il Tempio
Il brano del Vangelo riporta ciò che è successo immediatamente, dopo l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, nell’ultima settimana di Pasqua. Non dimentichiamo che Gerusalemme era soprattutto il Tempio, il cuore della religiosità ebraica o del culto nell’unicità del Dio d’Israele. Sembrava quasi che, ai tempi di Cristo, il Tempio non fosse solo una maestosità imponente di marmi splendenti, tanto più che dal 19 a.C. Erode il Grande lo aveva maggiormente restaurato e abbellito, ma era diventato il ritrovo di ogni infedeltà alla purezza della Legge e del culto interiore: così avevano già denunciato gli antichi profeti.
Gesù lo sapeva. Se da lontano sentiva tutto il marcio della casa di Dio, ora da vicino, poco prima di essere arrestato, vuole compiere un gesto provocatorio, anche in senso fortemente profetico.
Succedeva che il cortile del Tempio, detto dei Gentili (o dei pagani), soprattutto nelle vicinanze delle maggiori festività religiose, ad esempio la Pasqua, diventasse una specie di mercato, dove si cambiavano le monete pagane in monete sacre e si acquistavano e si vendevano animali per il sacrificio. Gesù non solo protesta a voce, ma, con una frusta di cordicelle (un particolare aggiunto da Giovanni), getta per terra il denaro dei cambiavalute e ne rovescia i tavoli, gridando: “Fuori tutti dalla mia casa: ne avete fatto una spelonca di ladri!”. C’è di più. Gesù guarisce ciechi e sordi che erano accorsi a vedere la scena, violando così una legge ben precisa, scritta nel secondo libro di Samuele (5,7-8), che vietava l’entrata nel Tempio di ciechi e zoppi.
Se con il gesto violento di restituire al culto del Signore anche il cortile riservato ai non ebrei, Gesù anticipava il suo volere di fare della casa di Dio uno spazio aperto ad ogni religione, con la guarigione dei ciechi e degli zoppi egli intendeva togliere ogni emarginazione.
Ma c’è ancora di più. L’evangelista Marco aggiunge che Gesù entrò nel Tempio «e dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betania» (11,11). Notate l’espressione che, così tradotta in italiano, non rende bene l’atteggiamento di Gesù: “dopo aver guardato ogni cosa attorno”. Che cosa ha visto? Il vuoto di Dio. Oramai non aveva più senso che restasse in piedi. Nell’anno 70 d.C., l’esercito romano agli ordini di Tito radeva al suolo, non solo la città, ma anche il Tempio, che da allora non verrà più ricostruito.

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