Don Scott Holmer, parroco del Maryland, confessa per le strade – foto tratta da Facebook
Che nel passato i bravi cristiani credessero alle Indulgenze, non sto qui a giudicare la loro buona fede. Ma ciò che veramente è allucinante è credere ancora nelle indulgenze. Tutti sanno, anche le pietre, che sono state una invenzione della Chiesa. Dietro non c’è alcun fondamento teologico!
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da AVVENIRE
20 marzo 2020
Coronavirus.
Indulgenza plenaria per i fedeli malati:
il Vaticano chiarisce le norme
Gianni Cardinale
Un Decreto della Penitenzieria stabilisce le regole per l’indulgenza per i malati e per chi li assiste. E una Nota spiega come impartire l’assoluzione collettiva in questo momento di “grave necessità”
Indulgenza plenaria ai fedeli malati di coronavirus, nonché agli operatori sanitari, ai familiari e a tutti coloro che a qualsivoglia titolo, anche con la preghiera, si prendono cura di essi. Lo stabilisce un Decreto della Penitenzieria apostolica pubblicato oggi e firmato dal cardinale penitenziere Mauro Piacenza e dal reggente, monsignor Krzysztof Nykiel.
Con una nota che accompagna il Decreto, la Penitenzieria inoltre stabilisce che nell’attuale contingenza, per “la gravità delle attuali circostanze” e “soprattutto nei luoghi maggiormente interessati dal contagio pandemico e fino a quando il fenomeno non rientrerà”, ricorre la possibilità di impartire “l’assoluzione collettiva”, cioè “a più fedeli insieme”, “senza la previa confessione individuale”. Fermo restando che deve essere il vescovo diocesano a specificare l’applicazione di questa modalità straordinaria di celebrare il sacramento della penitenza che è possibile utilizzare in caso di “imminente pericolo di morte” oppure, appunto, “per grave necessità”.
Nel Decreto si concede l’Indulgenza plenaria “ai fedeli affetti da coronavirus, sottoposti a regime di quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria negli ospedali o nelle proprie abitazioni se, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, si uniranno spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa, alla recita del Santo Rosario, alla pia pratica della Via Crucis o ad altre forme di devozione, o se almeno reciteranno il Credo, il Padre Nostro e una pia invocazione alla Beata Vergine Maria, offrendo questa prova in spirito di fede in Dio e di carità verso i fratelli, con la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile”.
Alle stesse condizioni l’Indulgenza plenaria potrà essere ottenuta anche dagli operatori sanitari, dai familiari e da quanti, esponendosi al rischio di contagio, assistono i malati di Coronavirus.
La Penitenzieria Apostolica, inoltre, concede alle medesime condizioni l’Indulgenza plenaria in occasione dell’attuale epidemia mondiale, “anche a quei fedeli che offrano la visita al Santissimo Sacramento, o l’adorazione eucaristica, o la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Santo Rosario, o il pio esercizio della Via Crucis, o la recita della Coroncina della Divina Misericordia, per implorare da Dio Onnipotente la cessazione dell’epidemia, il sollievo per coloro che ne sono afflitti e la salvezza eterna di quanti il Signore ha chiamato a sé”.
L’Indulgenza plenaria infine, stabilisce il Decreto, può essere ottenuta anche dal fedele che in punto di morte si trovasse nell’impossibilità di ricevere il sacramento dell’Unzione degli infermi e del Viatico, “purché sia debitamente disposto e abbia recitato abitualmente nella vita qualche preghiera”. In questo caso “è raccomandabile l’uso del crocifisso o della croce”.
Per quanto riguarda l’assoluzione collettiva – spiega la Nota della Penitenzieria – nel caso vi fosse “la necessità improvvisa” di impartirla “il sacerdote è tenuto a preavvertire, entro i limiti del possibile, il vescovo diocesano o, se non potesse, ad informarlo quanto prima”. Spetta comunque al vescovo diocesano “determinare, nel territorio della propria circoscrizione ecclesiastica e relativamente al livello di contagio pandemico, i casi di grave necessità nei quali sia lecito impartire l’assoluzione collettiva: ad esempio all’ingresso dei reparti ospedalieri, ove si trovino ricoverati i fedeli contagiati in pericolo di morte, adoperando nei limiti del possibile e con le opportune precauzioni i mezzi di amplificazione della voce, perché l’assoluzione sia udita”.
La Nota poi sottolinea che nella presente “emergenza pandemica”, spetta sempre al vescovo diocesano “indicare a sacerdoti e penitenti le prudenti attenzioni da adottare nella celebrazione individuale della riconciliazione sacramentale, quali la celebrazione in luogo areato esterno al confessionale, l’adozione di una distanza conveniente, il ricorso a mascherine protettive, ferma restando l’assoluta attenzione alla salvaguardia del sigillo sacramentale ed alla necessaria discrezione”.
La Penitenzieria suggerisce inoltre di valutare “la necessità e l’opportunità di costituire, laddove necessario, in accordo con le autorità sanitarie, gruppi di ‘cappellani ospedalieri straordinari’, anche su base volontaria e nel rispetto delle norme di tutela dal contagio, per garantire la necessaria assistenza spirituale ai malati e ai morenti”.
Laddove infine “i singoli fedeli si trovassero nella dolorosa impossibilità di ricevere l’assoluzione sacramentale, si ricorda che la contrizione perfetta, proveniente dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, espressa da una sincera richiesta di perdono (quella che al momento il penitente è in grado di esprimere) e accompagnata dal votum confessionis, vale a dire dalla ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale, ottiene il perdono dei peccati, anche mortali”, come indicato dal Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1452)”.
A questa precisa disposizione del Catechismo ha fatto riferimento Papa Francesco nella Messa mattutina a Santa Marta.
“È molto chiaro: se tu non trovi un sacerdote per confessarti – ha spiegato il Pontefice – parla con Dio, è tuo Padre, e digli la verità: ‘Signore ho combinato questo, questo, questo… Scusami’, e chiedigli perdono con tutto il cuore, con l’Atto di Dolore e promettigli: ‘Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso’. E subito, tornerai alla grazia di Dio. Tu stesso puoi avvicinarti, come ci insegna il Catechismo, al perdono di Dio senza avere alla mano un sacerdote. Pensate voi: è il momento! E questo è il momento giusto, il momento opportuno. Un Atto di Dolore ben fatto, e così la nostra anima diventerà bianca come la neve”.
Ennesimo esempio di carnalità del popolo cristiano che oserei dei è anche ignorante in termini di Fede.
Oggi l’arcivescovo Mario ha benedetto col Santissimo Sacramento i locali del policlinico e le salme.
Condivido il gesto ma ho qualche dubbio sul servizio fotografico stile “novella 2000” che ha accompagnato il bel gesto. Rimango della mia idea che ha poco senso questo comportamento.
Ma ancora peggio è la reazione dei “fans”. Grazie vescovo Mario, che bell’esempio, grazie e mille elogi adoranti.
Cioè non vorrei dire ma il vescovo Mario è il servo: il grazie dobbiamo sempre rivolgerlo a Dio. Il vescovo Mario pur col suo impegno non può salvare o benedire nessuno. La benedizione è quella di Dio; è Dio che volge il suo sguardo misericordioso verso i nostri ammalati; che accoglie i nostri defunti.
Capre inginocchiatevi e adorate Dio. Smettetela di adorare idoli carnali che non possono salvare.
Questo comportamento è come il vitello grasso. Dio non lo vedete allora adoriamo il sacerdote. Il sacerdote è servo …
Don Giorgio son settimane che scrivo che questi (la chiesa) sta tirando fuori ogni giorno temi diversi per la paura di finire nel dimenticatoio.
Una serie infinita di gesti INUTILI che non servono a niente. Prima il discorso delle campane, poi a S. Giuseppe la giusta idea di una preghiera comune ma col drappo fuori da casa e la candela. Adesso lo stato social con la candela per la vicinanza ai medici.
Don lei parla di carnalità ma qui è ben peggio. Siamo una massa di protagonisti che pensa di essere a posto con la coscienza mettendo un lumino sul balcone. Pensiamo che non mettendolo il Padre Eterno si arrabbia per poi finire per farci ammalare anche a noi. Questa è scaramanzia, cartomanzia…non di tratta di Fede.
C’è anche una questione di dignità….in questi giorni il discorso della montagna che la liturgia ci propone ci ricorda i veri valori della Fede. In umiltà dico: siamo lontanissimi!
Vuoi ringraziare i medici…chiama il tuo medico di base e ringrazialo come rappresentante della categoria. Un ringraziamento vero, personale. Non una foto sui social così che tutti possano dire: “che bravo si ricorda dei medici”.
Vuoi pregare S. Giuseppe: fallo! Che bisogno c’è di un segno fuori dal balcone per far vedere a tutti che stai pregando per gli altri? Ma sai quante volte la gente prega per amici o conoscenti e non rompe le scatole a nessuno! Il Vangelo dice questo….di pregare al buio della tua camera. Dio che vede nel segreto, nel segreto ti ricompenserà.
E poi la questione delle indulgenze; non so.
C’è la paura di perdere qualcosa che realmente si è già perso. La paura di non riuscire a dare il giusto supporto in questa fase critica. Purtroppo lo si sta dando con troppe banalità.
Il ruolo sociale della Chiesa oggi è l’invito ad anziani e altri a STARE IN CASA. E’ passare il concetto che non andare in Chiesa oggi è un gesto di amore verso tutti.
E’ far capire alla gente che Dio è presente in ciascuno di noi e lì dobbiamo ritrovarlo.
Questi sono i concetti: non suonare le campane o mettere lumini sui balconi.
Ritroviamo il rapporto con Dio e viviamo con serietà la nostra fede.
Non è il luogo del protagonismo o dello spettacolo. Solo chi sa mettere da parte il proprio IO, spesso così ingombrante, riesce ad incontrare Dio e trovare pace.
Io volevo solo dire questo, senza giudicare nessuno. Qualcuno però deve guidare questo gregge e deve farlo alla luce del Vangelo. Se oggi il Vangelo non conta più e conta l’essere protagonisti, ben in vista e rispettare tutta la materialità proposta, allora lo si dica chiaramente. Un tempo la Chiesa sapeva piangere e stare in silenzio a 6000 morti. Oggi parla di campane, candele e tutto il resto. Questo mi addolora.
Hai perfettamente ragione!
Don, lei sa che la ragione è una piccola consolazione. Cosa me ne faccio?
Io sento il peso, la tristezza di questa situazione.
Mi sento estraneo e impotente davanti a certe logiche.
Mi piacerebbe poter vivere un’esperienza di Fede comunitaria … ma qui ogni giorno mi rode il fegato a vedere questa mondanità e materialismo. Non ho 80 anni, ne ho 36 e la Fede è una perla preziosa. Non accetto di vederla banalizzata da questi gesti e comportamenti. Mi pesa dover dire certe cose, dover ogni giorno criticare certi comportamenti. Non sono un profeta, non sono nessuno. Ma ingannare la gente è una brutta cosa. Io non voglio omologarmi a questi inutili segni che ci fanno sentire a posto con la coscienza. Qui la Chiesa dovrebbe aiutarci ad educare i figli ma per me è solo un ostacolo. E far capire che certi gesti non servono a niente, ad un bambino, è quasi fargli una violenza.
Accetto la solitudine, il vivere da “ramengo e fuggiasco”.
Mi sbaglierò, sono il primo dei peccatori ma non voglio uniformarmi.
Scusate lo sfogo ma questa situazione è davvero difficile.
Non so Simone se ti posso essere di aiuto. Ho conosciuto Turoldo. Ricordo l’incontro. Non sapeva chi fossi. Vagavo in cerca di non so cosa. La sua manona calda si strinse alla mia. Da quel giorno ha avuto inizio la partecipazione attiva alla sua comunità. Svolgevo principalmente la funzione di sagrestano. Ho visto passare gente comune e personaggi famosi. L’ho visto piangere per l’emozione nel ricordo dei vari Romero. L’ho visto in una chiesa della Brianza abbracciare Helder Camara in mezzo a tanti preti. Ha sempre coltivato la speranza. E’ stato un autentico ecumenico: unità di Dio come fondamento di tutto, centralità dell’uomo, custodia del creato, libertà sempre da costruire e attenzione ai poveri.
Ti scrivo questa sua poesia intitolata “Oltre la foresta” nella speranza che ti sollevi.
Fratello ateo, nobilmente pensoso,
alla ricerca di un Dio che io non so darti,
attraversiamo insieme il deserto.
Di deserto in deserto andiamo
oltre la foresta delle fedi
liberi e nudi verso
il nudo essere
e là
dove la Parola muore
abbia fine il nostro cammino. (D.M. Turoldo)
Don Giorgio, se questo commento ti può creare problemi, toglilo. Sull’iman è un noto teologo che ne parla in un’intervista e che ha letto su un giornale senza specificare quale. Luigi
La Chiesa crede nello Spirito, nella sua creatività: “e Dio vide che tutto era bello e buono” o nella Legge, nella sua legalità: “ha bestemmiato!” (la condanna a morte di Gesù)? Le indulgenze non sono dei codici legali? Che senso ha l’esortazione di papa Francesco “a parlare con Dio … a pensare voi: è il momento … il Kairos?” Parla del Consolatore? Lo Spirito che è dentro di noi? Crediamo ai castighi divini e alle paure che ne derivano? Il pensiero classico sulle malattie era legato a questi castighi o erano avvertimenti per gli umani? Per Cicerone i bambini che nascevano con malformazioni genetiche venivano chiamati mostri perchè in loro era mostrato quale fosse il volere divino. Per i cristiani le epidemie assumevano l’aspetto di punizioni, segnali e prove per rafforzare o purificare la fede. Per don Gnocchi occorreva trarne l’insegnamento. Sono presenti nelle religioni semitiche e abramitiche, tant’è vero che a riguardo del Coronavirus un Imam iraniano avrebbe giustificato la diffusione di questo virus in Cina perché Paese che discrimina la religione musulmana. Questo Imam pare sia stato colpito dalla stessa malattia. A chi a Bergamo cerca conforto in papa Giovanni XXIII dedico queste sue parole di speranza: “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni. Non pensate alle vostre frustrazioni, ma al vostro potenziale irrealizzato. Non preoccupatevi per ciò che avete provato e fallito, ma di ciò che vi è ancora possibile fare.”