Martini: «Ragazzi niente paura, nella vita rischiate e sposatevi»

da Il Corriere della Sera
Libro «I verbi di Dio»
Milano, 16 marzo 2017

Martini:

«Ragazzi niente paura,

nella vita rischiate e sposatevi»

«Penso alla morte e a volte mi dico: andrò a salutare Mozart e Bach, e poi cosa farò? Mi annoierò…! Devo avere piena fiducia in Dio»
di Marco Garzonio
È l’ultimo testo inedito di Martini da Gerusalemme il volume di cui anticipiamo qui alcuni stralci. «I verbi di Dio» raccoglie gli esercizi spirituali che nel 2007 il Cardinale tenne ad un gruppo di sacerdoti milanesi anziani. Lui aveva compiuto 80 anni e loro erano stati ordinati preti 45 anni prima; l’età dei protagonisti, il clima della Città Santa, l’argomento scelto son tutti dati che contribuiscono a rendere il libro un prezioso breviario esistenziale. Martini era uno dei pochi che poteva permettersi di parlare dei «sogni di Dio». Dopo di lui lo sta facendo papa Francesco. Entrambi hanno per riferimento la progettualità del Creatore («Dio vuole un mondo abitabile, ordinato, vivibile») e la responsabilità dell’uomo («Noi distruggiamo la natura senza pensare che Dio vuole che questo mondo possa essere abitato ancora per lungo tempo», dice Martini anticipando l’«ecologista» Francesco). Entrambi indicano le «prospettive rivoluzionarie», espressione ancora martiniana, del Vangelo che «rovesciano il modo corrente della gente di applaudire il più forte, il più potente, chi ha più denaro». Entrambi compiono un’apertura di credito sui giovani. «Dio rischia per noi», ammonisce Martini per stimolare un sussulto, uno slancio, una speranza. Francesco ha raccomandato di «non guardare la vita dal balcone». In pagine di dieci anni fa trovi l’oggi, il futuro, il non ancora che tu sei chiamato a realizzare.
«I verbi di Dio», il libro del Cardinale
«Dio si sporge, perde l’equilibrio, si compromette, si mette dalla nostra parte, però anche noi siamo chiamati a sporgerci. La vita umana è rischio. Ricordo i ragazzi che partecipavano all’itinerario vocazionale nel Gruppo Samuele: ragazzi bravissimi, aperti a 360 gradi alla volontà di Dio, eppure raramente si decidevano per una scelta definitiva, perché pretendevano la sicurezza che fosse la scelta giusta. Dicevo loro che chi non rischia mai di scegliere, va avanti facendo esperienze di volontariato, una volta in America Latina, un’altra in Africa… e non conclude nulla. Perché la vita bisogna rischiarla definitivamente: è il rischio del matrimonio, è il rischio della vita consacrata, della vita presbiterale
Dio rischia per noi, per insegnarci a rischiare per lui. Come dice Gesù: chi non perde la propria vita non la troverà, chi guadagna la propria vita la perderà per la vita eterna (cfr. Mt 10,39 e paralleli). Bisogna saper far gettito della propria vita per trovarla. C’è una profonda verità evangelica in questo appello alla speranza. Anche la nostra vita è uno sporgersi, è un rischiare, un andare oltre il limite. Chi vuole restare sempre nel limite sicuro non esce mai da se stesso, non dà fiducia a un altro, e quindi non si sposa, non fa una scelta, è come il chicco di frumento che non muore e rimane solo (cfr. Gv 12,24).
Il dominio di sé
Oggi fra ragazzi e ragazze ci si permettono libertà che al nostro tempo sarebbero sembrate peccaminose e scandalose. Su questo punto i giovani non ascoltano molto. E allora cosa fare? Come aiutare? Come mettere ordine, senza nello stesso tempo terrorizzare oppure fare dei proclami inutili, come le «grida» del Manzoni? È un problema molto serio su cui dovremmo interrogarci di più e sapere trattare più da vicino con la mentalità dei giovani.
(…) E quindi è importante insistere almeno su alcuni punti di fondo e più gravi, come il rispetto per la famiglia, per la vita, per la dignità dell’altro. Credo che si dovrebbe favorire molto la maturazione in quella che san Paolo chiama la capacità del dominio di sé, una virtù che sono convinto dovrebbe crescere. Naturalmente senza proclami terroristici. Nella nostra giovinezza ci dicevano che nel campo della castità non esiste peccato veniale, ma tutto è peccato mortale, e con questo ci spaventavano e ci mettevano in allerta. È stato anche propizio essere educati così, però non corrisponde alla dottrina sana. È invece importantissima un’educazione al dominio di sé, alla capacità di tenere in mano i propri sentimenti, di tenere in mano non solo la propria sessualità, ma anche la sensualità. Magari con strumenti anche semplici. (…) Non so se è sufficiente, però fa capire che fra il tutto e il niente c’è qualcosa che si può ottenere, e forse così le persone si educano progressivamente a vedere anche come è bello dominare se stessi e avere una certa pace interiore.
La forza della speranza
Quello della speranza è un forte stimolo per la nostra esistenza. Non siamo chiamati a sperare solo perché c’è la morte, ma siamo chiamati a vivere di speranza. Paolo ha a questo proposito dei tratti bellissimi. Possiamo leggere, per esempio, Romani 4,18-25: parole chiarissime che indicano cosa rappresentassero la fede e la speranza per Abramo, e cosa siano per noi. L’applicazione più precisa al cristiano è fatta nella stessa lettera ai Romani al cap. 8: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”… Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza» (vv. 15.24-25). La vita del cristiano è vita di speranza di ciò che non si vede, e quindi di fiducia in Dio che, avendo promesso, manterrà. E non c’è scampo da questo; anzi, lo si vive con fiducia di figlio e quindi con gioia.
Il senso della morte
Durante la vita mi sono spesso lamentato con il Signore: tu che hai provato la durezza della morte, perché non ci hai liberato da questa necessità? Bastava la tua morte, e concedere così a noi di essere sciolti dal dovere di morire. E poi, a poco a poco, ho capito che, effettivamente, se non ci fosse la morte non saremmo mai costretti a fare un atto di pieno abbandono a Dio; avremmo sempre un’uscita di sicurezza, una garanzia. Invece la morte è affidarsi a Dio ciecamente, andando là dove egli ci porterà, senza sapere bene dove. Perché noi ignoriamo quasi tutto di ciò che ci attende. È vero che Paolo scrive che «Le sofferenze di questo mondo non sono paragonabili alla gloria che sarà rivelata in noi» (cfr. Rom 8,18), però non sappiamo niente di questa gloria. A volte mi dico: andrò un po’ a salutare Mozart, andrò a salutare Bach, e poi cosa farò? Mi annoierò…! Devo dare fiducia a Dio che la vita che verrà è veramente la gloria. E questo è necessario, non possiamo sfuggire, grazie a Dio. Altrimenti continueremmo a rimandare, ad aspettare».

 

3 Commenti

  1. dioamore ha detto:

    Non condivido il pensiero di Martini in merito al matrimonio espresso in questo articolo di Marco Garzonio perché a mio avviso è ambiguo e pericoloso.

    La vita matrimoniale può essere vista, al contrario, anche come un modo per “sistemarsi”, per mettere in salvo, per guadagnare la propria vita, così come la vita presbiterale era vista in alcuni casi, soprattutto nel passato, come un modo per sistemarsi e avere un lavoro, per non restare disoccupati.

    La vita non è nemmeno un “gratta e vinci”, un azzardo alle slot machine o al casinò online.

    Perdere la propria vita non vuol dire necessariamente sposarsi o farsi prete. Quelle sono solo alcune opzioni della vita, come lo è il “gratta e vinci” o l’iscrizione all’università. Che senso ha sposarsi o farsi prete o laurearsi se poi non si fa della Verità la ragione della propria vita?

    Martini è un “angelo del cielo”, ma qui sembra che prima di morire abbia dimenticato che dopo la morte c’è la risurrezione e che nella risurrezione non ci si marita e non ci si ammoglia e nemmeno ci si fa preti, o ci si laurea, ma si vive appunto come “angeli del cielo”, dove il cielo è la cattedra più autorevole.

  2. Giuseppe ha detto:

    C’è n proverbio che dice “chi non risica non rosica”: ovvero chi non rischia non riuscirà mai a progredire. E un po’ come nella parabola dei Talenti, il padrone loda chi si è dato da fare per far fruttare le poche o tante monete ricevute, mentre rimprovera chi le ha nascoste per timore di perderle e delle eventuali punizioni a cui per questo sarebbe andato incontro. Che la vita sia un rischio non ci vuole molto a capirlo, anche perché la sua imprevedibilità ci coglie sempre di sorpresa e, il più delle volte, vanifica o comunque ci costringe a cambiare i nostri programmi e le nostre aspettative. Viviamo in un’epoca, invece, in cui la mentalità dominante vede il rischio nella trasgressione, nella droga o nelle altre dipendenze, nei cosiddetti “sport estremi” (che spesso non hanno nulla a vedere con lo sport vero e proprio) che mettono a repentaglio la nostra incolumità, per via della scarica di adrenalina che provoca, facendoci sentire dei superuomini. Mentre, al contrario, il vero rischio è quello dell’altruismo, del volontariato, dell’assistenza ai più deboli e agli indifesi, che trovandosi nel bisogno non sono in grado di far sentire il loro grido di sofferenza e, senza queste cure, non riuscirebbero mai a tirare avanti.

  3. GIANNI ha detto:

    In effetti, avrebbe senso la vita senza la morte?
    Se intendiamo la morte come fine di tutto, probabilmente sì, ma se la intendiamo come varco per l’inizio della nostra personale esperienza metafisica, allora è evidente il senso di un tempo prima del tempo, di un varco che porti alla verità definitiva, verso ciò che realmente è al di là della pura apparenza materiale.
    Ed in tale ottica, ognuno attende il proprio destino, la propria personale fine del mondo, ma per aprirsi ad una realtà ultima, in cui, forse, capiremo tutto il significato che ci è riservato.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*