dal Corriere della sera
18 marzo 2024
Banche: 28 miliardi di utili.
Chi si spartisce il malloppo e il peso sulle famiglie
di Milena Gabanelli
I numeri arrivano dai comunicati delle principali banche italiane quotate: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Mps, Mediobanca, Popolare di Sondrio e Credem hanno registrato nel corso del 2023 utili per 23 mld che salgono a circa 28 mld se si aggiungono i 1,85 mld di Iccrea e i 0,55 mld di Cassa Centrale Banca, i 1,3 mld della controllata bancaria italiana del Crédit Agricole e i 0,93 mld della Bnl, controllata bancaria italiana del gruppo Paribas. Un boom di utili con un valore ben superiore (+ 87%) al già significativo risultato di 15 mld conseguito nel 2022. Visto l’impatto che questo settore ha sulla vita di tantissimi privati e imprese, con l’aiuto di Arturo Capasso (professore di Corporate Finance alla Luiss) e dell’ex dirigente bancario Francesco Tuccari, proviamo a capire come si è formato questo enorme profitto e chi sono i reali beneficiari.
Dove guadagnano le banche
Le banche guadagnano principalmente attraverso tre diverse attività. La prima è quella di intermediazione di denaro: riconoscono un interesse fisso a chi deposita soldi (interessi passivi) e fanno pagare a chi chiede prestiti un tasso base di riferimento (l’Euribor per i finanziamenti a tasso variabile e l’Irs per quelli a tasso fisso) a cui aggiungono un «sovraprezzo» che varia in misura direttamente proporzionale alla «rischiosità» dei soggetti finanziati (questi si chiamano interessi attivi). La differenza fra gli uni e gli altri è il «margine d’interesse». La seconda attività riguarda le commissioni che incassano ogni qualvolta effettuano per conto del cliente il pagamento di una utenza, l’incasso di un assegno, dispongono un bonifico, spediscono l’estratto conto, sul prelievo di contante col bancomat, sulla gestione del conto corrente e sulla vendita dei prodotti finanziari (sui quali si fanno pagare i costi più alti d’Europa approfittando dell’ignoranza dei clienti). La terza attività sono gli investimenti finanziari, dai quali le banche possono conseguire un utile o una perdita («Proventi finanziari»). Mentre nel biennio 2020 -2021 il peso delle commissioni e dei proventi finanziari costituiva il 56% del totale dei ricavi, nel 2022-2023 è il «margine di interesse» a raggiungere la componente di maggior valore: quasi il 60%.
Cosa è successo?
Dalla sua costituzione la Bce ha posto fra i suoi obiettivi un livello di inflazione al 2%, considerato come il migliore per assicurare una crescita economica stimolante ma non drogata dall’andamento dei prezzi. A inizio 2022, dopo due anni di pandemia e a seguito dell’invasione dell’Ucraina con i rincari dell’energia, i prezzi sono esplosi. Per contenerli, nel mese di luglio del 2022, la Bce ha innalzato il tasso di riferimento e, con 10 interventi successivi, lo ha portato nell’arco di soli 14 mesi dallo 0,5% al 4,50%. Il sistema bancario italiano ha applicato immediatamente questi rialzi, ma rivedendo solo i tassi applicati sui finanziamenti passati, fra il 2022 e il 2023, dal 2,13% al 4,76%. Gli interessi invece riconosciuti ai depositanti sono rimasti pressoché fermi fra lo 0,20 e lo 0,53%. Dai dati Abi solo nell’ultimo trimestre 2023 si è arrivati all’1,16%, si tratta però di una media ponderata che include anche gli interessi sui depositi vincolati e sulle obbligazioni bancarie. Va detto che ancora oggi molte grandi banche applicano sui deposti a vista lo 0,01%. Eppure il comma 4 dell’art 118 della Legge bancaria dice espressamente: «Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente». La vigilanza non ha battuto ciglio. Forse perché il sistema bancario deve fronteggiare maggiori costi di funzionamento, e le esposizioni verso clienti che non sono in grado di rimborsare i loro debiti? I dati dimostrano che sia i primi che i secondi sono in calo.
Riduzione di sportelli e personale
Partiamo dai costi operativi: fra il 2013 e il 2023 le banche hanno ridotto del 37% il numero dei loro sportelli e di circa il 20% il numero dei loro dipendenti, passati da 310 mila a 261 mila. Solo negli ultimi due anni è stata registrata la chiusura di oltre 1.500 filiali: una media di due al giorno, con la conseguente contrazione degli organici. 50 mila impiegati mandati a casa in dieci anni. Secondo una stima delle Organizzazioni sindacali di settore, per il 2027 si prevede una riduzione di personale tra le 12 mila e le 14 mila unità. Tradotto in termini di impatto sulla popolazione: ben 4,4 milioni di persone (il 7,5%) risiedono in comuni in cui non possono accedere fisicamente ai servizi bancari. Alla chiusura delle filiali fisiche e alla riduzione del personale non ha poi corrisposto la crescita dell’internet banking, in Italia utilizzato dal 51,5% della popolazione contro una media europea dl 64%. Per quel che riguarda i costi sofferti dalla industria bancaria, i cosiddetti crediti problematici sul totale dei crediti bancari, l’Npl Ratio lordo delle banche italiane nel 2023 è sceso al 3,1%, un livello di gran lunga inferiore alla soglia di sicurezza del 5% definita dall’Eba (l’Autorità di vigilanza bancaria europea). Ciò è avvenuto anche grazie alla cessione ai Fondi specializzati di circa 280 miliardi di crediti deteriorati. Tornando invece all’enorme incremento dei proventi, quale impatto ha avuto sulle famiglie?
Il peso sui mutui delle famiglie
In Italia a fine 2023, sulla base di dati elaborati da Bankitalia, circa 2,8 milioni di famiglie risultavano avere in essere un mutuo per acquisto casa a tasso fisso, mentre circa 1,6 milioni a tasso variabile. Secondo la stessa elaborazione, nel 2021 – ultimo anno per il quale si dispone di dati a livello territoriale – i mutui pesano sul reddito disponibile per circa il 32%. Il governatore della Banca d’Italia, in un suo recente intervento (Assiom Forex del 10 febbraio 2024), ha ricordato che nell’ultimo biennio l’aumento dei tassi applicati sui mutui a tasso variabile ha determinato una crescita della rata mensile del 50%, passata mediamente da 500 a 750 euro. Se si considera che nel nostro Paese lo stipendio netto medio di un dipendente oscilla fra i 1.400 ed i 1.600 euro (Istat 2023), il solo aumento della rata pesa per un ulteriore 17% sul reddito disponile, già eroso da un’inflazione all’8,1% nel 2022 e al 5,7% nel 2023. Un’altra conseguenza dell’innalzamento dei tassi dei finanziamenti è un calo del 9,8% nell’ultimo anno nell‘erogazione di nuovi mutui alle famiglie per l’acquisto della casa. Non a caso le compravendite di immobili su base annua si è ridotta del 16% (rilevazione Istat).
La tassa sugli extra-profitti
Lo straordinario incremento degli utili delle banche, dunque, non è dovuto a una crescita della loro efficienza e, per questo, è stato definito «extraprofitto». Il governo lo scorso agosto ha annunciato l’applicazione di una imposta straordinaria del 40% su quella parte del «margine di interesse» che va oltre il 10% in più della stessa voce relativa all’esercizio 2021. L’incasso previsto per le casse dello Stato era stimato in circa 3/4 miliardi, da destinare a misure di sostegno per i mutui delle famiglie in difficoltà, al rifinanziamento del fondo mutui prima casa giovani a tasso variabile e a un contributo per la riduzione delle tasse per famiglie e imprese. Le banche sono insorte e, in sede di approvazione definitiva della legge di Bilancio 2024, il governo ha concesso un’alternativa: se non volete dare questi soldi allo Stato potete metterli nella vostra cassaforte per rafforzare il patrimonio per un ammontare pari fino a 2,5 volte il prelievo calcolato. Le banche hanno aderito in massa. Va detto che oggi presentano livelli di patrimonializzazione ampiamente al di sopra dei requisiti minimi di vigilanza richiesti dal regolatore europeo.
Chi si spartisce il malloppo
Tirando le somme: i debitori hanno visto innalzare il costo del loro debito, i depositanti non hanno visto crescere i loro interessi se non nell’ultimo trimestre, in misura minima e solo su insistenza del cliente. I reali beneficiari della maggiore redditività delle banche sono gli azionisti che si divideranno il 60% di quei 28 miliardi, ovvero i grandi fondi d’investimento internazionali: BlackRock, Vanguard, Capital Group, Dimensional Fund Advisors, ma anche Allianz, Crédit Agricole, JP Morgan ecc. Dividendi accresciuti anche da una maggiore valorizzazione dei titoli azionali posseduti, visto che quasi tutte le maggiori banche hanno fatto grandi acquisti di azioni proprie, aumentandone pertanto il valore, che viene trasferito dagli stakeholder agli shareholder, con buona pace di tutte le teorie di «responsabilità sociale d’impresa». L’attività bancaria, va precisato, non è un’attività come le altre e per questo ha un trattamento particolare: quando si configurano danni collettivi interviene lo Stato. Infatti la collettività è andata in soccorso di Montepaschi, Veneto Banca, Popolare di Vicenza e di tutte le altre finite in liquidazione. Ora che il sistema bancario vive un periodo di vacche grasse, con il benestare dello Stato, alla collettività restituisce nulla.
dataroom@corriere.it
Forse ci si dovrebbe chiedere come mai il ricorso agli strozzini continua a prosperare. Da ex dipendente di un istituto di credito, ho sempre cercato di mettermi, per quanto possibile, dalla parte dei clienti che per le banche non hanno quasi mai ragione…