L’EDITORIALE
di don Giorgio
Ogni Mistero è da vivere nella sua radicalità o essenzialità
Non esiste un Natale per i mediocri o per chi si accontenta di qualcosa di quel formalismo rituale, caduto oramai in disuso e da far risorgere, anche nel peggiore dei modi, da preti che del Misterio natalizio hanno perso perfino ogni decenza anche formale.
E non esiste solo il Natale dei santi o dei martiri, ovvero di chi, nonostante la massa di credenti con l’acqua alla gola pronti ad affogare, vorrebbero salvarsi l’anima.
Non esiste dunque un Natale con volti diversi: di chi si accontenta del minimo per salvarsi la faccia, e di chi fa l’eroe, e si sente tale, uscendo dagli schemi comuni di una massa alla deriva, e così sceglie – un anno sì e due o più anni no – di isolarsi in un convento lontano, tra i boschi, per gustare la vicinanza divina.
Il Mistero è da vivere nella sua essenzialità più pura, oppure non facciamo che solo con qualche apparente o fasullo espediente che del Natale ha solo qualche brandello sacramentario.
Non esiste un Natale solo dei Mistici, e un Natale solo di teologi che ogni anno, in occasione di qualche Festività, pubblicizzano i loro parti mentali alla ricerca di qualche successo editoriale. Veramente osceno, durante l’Avvento ad esempio, organizzare incontri o presenziare a qualche programma televisivo per lanciare i prodotti di dementi oramai falliti. E così si rendono ancor più ridicoli di chi, ancora a Natale, si confessa al prete curiosamente morboso per trattare con il Signore qualche sconto del tutto particolare in vista di qualche gratificazione plenaria (le indulgenze ecclesiastiche abbondano quando viene meno la Grazia dello Spirito).
Il Mistero natalizio o è radicalmente Mistico o è qualcosa di osceno.
Vorrei ancora richiamare Angelus Silesius (al secolo Johannes Scheffler, 1624-1677) che ci riporta alla grande stagione della mistica tedesca fiorita nel Seicento.
«La sua poesia, consegnata ai versi del “Pellegrino cherubico”, istituisce un legame profondo tra Mistica a e Poesia, così congiunte da costituire un unico paradigma. I temi trattati in questa singolare opera, scritta in distici e in sonetti, mette a fuoco il bisogno di Assoluto del singolo in una esperienza, quella umana, delimitata dallo spazio e dal tempo. La ragione non riesce a dare risposte a questo enigma che accompagna la vita dell’uomo, la ricerca quindi si pone su un piano verticale, ove il piccolo e fragile aspira alla fonte dell’Uno. Ma questo avviene in Silesius mediante folgorazioni e lampi linguistici che hanno qualcosa di sbalorditivo. Silesius accenna alla trasformazione che avviene nell’esperienza mistica, ove Dio si protende e si fa paesaggio e presenza nella vita, senza cessare di rimanere tale. Il pellegrino, cifra etica che caratterizza il poema, è il viandante assetato che si fa ponte tra terra e cielo e che si lascia permeare dalla luce. Silesius lavora sulla parola per renderla consona a dire l’indicibile, pur conoscendo lo scacco di ogni esperienza umana. Il linguaggio poetico si affina e quasi si smaterializza nel farsi preghiera. Lungi da ricercare definizioni e soluzioni, la sua lirica si serve di paradossi per descrivere l’esperienza umana con Dio. Il paradosso, nel suo essere disorientante, svela un’apertura di senso che, sorprendendoci, rischiara l’orizzonte limitato dell’uomo. Finestre sull’assoluto e sull’ineffabile danno respiro e aria, che si offrono sul faticoso cammino».
Vi ripropongo il distico famoso, citato oramai un po’ da tutti.
«Anche se Cristo nascesse mille volte a Betlemme
e non in te, resteresti perduto in eterno».
«Queste parole di Angelus Silesius, mistico e poeta tedesco, ci invitano a cercare, a scovare — o meglio, a ritrovare. Abbiamo vissuto tanti Natali quanti sono i nostri anni, eppure ogni volta non siamo arrivati che alla buccia del Natale. Natale è un invito ad accogliere qualcuno, a fare spazio, a creare famiglia intorno a un neonato che, con i suoi vagiti e la sua dolcezza, ci scuote e ci sveglia da sogni frenetici — talvolta da incubi — che inquinano le nostre vite. Questo Bimbo viene a ritrovare la nostra essenza, o, per dirla in altri termini, la nostra anima. Natale allora è un ritrovare quel Bimbo per ritrovare noi stessi: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5). Isaia annuncia che quel Bimbo non è un bambino qualsiasi: è figlio nostro, è figlio della nostra umanità. Ormai chiusi nelle nostre famiglie ripiegate su se stesse, facciamo fatica ad ascoltare un tale annuncio; eppure è proprio questa la strada che ci conduce alla riscoperta, al ritrovamento. Quel Bimbo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio anche Lui, divenuto uno di noi: vero uomo, pur rimanendo vero Dio. La nascita è la sua, ma la vita che ha assunto è la nostra. “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Quel nome significa “Dio con noi”: Natale è Dio che si trasferisce dalla nostra parte e condivide la nostra vita fino alle estreme conseguenze — senza privilegi, senza bonus, senza sconti».
«La nascita di Gesù fu posta dalla chiesa latina al solstizio di inverno perché in quella data i romani festeggiavano il sol invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo, non scompare però, ma sembra fermarsi, in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre, questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la precedente divinità astrale. In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura sembra silenziosa, in ascolto, la vegetazione in attesa di rinascita».
«La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo è il passaggio aus historie ins wesen, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi, ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero. La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo, ti deve liberare, ma da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i Mistici ripetono la cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque “salvo”. Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: “Davvero ancor oggi è generato il Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso”. Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al contrario profondamente spirituale – anzi, esso solo cristiano, senza il quale la religione resta superstizione, la fede credenza infantile – del principio che innerva la mistica: Tutto quello che la Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino. Purtroppo tale principio fu condannato come eretico da uno di quei papi avignonesi che Dante definisce “lupi rapaci”, separando così divino da umano, sacro da profano, avocando alla chiesa il monopolio del sacro e con questo ribadendo la divisione ragione-fede, scienza-religione che perdura ancora oggi e che costringe i “credenti” in quella condizione di minorità da cui l’illuminismo, secondo le celebri parole kantiane, ha inteso togliere l’uomo occidentale. Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo, in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie. Anche se non al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene. Attenzione però: avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo lettore un avvertimento davvero terribile: “Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non nasce sei perduto in eterno”».
«Celebrare il Natale non significa rievocare un fatto ormai relegato in un passato mitico, né cercare di capirlo intellettualmente, ma arrivare a dire: oggi si compie il Natale, per noi, qui, ora, fino a ripetere nella fede la parola del Vangelo: “Oggi è nato per noi un Salvatore, il Cristo Signore” (cfr Lc 2,11). Non basta meditare sull’evento del Natale, occorre “vederlo”, esserne coinvolti con tutto il proprio essere: il profeta Sofonia si rivolge al popolo dicendogli: “Rallegrati, fa’ festa, gioisci con tutto il cuore … perché il Signore tuo Dio è in mezzo a te e danza, esulta per te, ti circuisce” (cfr Sof 3,14). Questo è il Natale: Dio che danza di gioia e circuisce l’umanità come un innamorato fa con una ragazza. Celebrare il Natale significa accettare il dono del Dio che si consegna all’umanità, a noi, e rispondere con gioia, danzando davanti alla gioia di Dio che nel farsi uomo raggiunge l’umanità amata come una sposa. Natale è l’evento in cui Dio, nella nascita di un bambino, ci consegna la sua parola fatta carne e, nell’incarnazione, manifesta se stesso a noi, si fa vedere, si comunica tutto a ogni essere umano e ne assume tutta l’umanità. Certamente questa notificazione è fatta ai cristiani che nell’obbedienza della fede sanno accettare la venuta nel mondo del Dio che si fa carne, che si fa uomo. Questo però non è un privilegio, ma una compromissione radicale con Dio e anche con l’umanità. Infatti il nostro Natale si situa tra la prima venuta annunciata ai soli pastori di Betlemme, ai poveri che attendevano la salvezza portata dal Messia, e la seconda venuta che coinvolgerà tutti gli esseri umani, di ogni tempo e di ogni luogo, tutto il creato, l’universalità degli esseri. Nel Natale Dio si è consegnato per coinvolgere l’umanità intera nel disegno di salvezza universale e questo compromette tutti coloro a cui l’evento è stato notificato nella fede. Ogni comunità cristiana, dunque, nel celebrare il Natale deve assolutamente diventare eloquente anche per quelli che cristiani non si dicono, o che da tempo non sono praticanti… Si tratta di vivere le feste natalizie in modo che la gioia cristiana e il messaggio di riconciliazione e di pace che l’Emmanuele ha portato raggiunga tutti e venga annunciata la buona notizia della “pace in terra agli uomini che il Signore ama”. Non si tratta di una comunicazione fatta semplicemente con le parole, si tratta di un “vissuto” comunitario che raggiunge i fratelli e le sorelle in umanità. In una stagione in cui doni universali come la pace e l’unità, la convivenza fiduciosa e la solidarietà sembrano smarriti nell’aggrovigliarsi di paure, il Natale può e deve essere il luogo, il momento privilegiato per riaffermare la buona notizia della fraternità su questa terra, dono di Dio per il bene di tutti, tesoro che a lui solo appartiene e che noi umani possiamo solo condividere nella giustizia, nella pace, nella benevolenza reciproca».
20/12/2025
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