Metanoia e metantropia…
L’EDITORIALE
di don Giorgio
Metanoia e metantropia…
Rileggendo in questi giorni alcune lettere che Giovanni Papini fa scrivere a un immaginario Celestino VI, ho trovato con sommo piacere un termine che lo scrittore fiorentino usa frequentemente, ed è Metanoia (deriva dal verbo greco metanoèo “cambio idea”, composto da “meta”, oltre, e “noèo”, penso).
Troviamo il verbo “metanoèo” nella forma imperativa, μετανοεῖτε, metanoèite, prima in bocca a Giovanni il Battista (Mt 3,1), e poi in bocca a Gesù (Mc 1,15). Viene solitamente tradotto in italiano con “convertitevi”, ma non rende bene l’idea del verbo greco, che significa, cambiare mentalità, il modo di pensare. La conversione riguarda prima l’intelletto, da “passivo” (quello in balìa dell’ego) renderlo “attivo”, illuminato dall’Intelletto divino. Solo con l’intelletto “attivo” possiamo prendere le decisioni o le scelte giuste, per poi comportarci rettamente. In altre parole, la volontà deve essere illuminata dall’intelletto “attivo”, altrimenti resterà in balìa di quello “passivo”, vittima dell’ego o “amor sui”.
La cosa che mi ha colpito è che Giovanni Papini chiama in causa la Metanoia quando l’immaginario Celestino VI scrive ai potenti della terra.
Vi propongo un passo, un po’ lungo, ma interessante, della lettera.
«Voi non dovreste curarvi, soltanto di preparare cittadini addomesticati, soldati agguerriti, famuli e accoliti rassegnati. Dovreste cooperare con la Chiesa di Cristo alla Metanoia ch’è la sola speranza che resti ormai agli uomini per guidarli a salvamento fuor da quest’inferno di fuoco e di sangue. Dovreste porre come principal fine del vostro potere, quel disbestiamento e disbarbarimento degli uomini, quella rivoltura e bonifica dell’anima, quella Metantropia, insomma, ch’è al disopra di tutte le politiche, di tutte le saggezze, di tutte le riforme, di tutti i sistemi e di tutti i regimi perché soltanto col mutamento dei cuori muteranno le sorti dei popoli e dei singoli. Soltanto con I’attuazione effettiva e piena di pochi versetti dell’Evangelo gli uomini potranno cancellare la maggior parte delle presenti sciagure, potranno cominciare una vita più sopportabile, più nobilmente umana perché più eroicamente divina. Non vi esibite alle genti soltanto in veste di gabellieri e di beccai, di spaventacchi e di feticci ma presentatevi piuttosto come educatori, rieducatori, riformatori, rinnovatori delle anime. Grandi strumenti avete fra le mani e grandi cose potreste ottenere da coloro che si modellano sui grandi. Siate alchimisti spirituali, coltivate la magìa bianca della sublimazione. Siate pastori di popoli ma non già per allupare gli agnelli e intigrire le pecore sì bene per ricondurre lupi e tigri a più mansueta convivenza. Volgete tutte le forze vostre, usate fin qui per l’anticipazione dell’Apocalisse, alla trasmutazione degli spiriti, alla gioia dei cuori, alla vittoria di Cristo. Voi sarete, alla fine di quest’impresa, messi in disparte come guardiani superflui: ma non siete forse anche voi infelici e prigionieri? Non sapete forse che i guardiaciurma son reclusi quanto gli ergastolani? Non chiedo, dunque, che siate vassalli della Chiesa ma vorrei che foste collaboratori del Vicario di Cristo perché Cristo liberi anche voi dal giogo e dal rimorso della potenza. Non dite che qui parla il mio sogno, ch’io vaneggio e farnetico per amore dell’impossibile. Non siete anche voi dei sognanti che sognate di regnare? Non fu spinto da un sogno, fino ai fiumi dell’India, il biondo cavalcator di Bucefalo? Non furono sogni, benché sogni degni d’esser veri, gl’imperi di Augusto e di Carlomagno? Non dileguarono come sogni all’apparir dell’alba gl’imperi di Gengis-khan e di Akbar? Non sapete voi che val meglio soffrire e morire per un sogno che vivere e impinguarsi nella mediocrità delittuosa? Ma Cristo non è un sogno. Noi abbiamo oggi la prova che l’umana saggezza precipita i popoli nel tartaro di tutte le pazzie. La pazzia dell’Evangelo ci farà liberi, cioè felici. Fra un secolo il mondo sarà cristiano o sarà distrutto. Anche voi, servi travestiti da monarchi, siete chiamati ad accettare la vostra mansione nell’opera della salvezza, cioè dell’universale Metanoia».
Giovanni Papini usa un altro termine, in realtà rarissimo nella lingua italiana, metrantopia, che deriva dal greco μετa, oltre, e ἄνθρoπoς, uomo, che solitamente si traduce come “superuomo”. Attenzione: per Papini metrantopia riguarda una sfera che va oltre quella umana, ma nel senso che eleva l’uomo al di là del proprio ego. Lui stesso specifica: «al disopra di tutte le politiche, di tutte le saggezze, di tutte le riforme, di tutti i sistemi e di tutti i regimi», e aggiunge: «perché soltanto col mutamento dei cuori muteranno le sorti dei popoli e dei singoli».
Per cui possiamo dire che per Papini metanoia e metantropia hanno lo stesso significato, e riguardano quel nuovo modo di vedere la realtà che dipende dall’intelletto che Aristotele chiamava “attivo”, quello, ripeto, illuminato dall’Alto.
Inutile girarci attorno alle parole, cercando alibi ipocriti o scappatoie in nome magari altri presunti nobili ideali.
Di ideali ce n’è uno solo: quel Divino che si genera e si ri-genera nel nostro grembo verginale, ovvero puro, sciolto da ogni legame carnale.
16 dicembre 2023
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2
Il prete che dice la messa a Cernusco ormai stabilmente è un eremita, mi è stato detto (comunque se ciò è esatto o no è facilmente verificabile).
Il Vescovo l’avrà obbligato a uscire dall’eremo e tornare nel mondo.
Tra l’altro in diverse occasioni celebra la messa delle 8 e poi quella delle 10:30. Due messe di fila con una breve pausa. Stessa predica ecc.
Magari mi sbaglio, ma a me questo non sembra tanto normale ma piuttosto una violenza del Vescovo verso un prete.
Verifichi se possibile e riferisca come stanno le cose e se questo prete è contento o lo fa perché l’hanno obbligato e non ha alternative.
Senza contare che il Vescovo ha anche rifiutato la sua offerta di celebrare qualche messa a Cernusco. Va detto per amore del vero che non tutti a Cernusco erano d’accordo, ma ciò non giustifica il comportamento demenziale del vescovo.
Per sapere se è un eremita, dovrei conoscerne il nome e cognome.
Vorrei astenermi dal giudicarlo, anche come predica, ognuno dà ciò che può, il problema è di fondo, e sta nei superiori
che risolvono le situazioni d’emergenza tappando i buchi, in realtà allargandoli.
E così le emergenze diventano “normalità”. Purtroppo!