VERSO UNA NUOVA COMUNITÀ CRISTIANA DI BASE: Al Dio ignoto/11

simone weil
di don Giorgio De Capitani
È vero che oggi facciamo enorme fatica a “pensare” (da intendere in tutto il suo significato più pieno, ben al di là di un puro concetto filosofico), distratti come siamo dallo stress esistenziale che noi stessi ci siamo creati, in balìa di desideri sempre più assurdi proprio perché eccessivamente pretenziosi per cose e cose che si consumano e ci consumano più le spremiamo, ma è anche vero che, se non rientriamo in fretta nel nostro spirito (o interiorità), saremo travolti dalla nostra materiale avidità insaziabile. Parlo naturalmente di un Occidente che ha perso ogni luce: già il nome occidente (là dove il sole tramonta) lo dice. D’altronde, sembra che ogni tentativo di restituire all’uomo la realtà dell’essere sia del tutto inutile: si è come in un circolo vizioso. Ma prima o poi dovremo pur romperlo. Siamo così maledettamente coseificati da aver scisso l’essere tra il divino e il nostro io più profondo, ovvero il nostro sé, creando tra loro un abisso.
So che è difficile in una simile società ridotta a frammenti di essere, tentare di rientrare in noi, e cogliere la realtà, ed è per questo che possiamo aggrapparci a pensatori che hanno tentato il grande distacco dalla materialità, per rientrare nel Sé divino. Magari non sarà facile comprendere immediatamente il loro pensiero, ma almeno cogliamone qualche flash.
Ultimamente vi ho proposto la figura di Simone Weil. Leggendo la sua biografia, e numerosi articoli su di lei, la prima domanda che mi sono posto è questa: come è riuscita a scrivere tutto ciò che ha scritto, un materiale enorme, nel breve tempo che ha vissuto su questa terra? Infatti è morta a 34 anni. Sembrerebbe impossibile. Inoltre, non va dimenticato che la Weil non ha speso la sua vita solo come pensatrice: oltre che filosofa e mistica, è stata insegnante e una grande attivista, spendendosi per gli altri, anche lavorando presso diverse fabbriche.
Ciò che inoltre mi ha lasciato sconcertato non è tanto il tempo ristretto a sua disposizione, ma l’aver intensificato i suoi impegni socio-politici e le sue ricerche nel campo della mistica, pur avendo una salute fragile, martoriata da continue emicranie e da una vita di rinunce e di sacrifici al limite della sopravvivenza.
Gli interessi di Simone Weil sono stati molteplici: possiamo dire che non le è sfuggito nulla della realtà, sia socio-politica che religiosa, interpretando il suo tempo anche alla luce del passato sia storico che filosofico, sia mitologico che religioso. Possiamo distinguere diverse fasi anche dal punto di vista cronologico, ma sarebbe un errore separare gli interessi così nettamente come se la realtà sociale si potesse distinguere da quella politica e da quella religiosa. Anche se è vero che Simone Weil mistica la troviamo verso la fine, ciò non significa che la ricerca del divino non fosse già presente prima, anche quando era assorbita da ben altre problematiche socio-politiche. Giustamente è stato scritto: “Non esiste una “prima Weil” e una “seconda Weil”, una “vergine rossa” e una mistica”.
Simone Weil non si è mai posta un limite: aveva una tale sete di Verità da sconcertare coloro che pensano che, una volta imboccata una strada che si ritiene giusta, non si debba mai cambiarla. La Verità va cercata, su tutte le strade possibili, e senza porre paletti di nessun genere, al di fuori di ogni schema o ideologia. Questa ricerca sempre in fieri pone il soggetto nella condizione di non sentirsi in colpa per il fatto che le convinzioni possano mutare. Noi occidentali abbiamo una concezione sbagliata di coerenza. Per noi essere coerenti significa non cambiare mai idea, come se l’idea fosse una cosa fissa, dimenticando che la ricerca, se è vera ricerca, si stacca da ogni tappa conquistata e cambia anche orientamento. La cosa peggiore è quando l’ideologia condiziona la nostra vita a tal punto da non mettere mai in dubbio possibili debolezze o deviazioni palesi e insopportabili. L’incoerenza sarebbe allora non tanto il venir meno alle proprie convinzioni precedenti, ma consisterebbe nell’insistere a sostenerle, quando la verità dovesse dimostrare che siamo fuori strada. Perché allora meravigliarsi se Simone Weil ha contestato duramente il militarismo e poi è andata in Spagna a combattere, sostenendo che ci sono momenti in cui il pacifismo è buono per chi non si sente immerso nella realtà tragica di situazioni talmente coinvolgenti da ridiscutere ogni principio? E perché scandalizzarsi se, da marxista qual era, ha poi duramente contestato le deviazioni orrende del socialismo sovietico? Ho sempre ammirato in una persona quella apertura che può anche far cambiare strada, pur di non tradire la sete di Verità. Questo non ha nulla a che fare con quella moda opportunistica, oggi così frequente, di cambiare casacca, solo perché far parte di quel partito o di quella credenza religiosa mi porta qualche vantaggio.
Ho già accennato, ma bisogna insistere su questo aspetto, che è fondamentale per capire Simone Weil. Sto parlando della sua a-sistematicità, che ancor è più che dire non-sistematicità o contro la sistematicità. È nella natura stessa della Verità che non si debba ingabbiarla in qualche sistema o struttura. La Verità conosce solo una parola: libertà da e libertà per. Libertà da ogni condizionamento strutturale, e libertà per la massima apertura al divino che è nell’essere umano. Proprio per questo, Simone Weil non ha mai voluto appartenere ad alcun partito politico o intellettuale. Odiava ogni ideologia. Se ha scritto moltissimo in moltissimi modi (si potrebbe definirla poligrafa), questo suo scrivere senza risparmio è indice della consapevole incompletezza del suo pensiero, della sua cosciente e voluta non-sistematicità.
Ci sono termini negli scritti di Simone Weil che sono fondamentali per capire il suo pensiero. Ne cito alcuni: pesanteur, forza, malheur, grazia, impersonalità, necessità, libertà, de-creazione, distacco, divino. Ci vorrebbe un articolo per dire anche solo qualcosa su ognuna di queste parole. Ero tentato di farlo, ma poi ho avuto paura: paura di non rendere bene un pensiero tanto profondo quanto complesso.
Una cosa però devo riconoscere: ogni accostamento a questi grandi pensatori, “liberi” di dentro e capaci di grandi scelte, mi è servito e mi servirà a convincermi che è veramente un delitto per la cultura e per la stessa fede chiudersi tra le quattro mura di una ideologia filosofica, politica o religiosa che non permette di volare alto, di cercare sempre, di rischiare anche di sbattere contro terra, come un uccello stanco di sfidare il cielo.
Ecco perché non si può parlare di una nuova comunità di base e poi restare ancora ai soliti problemi di carattere solo pastorale o a qualche apertura di tipo dogmatico o moralistico. Ci vuole ben altro, per fondare una nuova Comunità di base. Il punto di partenza è una nuova Idea del Divino e dell’essere umano. È chiaro che non si può restare nel campo puramente mistico, e che bisogna agire nel contesto storico, sapendo di avere a che fare con la gente comune. La Comunità di base non è una élite, e tanto meno una comunità di spiriti privilegiati. Educare la gente comune a elevarsi al di sopra di una struttura che la blocca nella sua maturità di fede, è rischioso, ma entusiasmante. Bisogna tentare. Bisogna osare di più. Bisogna insistere. Bisogna puntare al meglio. E il meglio sta lì: in una nuova visione del Divino in noi. Bisogna pur, prima o poi, rimettere in discussione tutto l’apparato ecclesiastico, anche quello sacramentario, anche quello dottrinale, anche quello etico. Come vedremo.
(continua/11)

 

2 Commenti

  1. GIANNI ha detto:

    E’ sempre difficile, se non impossibile, ricondurre l’opera ed il pensiero di autori variegati ed articolati, come la Weil, a categorie interpretative precostituite.
    Queste sono una sorta di semplificazione interpretativa, come quando si parla di romanticismo, illuminismo, ecc.
    Penso che, come mistica, e se vogliamo, come pensatrice metafisica, il suo pensiero più ricorrente sia quello del conflitto tra perfezione divina ed oppressione umana.
    Ma, a prescindere da questo o quel pensatore, credo vi sia in generale un contrasto tra la libera ricerca e le ideologie, siano esse politiche, religiose, o di altro tipo.
    La libera ricerca richiede di non avere paletti, di poter cambiare idea quando si ritiene che la realtà sia diversa da come la abbiamo vista sino a ieri.
    L’ideologia, invece, si muove secondo precisi paletti e non consente molta libertà critica.
    Anche per questo, pensare alla comunità come gruppo di persone che condividono certi principi, ha in sè qualcosa che richiama la condivisione di ideologie, a meno che non si tratti di gruppi di liberi pensatori, di persone che si confrontano, senza obbligare nessuno a condividere questo o quel principio.

  2. Giuseppe ha detto:

    L’essere umano cresce e si evolve, non può essere altrimenti. Siamo immersi in un creato che è in continua evoluzione, e quindi perché mai noi non dovremmo cambiare? Sbaglia chi sostiene che la creazione si sia compiuta con la settimana fatidica che ci raccontano i testi sacri, se fosse così perché ci sono ancora creature che nascono e si riproducono e a un certo punto cessano di vivere? Il ciclo vitale riprende ogni volta che un fiore, un filo d’erba, un animale, un essere umano viene alla luce: tutti contributi alla creazione del mondo. È logico pensare perciò che la stessa cosa succede alla mente, che se restasse inattiva o ferma su convinzioni e idee di un certo periodo della nostra vita, non avrebbe alcuna ragione di esistere. Trovo azzeccatissima questa concezione della coerenza, così diversa dal significato che comunemente gli viene dato. A parte l’esempio sublime e ineguagliabile di Simone Weil, chiunque ha saputo vivere pienamente la propria vita terrena, lasciando una traccia significativa del suo passaggio, ha anche saputo cogliere i segni del cambiamento modificando, se necessario, il modo di vedere le cose e agendo di conseguenza, pur rimanendo fedele a sé stesso. Se così non fosse stato, gran parte di coloro che veneriamo come santi, non sarebbero mai stati considerati tali. Basti pensare a San Francesco, Sant’Agostino o San Paolo, tanto per citare figure che fanno parte del nostro microcosmo cattolico, per noi più familiare. Ma chissà quanti altri ancora ci saranno stati (e ci sono), di cui non conosciamo nulla, solo perché lontani dalla nostra cultura e dalla nostra società, notoriamente autoreferenziali.

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