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POLITICA
20/09/2020
Addio Rossana,
comunista di gran razza
La notizia della sua morte mi ha provocato una fitta al cuore: la sua grande passione e i disastrosi errori fanno parte di una generazione eccezionale che sapeva battersi, sbagliare e usare il cervello
By Giampiero Mughini
Aveva 96 anni. Era stata “un ragazza” negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. È morta Rossana Rossanda, un’italocomunista di gran razza, una speciale razza del Novecento purtroppo in via di estinzione. Ne rimangono Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano e pochi altri. A me la notizia della sua morte ha provocato una fitta al cuore, come se l’avessi vista ancora ieri e seppure sulla sua sedia a rotelle.
E invece sono passati 49 anni da quei primi giorni di maggio del 1971 in cui, alla redazione romana del quotidiano “il Manifesto” a via Tomacelli, presi la mia borsa a tracolla e me ne andai dopo avere indirizzato la mia lettera di dimissioni al direttore Luigi Pintor. Quelli con cui lo avevamo fondato tre mesi prima erano tutti degli italocomunisti di gran razza, da Luigi Pintor a Aldo Natoli alla Rossanda, da Valentino Parlato a Massimo Caprara, un po’ meno Lucio Magri che manifestava tutti i sintomi del cattocomunista. Io comunista non lo ero affatto e perciò mi trovavo in grandissimo disagio in un quotidiano che voleva essere l’avamposto di un futuro Partito comunista più a sinistra del Pci.
Dal giorno delle mie dimissioni mai più ho visto e incontrato Rossana. Una ventina d’anni dopo il mio direttore a “Panorama” insistette alla morte perché io la intervistassi. Naturalmente lei si rifiutò di farlo, immagino non ci tenesse ad avere a che fare con “un rinnegato” quale il sottoscritto, uno che reputa duro come l’acciaio che due sono state le grandi tragedie del Novecento: la vittoria del Partito comunista bolscevico a San Pietroburgo e la vittoria dei nazisti a Berlino, e a non dire che la seconda aveva una parte delle sue origini nella prima. Di certo ce l’aveva la vittoria del fascismo italiano, che aveva sconfitto sul campo un partito socialista che prima aveva subito la scissione dei futuri comunisti acchiappanuvole e che al tempo della Marcia su Roma si stava adoperando a espellere i “riformisti” alla Turati.
Beninteso, da quando non avevo più messo piede a via Tomacelli, mai di una virgola era scemato il mio affetto e rispetto per Pintor, Natoli (anche lui uno che si sarebbe allontanato non di poco dalla latitudine politica e morale di partenza), Rossanda, Parlato, che esattamente come prima reputavo un amico fraterno, un amico per sempre. E siccome in un momento in cui lui era il direttore del “Manifesto”, il suo quotidiano mi aveva apostrofato in termini offensivi mandai un biglietto personale a Valentino dicendogli che mai e poi mai in un giornale da me diretto qualcuno avrebbe potuto scrivere delle righe talmente offensive nei suoi confronti. L’ho incontrato un’ultima volta in un autobus, lui che rientrava a casa dall’attuale redazione del “Manifesto” non lontana da casa mia. Ovviamente mi sono rivolto a lui con affetto, e un tantino di affetto l’ho letto nei suoi occhi.
Per un non comunista è facilissimo avere questi sentimenti ambivalenti, o meglio il distinguere tra i sentimenti e le ideologie, tra le persone e le loro appartenenze politiche. Non lo era per gli italocomunisti seppure di gran razza. Loro si erano installati ab initio in una parte e a quella stavano, in tutto e per tutto, con ogni particella del loro corpo e del loro sentire. Rossana continuava ad autodefinirsi “una comunista”, un termine che non vuol dire nulla a meno di non mettere nello stesso mazzo i comunisti italiani, i comunisti francesi, quelli rumeni, quelli cubani, o magari i comunisti della Germania Est, ciò che sarebbe palesemente una mostruosità della ragione. Non solo. Non una volta che il color “rosso” della politica fiammeggiava nel mondo che Rossana non se ne accendesse e se ne colorasse il viso come al modo di una guerra intellettuale.
Resta grave, sul piano della storia delle idee, il suo innamoramento per la “rivoluzione culturale” maoista, una terrificante guerra civile che provocò milioni di morti. E con tutto ciò nessuno di noi s’è sottratto al piacere intellettuale della lettura della sua autobiografia, “La ragazza del secolo scorso”. Così come è impossibile smacchiare dalla nostra memoria e dalla nostra anima le tracce che vi hanno lasciato impresse gli italocomunisti, da Antonio Gramsci a Giorgio Amendola, da Pietro Ingrao a Bruno Trentin. E a non dire di Macaluso, uno che a 96 anni spiega la politica italiana come pochi altri. Appunto, una razza eccezionale e tanto più se la paragoni ai protagonisti da quattro soldi della nostra politica odierna.
Bravo Mughini.
Ha proprio ragione Mughini: quei politici, non solo i comunisti, erano veramente una razza eccezionale, altro che le marionette caricaturali di questi tempi!