Un caso che ha fatto, fa e farà ancora discutere…

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Un caso che ha fatto, fa

e farà ancora discutere…

Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le dimissioni del vescovo di Lugano (Svizzera), monsignor Valerio Lazzeri. Dimissioni improvvise, che hanno suscitato molte perplessità e tante domande. Il Papa sembra non abbia fatto nulla per far farle rientrare. Subito le ha accettate, nominando un Amministratore apostolico in vista del successore.
A spiegare le ragioni delle dimissioni è stato lo stesso vescovo, 59enne, in una conferenza stampa: «Sono consapevole del peso e dello smarrimento che la mia decisione non mancherà di provocare. A tutti chiedo perdono», ha esordito monsignor Lazzeri. «La sincerità e la totale trasparenza, mi spingono a dirvi che soprattutto negli ultimi due anni è andata crescendo dentro di me una fatica interiore che mi ha progressivamente tolto lo slancio e la serenità richiesti per guidare la Chiesa di Lugano. Gli aspetti pubblici, di rappresentanza, di gestione finanziaria e amministrativa, sono diventati per me insostenibili», ha detto monsignor Lazzeri, secondo quanto riferiscono i media svizzeri.
Forse solo un ministro di Cristo che abbia delle enormi responsabilità pastorali potrebbe capire ciò che sta dietro alla confessione sincera del vescovo di Lugano.
Però, talora mi chiedo se per essere prete oggi, a guida di una comunità, non si debba avere un po’ forse troppa incoscienza o ingenuità, evadendo alla ricerca di soddisfazioni diciamo esteriori, formali tali da togliere quelle domande, tante domande, che si pongono quando si abbia a che fare con strutture (ogni parrocchia anche piccola è una struttura), che tolgono all’agire di un prete o di un vescovo il suo senso profondo, che consiste nella evangelizzazione più pura.
Oggi poi sembra che le strutture anche ecclesiastiche stiano diventando sempre più pesanti, tali da soffocare lo spirito evangelico.
Pensate alla laicizzazione anche delle nostre comunità religiose, alle contraddizioni sempre più stridenti tra una fede praticata e una fede puramente occasionale, alla richiesta solo formale di sacramenti, ecc.
Ma questo fa parte del messaggio di Cristo, che è per natura radicale, e la radicalità oggi è solo quell’estremismo fondamentalista che va a ancor più a pesare sulla semplicità del Vangelo di Cristo, per cui il ministro di Cristo si trova a lottare tra una fede estremamente tradizionalista e una talora scriteriata apertura verso una società del benessere che riduce la fede a qualcosa di aleatorio.
Quando il ministro di Cristo rientra in sé, si pone la domanda: Che devo fare? Come essere autenticamente ministro di quel Cristo che è venuto per dirci che dobbiamo cambiare radicalmente il nostro modo di vedere e di comportarci?
Pensate poi agli aspetti burocratici, finanziari, alle opere da fare per mantenere in vita le strutture religiose, senza dimenticare che non tutti i preti sono tagliati nel fare l’economo, l’affarista, il geometra, ecc.
Sì, qualcuno dirà che bisogna dare più responsabilità ai laici, ma prima bisogna educare questi benedetti laici a quella Fede, per cui agire nel campo religioso non è la stessa cosa che agire nel campo laico. I bilanci ad esempio parrocchiali devono contemplare uscite e anche passività che sarebbero inconcepibili nei bilanci di una azienda.
Sì, la parrocchia non è una azienda. E crea altri problemi, altri stress per un prete quando ha a che fare con una Commissione Affari economici che non ha lo spirito evangelico.
Già, più di cento anni fa, don Primo Mazzolari aveva scritto un rivoluzionario libro sulla parrocchia, con l’intento di risvegliare i laici a quella missione evangelica di collaborazione con il parroco, per cui, come del resto era già successo nei primi tempi del Cristianesimo, i preti dovrebbero essere lasciati più liberi nell’evangelizzare, comunicando la Parola di Dio, esenti da preoccupazioni materiali.
Nel prete può succedere che esistano come due anime: l’anima del mistico e l’aspetto del prete funzionario. Talora questi due aspetti diventano così tra loro stridenti da mettere in crisi il prete stesso.
L’anima del mistico sembra così castrata da pormi una domanda: oggi essere prete o vescovo che senso ha in una società talmente carnale da richiedere altro che un supplemento di anima, di cui parlava H. Bergson.
Certo, tirar fuori l’anima del mistico creerà altri grossi problemi, ma non sta qui la vera sfida esaltante del cristiano e in particolare del prete o del vescovo?
15 settembre 2022
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