Democrazia, monetizzazione e primato del numero

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Democrazia,

monetizzazione e primato del numero

Quando si parla di politica oggi, e questo succede in tutto il mondo, si rimane come agganciati ad una tale ideologia che è difficile pensarla già come ideologia. Già la parola “ideologia” richiama una concezione di pensiero.
Ma dove sta il pensiero nel mondo politico di oggi? Tutto dipende da cosa si intenda per pensiero.
E succede che, quando si pensa troppo in alto, la gente non segue, e i politici se ne stanno lontano.
Raimon Panikkar (1918-2010), davanti a parole logore, pur avendo in origine un qualche senso, era stato costretto a inventarne di nuove. E così parlava di meta-politica: “meta” significa: oltre, al di sopra, al di là, ovvero oltre la politica dei soliti partiti, preoccupati solo di un po’ di potere, quando non succede che il potere diventi cosa privata nelle mani di un solo gerarca, ovvero di un dittatore.
In altre parole, la meta-politica è l’antitesi della politica partitica, tutta preoccupata a pensare ai propri interessi. Certo, tutti parlano di bene comune, ma in realtà si tratta di bene parcellizzato su misura delle corte ideologie di partito, che sono poveri pensieri bassi come le foschie di certe zone della bassa padana.
Panikkar fa alcune proposte per una nuova politica o meta-politica. Vediamole.

1) Demonetizzare la cultura.

Dice Raimon Panikkar: «Il mondo reale non è fatto di prodotti monetizzabili, e ciò non riguarda soltanto i valori spirituali, ma anche le cose materiali. Dover pagare l’acqua, l’alimentazione e fra poco anche l’aria, è segno di una cultura malata. Dobbiamo respingere la coseificazione del mondo, la quantificazione della prospettiva umana. Tanto più oggi quando la scienza moderna comincia a dubitare che le entità fisiche siano misurabili, a motivo dell’incommensurabilità teoretica di qualunque realtà».
È un tema molto interessante e molto attuale. Forse bisognerebbe avere il coraggio di parlarne di più e di osare di più, proponendo altre iniziative. Oggi si monetizza tutto, anche per contemplare il cielo, anche per ricevere la grazia di Dio. Senza soldi non si vive, neppure in grazia di Dio.

2) Superare la democrazia con una nuova cosmologia.

Dice Panikkar: «Lo stesso meccanismo della quantificazione riguarda anche la democrazia, che è una tecnica politica indispensabile ma teoricamente debole. Non ci siamo ancora emancipati dall’eteronomia del politico, perché quelli che credono nella democrazia subiscono l’egemonia della quantità: i numeri comandano, la maggioranza (numerica) decide, la qualità è sostituita dalla quantità, la giustizia si identifica con la legittimità raggiunta per mezzo del maggior numero dei voti… e bisogna tener presente che l’opposto della democrazia non è necessariamente né l’anarchia né la dittatura. Ecco perché occorre superare la democrazia con l’esperienza di una nuova cosmologia che dilati la nostra percezione della realtà e il senso del nostro cosmo. I popoli vivono all’interno di miti che conferiscono loro una certa unitarietà. I “demos” autentici, come l’antica “polis”, hanno bisogno dei loro templi, dei loro Dei, di aprirsi a un potere super-democratico. Solo così potremo evitare la tirannia».
La verità non sta nell’opinione della maggioranza, né il bene comune è il risultato di un voto. Democrazia non è la somma dei voti individuali di una massa. I partiti politici, dalla Grecia classica fino a Rousseau, erano visti come parte di un tutto, parti di un discorso che non si poteva dire concluso finché non fosse stato raggiunto il con-senso, da intendersi come senso condiviso. Non c’è «potere del popolo» finché il popolo non sia d’accordo, cioè unanime di cuore. Questa la fede che dà forza alla democrazia: la fede che gli uomini si possano mettere d’accordo superando i loro egoismi.
Sì, la democrazia attuale si caratterizza per il primato della quantità sulla qualità.
Scrive ancora Panikkar: «Se la democrazia deve funzionare in base ai numeri, delle maggioranze e delle minoranze, questo significa che la res publica è concepita e giudicata dal punto di vista quantitativo. (…) Il primato della quantità implica che la vittoria del numero diviene la cosa più importante in sé e che consentirà alla democrazia di poter funzionare. (…) La cosa pubblica appartiene a tutti e la preoccupazione e l’amministrazione del bene comune devono essere anch’esse qualcosa di condiviso da tutti. Ma ciò è impossibile in una situazione che non sia a misura d’uomo. I principi della democrazia classica, insomma, non valgono per la democrazia moderna».
(1/continua)
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