17 maggio: SESTA DI PASQUA
At 4,8-14; 1Cor 2,12-16; Gv 14,25-29
Da codardi a testimoni
Leggendo i tre brani della Messa, appare subito chiara una cosa: si parla dello Spirito santo, o, meglio, lo Spirito santo entra in scena in modo predominante, anzitutto con la sua presenza vitale nei primi testimoni della risurrezione di Cristo, sì finalmente testimoni dopo quei terribili giorni in cui il loro Maestro era stato crocifisso, e proprio loro, i suoi discepoli, erano tutti fuggiti, tranne un gruppetto di donne, tra cui la fedelissima Maria di Magdala, che erano rimaste sul Calvario, ad assistere alla morte e alla deposizione del cadavere nel sepolcro, per poi essere le prime ad accorrere al sepolcro all’alba del giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana. E proprio alla Maddalena il Risorto le affiderà l’incarico di annunciare a tutti il grande Evento.
Poi sarà proprio lo Spirito del Risorto a cambiare gli apostoli da paurosi in coraggiosi, testimoniando il Vangelo, con franchezza, come dice il primo brano della Messa. La parola “franchezza” traduce il termine greco ”parresia”.
Carlo Maria Martini così spiega il significato di “parresia”: «La parola greca “parresia” indica, nel libro degli “Atti”, la capacità di testimoniare liberamente e coraggiosamente il messaggio cristiano anche in un mondo ostile. Nel mondo greco essa significava la libertà di parola che spettava nell’assemblea al cittadino che godeva dei pieni diritti civili, e di conseguenza il coraggio e la franchezza con cui tale privilegio poteva venire esercitato».
Faccio notare che il termine ”parresia” ricorre più volte nel libro “Atti degli apostoli”. Dico di più: il libro di Luca termina proprio con queste parole: l’apostolo Paolo, che era a Roma, «trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù con tutta franchezza e senza impedimento» (Atti 28,28). “Con tutta franchezza (in greco μετὰ πάσης παρρησίας) e senza impedimento (in greco ἀκωλύτως)”. Che finale!
Sento parlare con troppa facilità di “parresia”, come se fosse la prerogativa dell’uomo più evoluto, anche nel campo della fede. “Parresia” è parlare chiaro e con coraggio, soprattutto nei momenti particolarmente ostili: così ha scritto Martini. Non aggiungo altro.
Spirito del mondo… spirito di Dio
Nel secondo brano della Messa troviamo due espressioni, “lo spirito del mondo” e “lo Spirito di Dio” che meritano una particolare attenzione. Occorre subito chiarire che la parola “mondo” assume anche per San Paolo lo stesso significato che troviamo nel Vangelo di Giovanni. Mondo sta a indicare “l’insieme delle forze del male o del maligno”. Quindi, mondo non è da intendere in senso positivo, come l’insieme delle creature di Dio, ma in senso negativo, come la distruzione della realtà interiore del Creato. Perciò spirito del mondo significa quella energia negativa che è presente nel mondo del male, che si oppone allo Spirito santo, il quale vi contrappone la sua energia vitale.
Da chiarire anche un’altra espressione, quando san Paolo parla di “sapienza umana”, che è quella del mondo. Certo dire “sapienza” potrebbe sembrare una contraddizione, perché dire sapienza dovrebbe già far pensare alla realtà divina, che si riflette nell’intelletto interiore. Ma è l’aggettivo “umana” che dovrebbe chiarirci ciò che intende dire San Paolo. Quando diciamo umano noi pensiamo a qualcosa che riguarda il nostro essere di creature, ma può assumere anche il significato di qualcosa di terreno, di carnale. Usiamo, purtroppo, le parole senza capire il loro significato, e giochiamo spesso e volentieri sulla loro equivocità, nel senso che ogni parola può avere due o più significati, che tra loro si contrappongono, scegliendo quello che ci fa più comodo.
Dunque, San Paolo intende dire che la mentalità dell’uomo carnale si oppone alla mentalità dell’uomo spirituale. Anche qui la parola “uomo” va specificata: nel primo caso, è la carnalità dell’essere umano, nel secondo caso è la sua spiritualità.
Specifichiamo di più. Dire che la carnalità “pensa” è una assurdità. Neppure dovremmo parlare di “mentalità carnale”, che è una contraddizione. Certo che c’è qualcuno potente più degli altri che pensa e col pensiero inganna, ma la massa è solo carnalità che non pensa, ma esegue, obbedisce.
L’apostolo Paolo insiste: «Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito».
Dunque, afferma San Paolo, l’uomo carnale non comprende le cose dello Spirito di Dio, addirittura le ritiene “follia”. Notate: la “sapienza umana” ritiene follia il mondo dello Spirito. Ma in realtà chi è folle? Anche qui specifichiamo. C’è follia e follia. C’è la follia di Dio e la follia degli uomini. Dio è folle perché agisce al di fuori della nostra normalità di creature che vivono di cose scontate, ripetitive, non creative. La stoltezza sta nel vivere nella normalità di qualcosa che è chiusura al mondo del Divino.
Platone nel “Fedro” così scriveva: «Ci sono due forme di follia: una che nasce da malattia umana, un’altra che deriva da un divino mutamento delle abitudini consuete», distinguendo anche le varie forme di questa follia, “dono divino”, “da cui giungono all’uomo i più grandi doni”.
Nel mondo antico da un lato la follia è stata sempre esorcizzata, emarginata, ma dall’altro si è sempre intuito che in essa ci poteva essere una carica infinita di verità, di onestà, di “sapere”. Anche nel mondo cristiano il “folle” ha goduto sempre un profondo rispetto – non oppone forse anche Paolo la follia divina alla sapienza umana? – pur venendo rimosso come pericoloso per la normalità, per le “abitudini consuete”, ovvero per l’ordine sociale presente. Folle era Francesco d’Assisi; folle Marc Chaduc, il monaco francese, discepolo di Henri Le Saux in India, che abbandonò tutto per vivere come asceta itinerante e scomparve sull’Himalaya; folli le tante mistiche medievali con il loro terribile ascetismo. E, in altre religioni, non sono forse folli i sadhu indiani nel loro ascetismo altrettanto terribile, o i monaci buddisti che si bruciano vivi per protesta contro la sopraffazione politica e religiosa?
Una cosa va detta: noi credenti dovremmo essere, più dei non credenti, folli della follia divina, perché viviamo di quello spirito interiore a contatto con lo Spirito divino, che non ama le normalità carnali, ma le Sorprese, che sono le Novità sempre pronte ad aprire cieli nuovi e terre nuove.
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