20 maggio 2018: PENTECOSTE
At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
La Pentecoste e la Chiesa primitiva
Se, come sostengono esegeti e teologi, la Pentecoste, ovvero la discesa straordinaria sulla prima comunità nascente di doni speciali dello Spirito nel cinquantesimo giorno dalla risurrezione di Cristo, è stata come l’inaugurazione ufficiale della Chiesa, non credo che questo sia il modo migliore di presentare l’inizio del cristianesimo con una spettacolarizzazione dello Spirito santo. Sarebbe, invece, il modo migliore per screditare la realtà dell’Essenza divina, che è purissimo Spirito.
Non vorrei soffermarmi sull’aspetto “spettacolare”. Più volte ho ripetuto che Gesù, mentre muore, ci ha donato il suo Spirito e, la sera stessa di Pasqua, il Risorto ha ri-donato lo Spirito agli apostoli, chiusi in casa per paura degli ebrei.
Vorrei invece soffermarmi su alcune espressioni, che troviamo nei brani di oggi e nel Salmo responsoriale.
“Del tuo spirito, Signore, è piena la terra”
Partiamo dal ritornello del Salmo responsoriale: “Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra”.
Che cosa significa? Lascio la parola a don Angelo Casati, che così commenta: «… è piena la terra, e dunque non solo i luoghi religiosi, le chiese, ma anche le case, e non solo le tue case, non solo il tuo paese, ma tutte le case, tutti i paesi; non solo la tua cultura, ma tutte le culture; non solo la tua fede, ma tutte le fedi. È scritto: la terra! È piena la terra».
Del resto Gesù che cosa aveva detto alla donna samaritana: «Né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… Il Padre vuole adoratori in Spirito e verità».
Se possiamo usare la parola luogo, allora dovremmo dire che l’unico luogo è lo Spirito: è lo Spirito a creare il luogo per ogni incontro con lui.
Lo Spirito è in ogni angolo della terra, ma nel senso che non ha un luogo fisso. È in ogni realtà, in ogni nostro respiro.
Il Cristo storico, ovvero Gesù di Nazaret, ha abitato un pezzo di terra, era legato alla sua terra d’origine, la Palestina, ed è per questo che ha detto ai suoi discepoli: «È bene per voi che me ne vada (fisicamente), perché altrimenti non potrete ricevere il dono del mio Spirito». Quasi a dire: lo Spirito che vi darò, quando morirò, abiterà tutta la terra, senza abitarci in qualche suo angolo.
Cristo ha anche detto ai suoi apostoli: «Non vi lascerò orfani. Ritornerò da voi». In che senso? Intendeva dire: Avrete il dono del mio Spirito, il quale riempirà ogni luogo della terra.
E qui interviene la grande Mistica, la quale ci dice che il vero luogo dello Spirito santo è il nostro essere più profondo.
“Cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi?”
Mi collego ora al primo brano, esattamente alle parole: «Cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Che cosa significano?
Sono state scritte pagine e pagine per tentare un’accettabile interpretazione. Qualcuno ha pensato addirittura che gli apostoli fossero diventati poliglotti, ovvero capaci di intendere e di parlare più lingue.
Siamo ben lontani dalla realtà, la quale, essendo di carattere “spirituale” (ogni dono dello Spirito non tradisce mai se tesso, ovvero la sua natura spirituale), ci obbliga a prendere un’altra strada, che è quella del nostro essere interiore.
Ogni dono dello Spirito riguarda la parte più spirituale dell’essere umano. Ogni manifestazione esteriore non ha importanza, anzi talora serve per distoglierci da noi stessi.
Ed è qui, nel nostro mondo interiore, in quanto essere che partecipa del mondo del Divino, che ciascuno può capire l’altro, in quanto essere. Tutti partecipano dell’Essere divino. Questa è la cosa fondamentale: quindi, non è importante di per sé comprenderci nelle lingue che ciascuno parla (inglese, spagnolo, tedesco, francese o italiano, ecc.), ma comprenderci secondo il linguaggio dell’essere, che è il mondo dello Spirito santo.
La cosa, oggi, paradossale è che il mondo sembra diventato “globalizzato” (impariamo anche più lingue, conosciamo più culture, viaggiamo in paesi esotici,, ecc.), eppure mai come oggi siamo frantumati nel nostro essere. L’odio verso lo straniero che cos’è se non la frantumazione di ciò che siamo in quanto spirito?
Dunque, il primo dono dello Spirito consiste nel conoscere il mondo dello Spirito, e il mondo dello Spirito risiede nel nostro essere.
“A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune…”
San Paolo nella Lettera ai cristiani di Corinto scrive: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune…». Il che significa che ogni dono dello Spirito non è qualcosa di puramente individuale, ma per il bene comune.
Ma che significa bene comune? Sappiamo quanto l’espressione “bene comune” sia in uso anche nella vita sociale e politica! Tutti parlano e straparlano di bene comune, soprattutto nelle campagne elettorali.
Ma credo che dire bene comune è la stessa cosa che dire un bene visto nel suo insieme, che non può non partire dalla realtà spirituale che è dentro ciascuno di noi.
Bene comune, comunque, non riguarda il bene di una struttura in sé e per sé, e neppure quindi la religione in quanto struttura religiosa. Anzi, è proprio lo Spirito interiore che mi fa capire la relatività di ogni struttura, statale o religiosa, per cui la religione o lo stato sono relativi o funzionali al mio essere interiore, e non viceversa.
Ma ciò, ripeto, non significa mettere al primo posto il proprio io, ma quella realtà interiore da cui partire se voglio vivere nell’armonia cosmica di ogni essere vivente, compreso il creato, in ogni suo ambito.
Lo Spirito santo mi fa capire chi sono e qual è la mia parte nella realtà cosmica. La mia singolarità, bene preziosissimo, non va confusa con l’individualità, che sfocia nell’egoismo. Ma la singolarità prende il suo valore nell’armonia divina.
Singolarità, a differenza dell’individualità, è il valore di ciò che siamo, ma noi siamo nell’unità dello Spirito, che non toglie il nostro valore, ma lo arricchisce nell’armonia universale.
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