Omelie 2024 di don Giorgio: QUARTA DI PASQUA

21 aprile 2024: QUARTA DI PASQUA
At 20,7-12; 1Tm 4,12-16; Gv 10,27-30
Se il libro “Atti degli apostoli” è ricco di episodi, edificanti e anche non edificanti, in ogni sua pagina andrebbe letto e meditato come quel cammino di fede, che inizialmente definiva lo stesso Cristianesimo, “odòs” appunto. I primi cristiani erano chiamati “quelli della Via”.
Un cammino dunque fatto delle migliori intenzioni, vissuto con entusiasmo e con gioia, ma anche contraddistinto da forti tensioni, litigi e invidie, in una dialettica anche vivace tra gli stessi apostoli che avevano responsabilità e ruoli di particolare rilievo all’interno delle prime comunità nascenti. Vorrei insistere: il Cristianesimo va visto alla luce del Risorto, ovvero dello Spirito santo, che, se dà anche forti stimolazioni e interiori motivazioni, lascia i credenti anche in balìa delle loro debolezze, dei loro limiti, dei loro dubbi. Sì, si tratta di un cammino, anche difficoltoso, però nella fede del Cristo risorto.
Anche l’episodio di oggi ci aiuta a scoprire la bellezza del Cristianesimo nei suoi primi passi e ci fa già capire come i cristiani avessero colto il cuore della loro fede nel Mistero eucaristico. Ogniqualvolta rileggiamo questo brano non possiamo non commuoverci.
Inizia così: “Il primo giorno della settimana…”. Vorrei brevemente ricordare che già presso gli antichi babilonesi ogni giorno della settimana era “dominato” dal pianeta che si vedeva per primo, che dava quindi il nome a quel particolare giorno. Così: 1° giorno: Lunae dies, giorno della Luna (lunedì); 2° giorno: Martis dies, giorno di Marte (martedì); 3° giorno: Mercuri dies, giorno di Mercurio (mercoledì); 4° giorno: Iovis dies, giorno di Giove (giovedì); 5° giorno: Veneris dies, giorno di Venere (venerdì); 6° giorno: Saturni dies, giorno di Saturno; 7° giorno: Solis dies, giorno del Sole. Per gli ultimi due giorni, notiamo notevoli cambiamenti. Il sesto giorno, infatti, dedicato originariamente a Saturno, divenne “Sabato” dall’ebraico shabbat, che letteralmente significa “riposo”. Il settimo giorno, invece, tradizionalmente dedicato al Sole, divenne il primo della settimana cristiana, chiamato “Domenica”, dies Domini, come si legge nel libro dell’Apocalisse (1,10).
Non possiamo non far notare che questo spostamento dal settimo e ultimo giorno della settimana al primo che dà inizia a ogni settimana è di estrema importanza: per noi cristiani la settimana non termina con il giorno dedicato al Sole, ma inizia con il giorno in cui Cristo è risorto, lo stesso giorno in cui gli antichi veneravano il Sole, ma al termine della settimana. Del resto, i primi cristiani, non sapendo esattamente il giorno preciso in cui Cristo era nato, perché avevano scelto il 25 dicembre? Perché era il giorno in cui gli antichi veneravano il Sol Invictus. Come vedete, si parla sempre di Sole, ovvero di Luce. Ma quale Luce? Il Figlio di Dio, Luce e Vita, si era incarnato, come scrive Giovanni nel Prologo del quarto Vangelo, perché la luce vincesse le tenebre, e con la sua risurrezione il terzo giorno, ovvero il giorno del Sole venerato dal mondo antico, Cristo ha voluto significare l’inizio di un nuovo giorno.
Ogni domenica, dunque, dà inizio ad un’altra settimana, come quando all’alba di ogni giorno sorge il sole. La settimana per il credente non inizia il lunedì, come tutti pensano. Ogni settimana inizia con la domenica, che dà luce a tutti i giorni della settimana.
Tutto cambia in questa prospettiva. Tutto ha origine dalla Sorgente di Luce; a che serve alla fine di ogni settimana?
“Ci eravamo riuniti a spezzare il pane”. Chiariamo: l’espressione “lo spezzare il pane”, che traduce il latino “fractio panis”, la troviamo non solo nel libro “Atti degli apostoli”, ma anche nelle lettere di San Paolo, a indicare ciò che oggi chiamiamo la Messa o Eucaristia. Anche qui precisiamo: la parola “eucaristia”, che significa ringraziamento o lode, la troviamo già presente nella Didaché e poi negli scritti di Sant’Ignazio, San Giustino e Sant’Ireneo.
Nei secoli III e IV divenne di uso comune, sia nelle chiese greche che nelle chiese occidentali. Anche qui attenzione: anche oggi quando parliamo di eucaristia intendiamo la comunione eucaristica, che è un aspetto dell’eucaristia vera e propria.
Invece, il termine “messa” preso in sé non vuole dire niente, non sta in piedi da solo. Infatti, fa parte di una espressione di congedo dell’assemblea: “Ite, missa est”, che, secondo alcuni studiosi, significherebbe: “andate pure, l’assemblea (soggetto sottinteso) è sciolta; oppure, secondo altri, significherebbe: “andate pure, l’eucaristia (soggetto sottinteso) è stata inviata (missa est) agli ammalati, ai carcerati ecc.”.
A parte queste doverose precisazioni, la cosa importante è che un gruppo di cristiani quel primo giorno della settimana, domenica, si era riunito per l’eucaristia: celebrava lo stesso apostolo Paolo. In realtà, secondo il computo ebraico, il giorno iniziava al calar del sole, siamo dunque alla sera del sabato. Proprio seguendo il computo ebraico la Chiesa ha ritenuto valida anche oggi la Messa del sabato sera.
Che cosa successe quella sera? I cristiani, forse parecchi, si trovavano in una sala del terzo piano di proprietà di una famiglia senz’altro benestante: tra parentesi, solo i ricchi avevano case a più piani, con sale abbastanza grandi per i loro ritrovi, e proprio queste sale divennero le prime chiese dei primi cristiani, fino a quando con l’imperatore Costantino si permetterà anche ai cristiani di costruire le loro chiese.
San Paolo, quella sera, come scrive Luca: “prolungò la conversazione fino a mezzanotte”. Forse da chiarire sarebbe anche il termine “conversazione”. Come intenderlo? Come un dialogo tra l’apostolo e i fedeli? Sono andato a vedere il testo originale che è quello greco, e mi sembra che si trattava in realtà di un discorso, oggi diremmo omelia, tenuto da Paolo. Certo, si potrebbe tradurre anche “conversazione” o “dialogo”. Allora si usava. Ma forse erano altri tempi. Oggi sono del parere che si abbia tanto bisogno solo di ascoltare, almeno si è viene in chiesa. Una cosa è certa: allore le omelie prendevano molto tempo, altro che i dieci minuti canonici, anche stabiliti dalla incapacità del pubblico di andare oltre i dieci minuti.
Un ragazzo, di nome Èutico, forse per sfuggire al calore prodotto dalle numerose lampade accese, si mette vicino alla finestra, e, forse per la stanchezza e per l’atmosfera resasi acre, si assopisce, e, perdendo l’equilibrio, cade nel vuoto, rimanendo a terra esanime. Paolo accorre subito, si stende sul corpo del ragazzo e, abbracciandolo, lo richiama in vita. Poi riprende la celebrazione dell’eucaristia, che prosegue fino all’alba. Poi si mette in viaggio.
Come intendere questo miracolo, che ha vivamente commosso i primi cristiani? Chiariamo. Il miracolo non va considerato a se stante, sarebbe sbagliato, ma nel contesto eucaristico: solo nel contesto della celebrazione dell’eucaristia, noi avremmo un quadro completo del Mistero pasquale.
Tutto il testo ha molti riferimenti simbolici: è sera, dunque le tenebre, la luce con le lampade accese, dunque morte e vita, e poi il miracolo che richiama la stessa risurrezione di Cristo. Non si richiede necessariamente un miracolo fisico, ma forse oggi abbiamo più bisogno di un miracolo di quella Grazia che illumini il nostro intelletto e ci purifichi nel nostro, per liberarlo da un egoismo diabolico.

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