Omelie 2022 di don Giorgio: DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO

16 ottobre 2022: DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO
Is 60,11-21 oppure 1Pt 2,4-10; Eb 13,15-17.20-21; Lc 6,43-48
La terza domenica di ottobre di ogni anno la nostra Liturgia ambrosiana ci invita a ricordare gli eventi che ebbero al centro il nostro Duomo in questa data: nell’anno 836 la consacrazione dell’edificio di Santa Maria Maggiore; nella terza domenica di ottobre dell’anno 1418 la consacrazione da parte del papa Martino V dell’altare del nuovo Duomo, costruito sull’area dove prima c’erano le due basiliche, quella invernale, ovvero di Santa Maria Maggiore, e quella estiva, ovvero di Santa Tecla; sempre nella stessa domenica di ottobre dell’anno 1577 ci fu la dedicazione del Duomo da parte di Carlo Borromeo.
Certo, ogni celebrazione liturgica non è tanto una commemorazione rituale di alcune date da ricordare, ma va al di là, invitandoci a rivivere il senso di quelle date, così quando arriva Natale, quando arriva Pasqua, quando arriva Pentecoste, ecc.
La Liturgia è vita, non è solo una commemorazione, un ricordo del passato.
Come si dice: ogni giorno è Natale, ogni giorno è Pasqua, ogni giorno è Pentecoste. Le festività sono l’occasione per rinnovare la nostra Fede nel Mistero divino.
Ad esempio, la festa di oggi, a cui gli stessi ambrosiani non danno molta importanza, casomai suscita qualche curiosità sul nostro bellissimo Duomo, dovrebbe invece stimolare qualche domanda sull’importanza di ciò che rappresenta un Duomo o Cattedrale, due parole che dicono già qualcosa di interessante.
La parola “duomo” non ha nulla a che fare con l’iscrizione che ancora oggi si vede sulla facciata di certe chiese: D.O.M., iniziali della frase in latino “Deo Optimo Maximo”, che significa: “A (o per mezzo di) Dio, il più buono, il più grande”.
La parola “duomo” invece deriva dal latino “domus” e significa casa. È la casa o abitazione del Signore. Significa luogo sacro, consacrato a Dio. Il Duomo solitamente è la chiesa più importante di una città.
Si chiama anche cattedrale, e la parola cattedrale richiama la cattedra di insegnamento, la sede della parola del vescovo.
Solitamente quando pensiamo ad una cattedrale pensiamo a qualcosa di architettonico in stile gotico con pilastri e vòlte che ne esaltano lo slancio in verticale. Una volta le cattedrali affascinavano non solo per le loro bellezze architettoniche, ma come luoghi di preghiera, oggi sono diventate attrazioni turistiche.
Il primo brano della Messa, il profeta, voce di Dio, parlando di Gerusalemme dice: «Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti».
Possiamo allargare il discorso, elevarlo al di là di una costruzione materiale, ma ciò non può distoglierci dal pensare anche alla stessa città, agli stessi paesi, alle nostre chiese, alle nostre comunità cristiane.
Pensiamo a una città con le porte sempre aperte, pensiamo ai nostri paesi con le porte sempre aperte, pensiamo alle nostre chiese con le porte sempre aperte, pensiamo alle nostre comunità cristiane, ai nostri oratori.
Siccome non vorrei sembrare di essere il solito che contesta, riporto alcune amare riflessioni di don Angelo Casati: “Le porte aperte di giorno e di notte, un sogno, mi direte. Sì, un sogno, ma verso cui andare. Dice una direzione, anche se la meta è lontana. Con le porte chiuse, dice Dio, fai opera di insensatezza, perché ti precludi la ricchezza delle genti. Se il sogno che ci conduce sono le porte aperte, camminiamo verso la bellezza della convivenza. Se il sogno che ci conduce invece sono i muri, camminiamo verso la bruttezza del convivere».
Dunque, sembra dire don Angelo: aprire è bellezza, chiudere è bruttezza, e allora oggi tutto sembra bruttezza, visto che per paura si mette tutto sotto chiave. Un tempo, perfino le case restavano aperte, senza chiudere le porte. La chiesa era sempre aperta.
Oggi vedere le chiese sempre chiuse mette una tale tristezza da chiedermi se non arriverà il momento in cui le chiese serviranno solo per i riti liturgici.
Si deve poi fare un passo ulteriore. Dice ancora don Angelo: “Sono allora a chiedermi se il mio ingresso nella cattedrale ha l’effetto straordinario di aprire le mie porte, le mie porte dell’anima. Se esco con le porte chiuse, la casa di Dio è stata muta e le mie porte chiuse la stanno sconsacrando”.
Proviamo a riflettere: Dio l’Immenso, l’Infinito, vuole prendere dimora in una casa anche materiale, ma non lo fa per rimpicciolire la sua infinitezza, ma perché noi allarghiamo le nostre finitezze, le nostre grettezze, le nostre piccinerie, i nostri campanilismi.
Sembra quasi, senza quasi, che ogni volta che entriamo in una chiesa diventiamo più egoisti, più gretti, più piccini. Non basta neppure dire, come ho visto scritto su un cartello: “Si entra in chiesa per onorare Dio, e si esce per amare il prossimo”. Si ama il prossimo, quando apriamo il nostro di dentro, il nostro essere interiore che è per natura infinito. L’amore per il prossimo viene di conseguenza.
È giusto dire che bisogna aprire le porte di una città, dei nostri paesi, delle nostre chiese, dei nostri oratori, ma il problema è che non ci apriamo nel nostro essere interiore, nella nostra mente che resta sempre gretta, chiusa. Vorrei sempre ripetere e ripetere l’invito di Cristo alla conversione con quel verbo da chiarire nel suo senso originale: “Metanoeite!”, ovvero cambiate mentalità.
Ogni volta che entriamo in una chiesa dovremmo uscire con l’intelletto più lucido, più attivo, più aperto: cambiare mentalità significa che prima pensavamo male, in modo sbagliato, con tanti pregiudizi che bloccano la verità che è per sua natura infinitamente aperta.
Un tempo, a parte le cattedrali gotiche, costruivano le chiese in modo tale che, entrando, ci si sentiva più slanciati dentro, si respirava qualcosa di elevato, si sentiva rinascere dentro.
Se fuori ci manca il respiro, tanto l’aria è pesante a causa di una società opprimente, quando si entra in una chiesa si dovrebbe sentire un’aria del tutto diversa, che ci permette di respirare a pieni polmoni. Non importa poi se, uscendo, rientriamo nella stessa società opprimente: servono, e come, certe boccate d’aria fresca e rigenerante.
Si va in chiesa per disintossicarci, e si esce rigenerati. Certo, tutto dipende come si va in chiesa, come si sta in chiesa.
La stessa riflessione potrebbe continuare parlando anche delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre comunità ecc. I nostri ambienti esistenziali ci rigenerano, oppure sono una perenne agonia?

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