22 marzo 2020: QUARTA DI QUARESIMA
Es 34,27-35,1; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Due temi del quarto Vangelo: la luce e la vita
Due sono i temi principali presenti nel quarto Vangelo: il tema della luce e il tema della vita. Temi già anticipati nel Prologo, e poi sviluppati nel Vangelo, attraverso due miracoli: il miracolo del cieco nato (tema della luce), e il miracolo della risurrezione di Lazzaro (tema della vita).
Prologo
Nel Prologo troviamo scritto: “In lui (Logos, Verbum, Parola) era la vita e la vita era la luce degli uomini… Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo”.
Si sottolineano in modo esplicito tre affermazioni. Anzitutto, si evidenzia la differenza tra Gesù, il Logos incarnato, e Giovanni il Battista o il Precursore, il quale non è lui la Luce, ma è solo una testimonianza della Luce, che è il Cristo o il Messia. Poi, si dice che la Luce si scontrerà con le tenebre, ma le tenebre non avranno il sopravvento. Infine, si specifica che la vita, che è luce, è la vita stessa di Dio, a cui partecipiamo per grazia o per natura.
Due miracoli come “segni”
I miracoli del cieco nato (che è il brano evangelico di oggi) e della risurrezione di Lazzaro (che è il brano evangelico della prossima domenica) sono caratteristici, direi unici, del Vangelo di Giovanni che, a differenza degli altri tre evangelisti (Matteo, Marco e Luca), non si limita a narrare i fatti in sé, ma li sviluppa in modo anche notevole evidenziando aspetti sui quali gli altri tre evangelisti non si sono soffermati.
Ancora una volta dobbiamo dire che per il quarto Vangelo i miracoli sono descritti come “segni”, ovvero rivelano, al di là del fatto in sé, qualcosa del Mistero di Dio. Rivelano, ovvero, come dice l’etimologia del verbo rivelare, “tolgono il velo”, perciò manifestano, portano alla luce qualcosa di misterioso. In altre parole, Giovanni con i miracoli non intende manifestare la potenza di Dio, che è già di per sé evidente dalla straordinarietà del gesto di Gesù, ma manifestare qualcosa di profondo, che altrimenti rimarrebbe nascosto, nonostante l’intervento miracoloso. Anzi, paradossalmente possiamo dire che è proprio nella straordinarietà dei fatti che perdiamo di vista l’Essenzialità divina, che viene coperta dalla spettacolarità distraente di un miracolo..
È proprio vero: è più facile trovare Dio nel silenzio più totale, nell’assenza delle parole carnali, o nella semplicità della vita quotidiana, fatta di piccole cose. Ma siamo proprio sicuri che scopriamo Dio quando andiamo a Lourdes o a Medjugorje?
Il miracolo del cieco nato
E allora soffermiamoci oggi sul miracolo del cieco nato, e poniamoci subito la domanda: qual è il suo senso, come leggerlo come “segno” rivelatore di qualcosa di profondo?
Riflettiamo già sul fatto che tutta la polemica prodotta dai farisei è nata dal gesto compiuto da Gesù in giorno di sabato. E questo potrebbe portarci lontano dal cuore del miracolo, dal suo vero segno”. Certo, Gesù ha inteso colpire anche l’assurdità di una legge che era diventata così intoccabile e sacra da mettere in secondo piano l’essere umano. Basterebbero poche parole, quelle pronunciate da Gesù, per chiarire il rapporto tra legge e l’essere umano: “Il sabato è per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”. Gesù intendeva dire una cosa elementare: la legge è un mezzo, solo un mezzo, ed è al servizio della libertà dell’essere umano. Questo vale per ogni legge, anche oggi: per la legge della Chiesa e per la legge dello Stato.
E già qui Giovanni legge il miracolo di Gesù come segno rivelatore della cecità dei detentori della legge. Gli scribi e i farisei, i migliori conoscitori della parola di Dio, sono ciechi. Lo dirà anche in una sua invettiva contro di loro: “Guai a voi, guide cieche…”.
È vero che Gesù ridà la vista fisica a quel cieco dalla nascita, ma nello stesso tempo stigmatizza i caporioni ebraici, talmente ciechi da non “vedere” quel povero disgraziato nella sua emarginazione sociale, preoccupati solo di salvare la legge del sabato.
Un esegeta ha fatto notare una cosa davvero interessante: tutta la ricostruzione del miracolo da parte di Giovanni si snoda secondo un duplice cammino che per i caporioni ebrei era un cammino di regressione, mentre per il cieco guarito era di progressione, che termina con un altro dono, quello della vista spirituale.
Ma prima di parlare di questo secondo passaggio, quello più importante, vorrei far notare un altro aspetto del racconto di Giovanni. Se chiedessi chi è il vero protagonista, penso che tutti risponderebbero: naturalmente Gesù Cristo!
In realtà, se abbiamo fatto attenzione al brano, Gesù compare all’inizio, e poi alla fine, ma al centro del racconto c’è lo stesso cieco guarito, che ora risponde alla gente, e soprattutto contesta i farisei, anche ridicolizzandoli. Questo è un aspetto davvero interessante. Non è la prima volta che Giovanni mette al centro dei suoi racconti uno del popolo, perfino una donna, la samaritana. È bello, direi commovente vedere quel cieco difendersi dalle accuse e difendere Gesù, e lo fa anche con una certa ironia, che del resto è tipica del quarto Vangelo. L’ironia divina si rivelerà soprattutto nella Passione di Gesù: nel momento più tragico della sua vita, Gesù ironizza i suoi avversari.
La vista spirituale
Forse avrei dovuto soffermarmi più a lungo su questo secondo passaggio, e dare tutta quell’importanza che si merita. L’intento di Giovanni non era di raccontare il miracolo della restituzione della vista fisica a quel cieco, e tanto meno dilungandosi sulla polemica del rispetto del sabato ebraico, ma di raccontare il cammino di quel cieco fino all’incontro con Gesù, che gli dona la vista spirituale, ovvero gli occhi della fede, gli occhi dello Spirito. A che sarebbe servito il primo miracolo, ovvero che quel cieco vedesse con i suoi occhi fisici, se poi fosse rimasto vittima delle cose che poteva vedere? La vista fisica è forse uno dei più grandi doni dell’uomo, ma a che servirebbe se mancasse la vista dello spirito?
Stupendo l’incontro di Gesù con quel cieco, che era stato buttato fuori dalla sinagoga o dalla comunità ebraica. Ecco, proprio fuori della struttura, il cieco riceve il dono degli occhi interiori. È dentro di noi che lo Spirito si incontra con il nostro spirito. Due spiriti che si incontrano, si vedono, e si uniscono.
La Chiesa ha avuto paura ad accettare subito l’episodio dell’incontro di Gesù con la donna adultera, ma forse dovrebbe avere ancora più paura del brano di oggi. Quanti spiriti liberi buttati fuori dalla Chiesa istituzionale! E, buttati fuori, questi spiriti incontrano lo Spirito che darà ancor più energia per essere spiriti liberi.
Non sono un teologo (scriba) nè un religioso (fariseo) ma penso che si è ciechi fino a che non si prende coscienza della propria libertà, temuta sia dai teologi di corte e dei religiosi del potere. Don Giorgio parla di spiriti liberi. Cosa ha spinto don Milani a dire che l’obbedienza non è più una virtù? La sua libertà di coscienza. Ha difeso gli obiettori di coscienza al servizio militare pagandone le conseguenze. Ho conosciuto durante il volontariato con i disabili un giovane che al posto del servizio militare aveva scelto il servizio civile. I teologi e i religiosi (cappellani militari) cattolici di allora non è quello che temevano e che temono ancora oggi? Ai ciechi nati che incontrano Gesù si aprono altri occhi (spirituali?) che li fa uscire dalla massa amorfa che si assoggetta ad ogni tipo di potere sia esso religioso, economico, politico e dei loro cortigiani teologici, culturali e scientifici. L’importante per acquisire la libertà di coscienza è essere sinceri con sè stessi. “La sincerità è il fondamento della vita spirituale” (Albert Schweitzer)
Ho prestato il servizio militare nel 1977/78 e ho assistito i primi giorni all’arresto dei testimoni di Geova che non volevano entrare nell’esercito. Pochi anni dopo alcuni miei amici potevano già prestare il servizio civile alternativo, con l’aiuto della Caritas, che ha avuto un ruolo determinante per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. la mia impressione è che in Italia il cammino per l’obiezione di coscienza, da 50 anni a questa parte, non abbia mai trovato grandi resistenze, specialmente dagli ambienti ecclesiali.
Il servizio militare l’ho fatto nel 1969/70 congedato a gennaio 1971. Al CAR di Cuneo se non andavi a messa ti punivano. Una punizione mi è servita per mangiare quello che scartavano gli ufficiali e sottufficiali. Si mangiava malissimo. Quando ti davano la pasta nei vassoi arrivavi a tavola che era incollata. Mangiavo solo mele. Non ti racconto il resto. Al quartier generale di Belluno (ero nei servizi per problemi fisici) ti dicevano che eri libero di andare a messa, ma poi ti trovavi punito e di courveè. All’Ospedale Militare di Padova per non andare a messa (avevo il ginocchio bloccato) con un bergamasco ci nascondevamo. Sono stato battezzato cattolico e lo sono tuttora. Sulla Caritas specialmente quella ambrosiana nulla da eccepire. Ho solo un rimpianto. Aver capito in ritardo la grandezza di Martini e Tettamanzi.
Negli anni settanta le cose sono cambiate parecchio, a tutti il livelli. le lotte per le libertà civili hanno fatto molti progressi grazie a chi ha lottato in quegli anni.
Pensa il 1976, referendum sul divorzio, che ha segnato un punto di svolta per costringere la chiesa ad accorgersi di certi cambiamenti. Grazie ai cattolici che in quegli anni hanno lottato. Io penso che anche Paolo VI abbia dato una mano all’attuazione dei valori del concilio. Io sono stato all’ospedale di Padova per un mese, mentre ero a militare. A messa non ci andava quasi nessuno. Io ci sono andato un paio di volte per scelta, eravamo una decina. Il cambiamento era già in atto.