Tacere io? No, parlate anche voi
da L’Espresso
Roberto Saviano
L’antitaliano
12 luglio 2018
Tacere io?
No, parlate anche voi
Oggi siamo tutti chiamati a non lasciar passare sotto silenzio la propaganda velenosa di questo governo incompetente
Per poter criticare chi è al governo serve la consapevolezza che qualunque dettaglio potrà essere usato per delegittimarti, dettaglio che spesso nulla ha a che vedere con le tue parole o con la verità. È la regola dello squadrismo, aggredire, inventare, mischiare vero e falso in una poltiglia verosimile da sputare addosso ai nemici.
Meglio far ordine. Quello che non tutti sanno è che sono nato a Napoli e cresciuto nel Casertano, in Terra di lavoro. Sono poi tornato a Napoli negli anni dell’università e ci sono rimasto fino al 2008, quando già avevo da due anni la scorta. Sono andato via da Napoli perché non riuscivo a trovare casa. La mia condizione metteva paura o infastidiva i vicini che nelle riunioni di condominio chiedevano che fossi sfrattato. Da allora sono diventato nomade, ma le mie origini non le ho mai dimenticate. Sono sempre stato fiero di essere cresciuto in Terra di lavoro perché attorno a me, nonostante gli enormi problemi di criminalità, ho sempre visto gente operosa e sono stato cresciuto io stesso pensando di dovermi mantenere da solo anche mentre studiavo. Quando ero all’università scrivevo recensioni di libri su Pulp, inchieste sulla camorra per Retrovie, per il Manifesto e il blog Nazione Indiana e per la rivista letteraria Nuovi Argomenti. Non guadagnavo molto (venivo pagato al massimo 50 euro ad articolo), ma sono sempre stato orgoglioso di poter vivere con poco e soprattutto di poter vivere del mio lavoro. Napoli non è mai stata una città cara, quindi potevo riuscirci vivendo di piccoli lavori. Prima di Gomorra non avevo viaggiato molto all’estero, la mia è stata una vita senza privazioni ma spartana. Del resto sono così, anche adesso. Mi concedo un solo lusso: i libri. Ne compro tantissimi, più di quanti potrò mai leggerne, ma da ragazzo erano l’unica cosa che davvero desiderassi.
Questa lunga premessa autobiografica mi serve per introdurre un tema, quello della paura di parlare, della paura di esprimere il proprio pensiero che hanno molte persone che godono di fama e che io non ho. Critichi il governo? Verrai attaccato, verrà isolato un dettaglio, magari falso ma verosimile (tipo l’attico a Manhattan che mi ha appioppato un ex senatore cosentiniano e che ora leghisti e grillini usano come se lo avessero letto su Wikipedia) e, partendo da quello, anche se non è reato, ti mettono alla gogna per dire: vedete, ha un attico a Manhattan, non può parlare. Sei un privilegiato, un radical chic. E così pretendono di spazzar via tutto ciò che è stata e ancora è la mia vita. Mi sveglio la mattina con decine di messaggi di persone – qualcuna mi vuol pure bene – che mi dicono di smetterla, di tacere, di farlo per me. Sono ormai 12 anni che mi sveglio così, con chi mi dice: per il tuo bene, Roberto, taci. Ma gli inviti a tacere – a meno che non provengano da mia madre che, per inciso, pur preoccupatissima, non mi ha mai detto di smettere di fare il mio lavoro – mi hanno sempre lasciato uno strano sapore in bocca. Perché dovrei tacere io? Perché invece non parlate anche voi? Prima era il clan dei casalesi, poi Berlusconi che voleva strozzare chi scriveva di mafia, poi Renzi e il suo odio per i gufi, ovvero per chi dice che le cose non vanno bene e ora è il turno della galassia leghista e grillina. Ci si abitua anche a ricevere merda, merda sui social e merda dalla politica. Alla fine basta non aver paura e capire che è concime.
Ma se fino a ieri qualcuno aveva l’illusione che tutto sommato si potesse restare nel proprio angolo in tranquillità a scrivere, recitare, cantare, oggi nessuno può più permettersi di avere paura di esprimere il proprio pensiero per non diventare bersaglio, perché dove molti sono bersaglio, nessuno più lo è.
La storia è piena di delegittimazioni orchestrate per mettere a tacere chi dava fastidio. Giuseppe Di Vittorio fu accusato di organizzare scioperi mentre possedeva ville sul mare. «Se le trovate, prendetevele», fu la sua risposta. Gino Strada di avere una villa a Montecarlo mentre andava nei luoghi di guerra a dare soccorso. Giovanni Falcone, quando subì l’attentato dell’Addaura, era in una villa (presa in fitto) sul mare. L’accusa fu che l’attentato se lo fosse fatto da solo: «Cosa nostra non sbaglia!», ripetevano milioni di italiani in quei giorni, divenuti tutti esperti di mafia. Ma soprattutto insinuavano: «Avete visto? La bella villa in cui faceva le vacanze, che dava direttamente sulla scogliera», «Conviene fare antimafia se si campa così». Vergognose accuse che ferirono un uomo bersaglio di aggressioni civili e che lo esposero al massacro militare.
Nel 64 a.C. Marco Tullio Cicerone era candidato alla carica di console della Repubblica romana: suo fratello Quinto, per aiutarlo a vincere le elezioni, scrisse il “Commentariolum petitionis”, una specie di manuale per la campagna elettorale. Più che di consigli politici, di contenuti politici, si tratta di strategie di comunicazione. Come quella di rispondere sempre sì alle richieste della gente, anche se si sapeva già in partenza di non riuscire a soddisfarle. Tra questi consigli si legge anche: «abbi cura che (…) sorga nei confronti dei tuoi avversari un sospetto, appropriato al loro comportamento, o di colpa, o di lusso o di sperpero». Un sospetto appropriato al loro comportamento, non una verità quindi, ma un’accusa verosimile, che rovinasse la reputazione dell’avversario. In altre parole, il fratello di Cicerone stava dicendo che le fake news diffamatorie in politica sono ammesse, anzi, sono prassi utile.
L’obiettivo delle calunnie è insinuare che di disoccupazione può parlare solo il disoccupato, di indigenza solo l’indigente, di precarietà solo il precario per una semplicissima ragione: chi vive in condizioni di fragilità è facilmente ricattabile e riducibile al silenzio. Chi vive disagi – come ho spesso scritto – non ha tempo e possibilità di vedere la situazione nella sua interezza, è esposto soprattutto in questa fase a una tempesta d’odio di portata tale da lasciare difficilmente incolumi. Stai male? Non hai un lavoro? Non hai una casa? I tuoi figli sceglieranno di emigrare? Questo governo risponde: non ti dico cosa farò per aiutarti, ma ti offro qualcuno con cui prendertela e soprattutto, se mi voti, ti assicuro questo: non resterai mai senza un nemico. Ecco, l’obiettivo è solo creare un nemico, e se il nemico ti dicono anche che vive nel lusso, sarà più facile odiarlo perché inneschi anche invidia. Ecco il motivo per cui oggi c’è bisogno di tutti. Tutti. A tavola, nei taxi, nelle corsie d’ospedale. In qualunque discussione, bisogna smontare il fango, le balle, è opera che ognuno può e deve fare. Il nostro tempo ci chiede di essere più di quello che siamo.
Oggi non è ammesso disimpegno perché quella che vediamo non è politica ma comunicazione (molto bassa, a dire il vero) di un ministro onnipresente (Salvini) che mette bocca ovunque e che sta letteralmente stressando gli “alleati” in maniera scientifica e consapevole per avere visibilità. Eppure la politica vera non è ferma, ma si muove, sotterranea, fin troppo sotterranea per non destare sospetti. Sandro Veronesi invita persone famose e amate a salire sulle imbarcazioni delle Ong nel Mediterraneo per farsi testimoni delle calunnie e del fango che da oltre un anno il M5S e la Lega inventano su chi salva vite, io invito le persone non famose ad approfondire, a non fermarsi ai post di Di Battista, Salvini, Di Maio o Toninelli su Facebook e Instagram, a non fermarsi ai loro tweet, perché sono pieni di menzogne, inesattezze e strumentalizzazioni. Io invito chi oggi nutre qualche dubbio, ma non sa da dove cominciare, a provare a capire davvero perché le Ong devono essere tagliate fuori, perché gli unici testimoni di morte e torture devono essere allontanati per non riferirci cosa accade. Hai visto mai, magari sapendo delle torture, poi, allo specchio ci potremmo spaventare della nostra stessa ferocia? Invito tutti a soffermarsi sui numeri dell’immigrazione per capire che se di emergenza si tratta, l’emergenza sta altrove. Una politica che non riesce a gestire flussi che sono invece, anche nei loro picchi, assolutamente assorbibili e soprattutto necessari, è una politica incapace: questa è la vera emergenza che ci sta distruggendo. Incapaci i governi che lo hanno preceduto, e incapace questo governo. L’immigrazione è un dato di fatto, non si può arginare o cancellare con un tweet, si può e si deve gestire con umanità. Gli immigrati servono al nostro Paese che demograficamente sta scomparendo e alla nostra economia perché non collassi. Gli immigrati servono a noi perché integrazione significa crescita e conoscenza. Significa compromesso e arricchimento.
Pretendiamo da questo governo – che si autodefinisce il Governo del Cambiamento – una svolta reale e, soprattutto, nella direzione giusta. Se io dico che questo governo è incompetente inutile rispondermi: taci, hai l’attico a Manhattan. Se io dovessi tacere – tanto per essere chiari – non è che le cose andrebbero meglio. Andranno invece meglio quando i Salvini, i Di Maio, i Toninelli la smetteranno di usare i migranti come paravento per la loro incompetenza, e quando voi inizierete a pretendere che loro la smettano di prendervi in giro. Come vedete tutto è ancora nelle vostre mani. Il vostro compito non si è esaurito nella cabina elettorale, lì è solo cominciato.
É inutile negarlo, fin da bambini ci viene spontaneo dare la colpa a qualcosa o a qualcun’altro se ci troviamo nei guai. Ma crescendo, purtroppo, per alcuni di noi le cose non cambiano, anzi, spesso peggiorano, perché ci teniamo troppo a fare bella figura e, possibilmente, diventare popolari, anche a costo di mentire dando in pasto agli altri chi ci sta antipatico o non sopportiamo, magari solo perché dice la verità. Non tutti, infatti, sono disposti a lasciarsi abbindolare prendendo per oro colato le nostre affermazioni. Se dai bambini possiamo anche tollerare questo atteggiamento e perfino sorriderne, liquidandolo con un rimprovero bonario, dagli adulti vorremmo aspettarci un senso di responsabilità maggiore e più maturo e, soprattutto, la capacità di saper ammettere i propri errori.
Eppure spesso non è così, specialmente in politica, dove si è sotto gli occhi di tutti e mentire, trovare giustificazioni e suscitare nemici reali o presunti da additare al pubblico ludibrio, sembra essere il pane quotidiano di chi ambisce a diventare “Qualcuno” e lasciare una traccia indelebile del proprio passaggio, nel bene e nel male. Del resto anche Attila, Erode, Gengis Kan ed Hitler lo hanno fatto e non sono finiti nel dimenticatoio.
La colpa maggiore di Salvini, Di Maio & Co. è proprio questa, tirano avanti per la loro strada fregandosene del parere altrui, del prossimo e, di conseguenza, delle critiche che gli piovono addosso, perché adesso: «… la palla ce l’hanno loro e perciò sono loro a dettare le regole. E se qualcuno non vuole stare al gioco, può anche tornarsene a casa a piangere da papà».
… trita e ritrita ma sempre valida!
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
(Martin Niemöller)